di PINCOCRI
Quando torno dall'aver accompagnato i piccoli a scuola,
trovo mamma che già spignatta in cucina. I profumini che vi aleggiano son da
leccarsi i baffi, ma so che prima dell'ora stabilita non mi concede mai niente.
Mi consolo con una bevuta d'acqua fresca e poi me ne torno sull'aia, dove papà
armeggia intorno al trattore.
Io sono addetto alla sicurezza, ma la scorsa notte, che è trascorsa tranquilla senza impegnarmi
in vasti giri di perlustrazione (ne ho fatto uno, giusto per scrupolo) mi ha
lasciato fresco e riposato.
L'aria mite di maggio reca odori allettanti e vaghi fruscii,
così decido di andare a bighellonare
un po' in giro.
Aggirata la masseria e raggiunto il boschetto, inizio il mio
solito slalom fra i tronchi degli alberi e i cespugli, mettendo in fuga varie
bestiole. Soltanto gli uccelli mi osservano con i loro occhietti
impassibili, tanto neanche il
gatto li acchiappa lassù.
D'improvviso, quell'odore, forte e sinistro, mi attrae a una
piccola ansa del rivo che scorre poco lontano e d'un tratto li vedo: una
giovane madre rattrappita e immobile, ormai spenta e nella curva del suo
grembo, fra le vesti zuppe di un
liquido scuro che emana zaffate dolciastre, il suo cucciolo appena nato.
Il corpicino nudo vibra e sussulta e quando appoggio il mio
naso al suo sento l'alito caldo. L'istinto mi suggerisce subito cosa fare. Mi
volto e corro, salto e corro verso chi tutto sa e tutto può fare, verso i miei
dei. So che loro mi capiranno e allora abbaio e abbaio, a perdifiato...
C.M.