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venerdì 29 marzo 2019

Lutto, riconoscere i segni

Stella, nei ricordi



C'è un sito, che si chiama Hospice per gli animali. Su questo sito, hai trovato l'articolo che in parte riporti qui.
L'articolo, è stato scritto da Denise Flaim è stato pubblicato la prima volta da “DogFancy”, agosto 2008, volume 39, nr. 8, pag. 21. Per il sito, lo ha tradotto Elena Grassi, che si occupa dell'Hospice.
Dopo aver chiesto il nulla osta a Elena, hai deciso di pubblicarlo qui. Questo - o comunque articoli simili - fanno parte di quel processo di conoscenza che in questi anni, tra la scomparsa tormentata e solitaria di Stella e quella - speri - più composta e accompagnata di Lisa, hai provato a cominciare a costruire - intanto per te stesso, un domani, chissà 

sabato 16 marzo 2019

La vita a un certo punto finisce



In queste due settimane dalla dipartita di Lisa, non riesci a fare a meno di continuare a pensare alle questioni legate alla fine vita.
Una tua amica, Elena Vanin, ha trovato sul web un post, che ha così introdotto:

"Quanto lo trovo vero, nel suo cinismo e nella sua dolcezza.
La vita a un certo punto finisce.
Un conto è se rischia di finire troppo presto, per qualche malattia curabile, per qualcosa che altera la curva naturale della vita, allora ha senso cercare la cura, il rimedio, ma tante volte questa società sembra avere rifiutato la naturalità della morte in vecchiaia, e la cura è solo un accanimento, doloroso, faticoso, stremante e in definitiva inutile (o forse dannoso).
Abbiamo bisogno, credo, di recuperare il senso, dove il senso non è quanti giorni in più riesci a resistere, anche se sfinito, ma quanto riesci a godere del tempo che hai, con amore
".


giovedì 5 marzo 2015

Da grande voglio diventare un albero



Ci sono periodi zingari nella vita, che possono capitare perché si cambiano cose e situazioni, perché si vuole iniziare a percorrere un cammino diverso, a fare nuove esperienze a incontrare altri luoghi e persone. Ci sono. E sono allo stesso tempo motivo di gioia e curiosità, e fonte di timore.
Il nuovo è sempre attraente e spaventoso contemporaneamente,  per gli ominini homo sapiens, nel cui bagaglio evolutivo ci sono, tra le altre, due tendenze molto forti: quella esplorativa e quella sillegica (Roberto Marchesini).



Tutto questo, cosa ha a che fare con la nostra morte - che può essere essa stessa un tipo diverso di cambiamento e di viaggio?
Se in esistenza siamo - siete - stati irrequieti ma sereni esploratori della vita, attratti dagli altri viventi sul pianeta, forse ci dispiacerebbe terminare questa parte di viaggio rinchiusi in un vagone senza uscita come è una bara.

Possiamo farci cremare.

Adesso, possiamo anche farci interrare, per farci accogliere e accogliere noi stessi semi e radici di viventi che diventeranno alberi.



Il viaggio proseguirà, quindi, in uno dei modi più desiderabili che si possano immaginare, anche per quelli che per ora rimangono al di qua, e che potranno venire a sedersi alla nostra frondosa ombra.
Infatti, questo potrà accadere grazie alla Capsula Mundi, che arriva anche in Italia.



Realizzato con un materiale 100% biodegradabile, la plastica di amido, la Capsula Mundi permetterà così di ricordare il defunto non attraverso la sua lapide o un'urna ma trovandosi davanti l'albero cresciuto al di sopra del suo corpo.
Capsula Mundi è messa a dimora come un seme nella terra; sopra di essa - a segnarne spazialmente la presenza, viene lasciato un cerchio di terra ribassato. Al centro di questo è piantato un albero la cui essenza viene scelta in vita dal defunto e sarà cura dei parenti e degli amici seguirne la crescita”.

