Un 'miracolo' è - si legge su il sito della Treccani - "qualsiasi fatto che susciti meraviglia, sorpresa, stupore, in quanto superi i limiti delle normali prevedibilità dell’accadere o vada oltre le possibilità dell’azione umana".
Io ti guardo mentre tu mi guardi, ciascuno di noi scopre qualcosa dell'altro e scopre qualcosa di se stesso rivisto nello sguardo dell'altro - tutti e due possiamo in qualsiasi momento e in piena libertà, distogliere lo sguardo dall'altro e allo stesso tempo distoglierci noi stessi dallo sguardo dell'altro - ripeto, in libertà.
Queste possibilità, sia pensate, immaginate, vissute, non possono non far sgorgare meraviglia: gli sguardi autentici, in questo senso, sono quindi davvero rari, e non sono prevedibili. Non lo sono per l'altro che non se li aspetta, né li ha mai incontrati prima (questo accade tante troppe volte per gli altri animali quando incappano in un qualsivoglia rapporto con l'umanimale); non lo sono nemmeno per chi guarda, che non si aspetta che gli capiti di vedere-incontrare 'un' altro per davvero, e incontrarlo veramente - e anche questo è rarissimo se chi guarda è un umano, nel momento in cui accetta di prendersi il tempo per una pioggia di sguardi.
Questa possibilità, come troppe volte possiamo scoprire dai fatti che accadono tutti i giorni, o per il tipo di società - che sembra riempire tutti gli interstizi solo di azioni consumatrici - di cui facciamo esperienza nelle nostre vite - la possibilità degli sguardi reciprocantisi - sembra a tutt'oggi oltre le possiblità dell'azione umana. Ma forse è un oltre che l'uomo stesso ha posto oltre la sua possibilità: perché rimanere con lo sguardo al di qua dell'animale, e mantenere al di là dei propri sguardi 'gli' animali, origina una posizione di comodo stallo - tuttavia imprigionante e non senza conseguenze, come si vede ormai a occhi aperti - uno stallo che crea l'illusione di lontananza, di separazione, di indipendenza e di onnipotenza. Un oltre autoinflitto, quindi: del quale, se ci liberassimo, potremmmo (ri)vedere realtà altre, nuove ma sempre (state) presenti, sempre esistite, ma da noi negate, con grande danno e sofferenza innazitutto per gli altri animali - oltre che per gli animaluomini, che ponendosi paragoni unici di se stessi, si precludono strade, uscite, esiti, rigeneratrici - per una realtà che si è fatta (che abbiamo fatto) morsa angosciosa e autoimmune.
Le persone che studiano e si impegnano nel pensare pensieri antispecisti, e nell'immaginare e nel parlare discorsi nuovi, provano a far questo: a smettere di parlare di noi stessi anche quando parliamo degli animali; anzi, a ribaltare la prospettiva: cioè, a parlare di animali anche quando parliamo di noi stessi. O, infine e meglio di tutto, a parlare di loro-per loro; a parlare con loro, di noi due.
A volte, per esempio, gli antispecisti sono come talpe alla ricerca di nuovi cunicoli, apparentemente invisibili, ma presenti, sepolti nei consueti terreni, che tutti credono di aver già in mente palmo a palmo (i terreni del linguaggio, i terreni della cultura scritta, i terreni della visione fotografata, filmata, disegnata, i terreni della scienza).
Questi cunicoli portano a trovare nuove zolle mescolate a quelle vecchie; oppure fanno smottare terreni all'apparenza induriti.
Alla ricerca di indizi orientati/orientabili (d)agli animali, dove sembrerebbero non esserci.
Il tutto,
Riaprendo gli occhi e facendosi guardare-a-guardare.
Se ne sarò capace, mi riprometto di scrivere di pià di questi sguardi discorsivi, degli antispecisti.
Evocativo l'esempio dei cunicoli!
RispondiEliminaGrazie! Invece dei soliti minatori, ho provato a immaginare l'azione di talpe, che compiono operazioni di ricerca e di scavo. Un modestissimo tentativo di immaginere anche modi di scrivere animal oriented - benché per sfuggire alle maglie antropocentriche-speciste, occorano ben altri mezzi e imprese. Ma intanto... :)
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