Il futuro sarà di cimiteri verdi

A me piace pensare che questo cimitero supererà anche le illusorie barriere di specie, e che tra le radici di questi nuovi alberi si mescoleranno insieme tutti, tanti animali, umani compresi.

martedì 28 ottobre 2014

Del lutto



Ceto e Frufi

Ho letto d'un fiato questo articolo di Rita Ciatti, che focalizza benissimo i delicati concetti legati al lutto, all'assenza, al prendersi cura.
Soprattutto, il 'prendersi cura', è secondo me a due sensi: la creatura di cui ci stiamo prendendo cura, infatti, a sua volta si prende cura di noi, dandoci la sua intera vita. Nel mio caso, Stella proteggeva me almeno tanto quanto io proteggevo lei.
La consapevolezza che riceviamo cura, oltre che elargirla, non dovrebbe abbandonarci mai: è il modo più immediato per conoscere e riconoscere la facoltà che hanno gli altri animali di agire in modo 'presente' e (auto)cosciente. 
Non sono mai passivi, nemmeno quando sono prigionieri della morsa zootecnica o vivisettoria: in quei casi cercano di resistere, di fuggire, anche - gioco forza - con scelte estreme, dal momento che quei contesti estremamente pressanti non gli lasciano molte opzioni. 

La dignità della morte, il senso e il valore della loro vita, non può non venire riconosciuta.
In ambito umano queste riflessioni vengono fatte, soprattutto nella nostra epoca di tecnomedicina, dove il rischio di fare del malato una mera semplificazione della malattia è molto alto. Un esempio è questo ciclo di conferenze, di cui mi è giunta notizia via mail. 

Mi piacerebbe che la 'bolla umana' alla fine si aprisse, per superare l'orlo dell'antroposfera così claustrofobica, per far dialogare le varie fine vita, anche quella dell'animale che noi siamo, insieme a loro. 




domenica 9 febbraio 2014

La Filastrocca di Ceto e Frufi

Ceto e Frufi a nanna, gennaio 2004

Aceto faceva di nome

Ma abbaiava fragrante come un pezzo di pane



Anche se a volte cadeva per terra

Lungo disteso come pasta di sfoglia



Tenace paziente lui barcollava

Poi con cautela dal pavimento lustrato

Pian piano Aceto lui si rialzava



Senza troppo pensare alla paura

Era il suo cuore che scivolava senza avvisare

Un po’ si fermava e Aceto per forza si riposava



---



Frou Frou il suo nome in sorte

Che abbaiava croccante come il panforte



Bianca farinosa senza posa ogni mattina

Si rannicchiava sulla sua copertina



Le zampe sue erano dispettose

Perché invece che correre veloci

Come rami le trovavi nodose

Giorno faceva e lei stesa restava



Erano dolori che la facevan guaire e tremare

Carezze e massaggi e Frou Frou pian pian si rincuorava



---



Vissero insieme felici e contenti

Nella casa del mugnaio del paese dei venti

Vecchi cani pelosi chi bianco e chi nero

Giocare o dormire per un mese intero



Vissero insieme felici e contenti

In mezzo ai prati verdi da annusare interi

Il naso di lei dietro al naso di lui senti

Odori a milioni tutti quanti veri



Poi venne il giorno che senza dir niente

Andarono altrove prima l’uno poi l’altra

Le zampe di lei dietro alle zampe di lui senti

Prima aceto poi Frou Frou

Un soffio discreto non ci sono più



Ceto e Frufi, maggio 2003



Non è vero ci sono ancora

Il mugnaio del paese dei venti s’addolora

Uva biancospina e nero mirtillo

Nell’angolo di prato un tenue solillo

Crescono piantati accanto a ciascuno

Un sasso di fiume da poter toccare

E per sempre sussurrare all’erba nel vento

Prima Aceto e poi Frou Frou nel cuore

Nemmeno un giorno dimenticati

Nemmeno un anno nemmeno cento

Nota: la filastrocca, scritta per ricordare Ceto e Frufi, irripetibili cani che mi hanno aperto le porte del fare aiuto volontario nei rifugi per cani - e da lì, tutto il resto che riguarda l'animale Giovanni con gli altri suoi simili -  è stata pubblicata sul libro antologia "Amicizie speciali 2"

martedì 4 febbraio 2014

Vale più una immagine (3)

Lisa, 13 anni, estate 2013
Fonte: http://isaleshko.com/elderly-animals/

Gli animali anziani hanno una fragilità forte per la quale provo grande emozione.
Forse dipende dal fatto che tutto il loro muoversi e vivere nello spazio del mondo, ogni loro espressione e ogni loro dialogo, è ricchissimo di esperienza, e io cerco di osservare i segni di questa esperienza, di questa idea del mondo, a volte cerco persino di impararne qualcosa. Perché è sicuro che una idea del mondo, se la sono fatta, altroché!
Per esempio: il come possano aver trascorso una vita fatta di segregazione e privazioni, conservando la fame di vitalità, che coglie ogni occasione per rincorrere i fili d'erba in un prato, per bere l'acqua fresca del torrente, in mezzo a una caldissima estate, capaci di non perdere tempo prezioso in rimpianti, ma davvero cogliendo l'attimo - come se fossero ancora e per sempre giovani avventurosi alla scoperta di tutte le cose, da vivere nella loro pienezza. Questo è (anche se non è più visibile) Oscar, intrepido e trasognato. (Scrive Christina Anagnos, nel suo libro sulla violenza verso le donne, che "la sensazione di libertà eterna che porta la fine definitiva di un martirio, produce un'euforia incontrollabile, ti abitui subito alla nuova realtà e capisci ancora meglio le cose che ti eri persa per tanti anni"; e a me son sembrate parole che possono benissimo calzare anche per un qualsiasi individuo altranimale reduce da qualsivoglia maltrattamento; e di certo per Oscar sembrano scritte da qualcuno che lo ha conosciuto!).

Per esempio: il fatto di come abbiano affrontato maltrattamenti e pericoli e oltraggi fisici - che hanno lasciato il segno indelebile nel corpo - senza perdere nemmeno una briciola di vivacità e tenacia, o dell'intrigante curiosità che fa annusare ovunque, e della tenerezza scontrosa che si rannicchia contro il respiro dell'umano amato, capaci di godere di ogni momento di sicurezza (un prato di trifogli al sole primaverile), o di scoperta (le vie di un paesino lontano); e capaci - cosa ancor più notevole - di lottare con grinta contro un handicap fisico pericoloso e potenzialmente mortale, con una forza coraggiosa che si rinfocola con la fiducia di avere un sostegno vicino. Questa è Lisa, briosa e sensibile. (Nella foto è lei).

Ho parlato di cani: il cane, che è compagno dalle origini - reciproche - con homo; e che è il nostro legame con la nostra animalità (forse per questo che la sua domanda di lealtà viene spesso tradita?), a un livello profondissimo. 

Ma è del tutto evidente che non solo i cani,  ogni animale condivide con homo il 'privilegio' di invecchiare per infine morire.  Anche gli altri individui animali che invecchiano, distillano la loro personalità individuale, diventano oltre modo irripetibili, non si può guardare a loro e poi tornare a pensarli come 'cose', come purtroppo accade sempre e anche troppo. Perciò le immagini di Isa Leshko mi hanno chiesto di fermarmi a osservarle? Forse.
Leggo: "La fotografa Isa Leshko Photography ha iniziato a fotografare animali anziani dopo che a sua madre è stato diagnosticato il Morbo di Alzheimer. L’improvvisa vicinanza con la malattia l’ha costretta a confrontarsi con la morte e, prima ancora, con l’enorme dignità di individui che portano sulle spalle una vita intera.

Nasce così la serie 'Elderly Animals’, i cui protagonisti sono animali anziani, malati, ritratti in bianco e nero. Immagini che riguardano ognuno di noi, che vanno a toccare la nostra intima paura di invecchiare e l’incredibile serenità con cui sanno farlo gli animali."


 Ma in che modo ci dovrebbero riguardare queste immagini? La vecchiaia e la debolezza fisica che le si accompagna, viene rifiutata e temuta nella nostra società, non dico nulla di nuovo. Se vogliamo davvero guardare questi animali anziani, senza sovrapporre il nostro sguardo e il nostro sentire, forse dovremmo provare a cogliere - di ciascuna immagine - la essenza di una vita intera - quella-vita-individuale-irripetibile - che invecchia e ci lascia i suoi ricordi, attraverso i suoi gesti: la sua eredità autentica. Se siamo fortunati, saremo in grado di capire quali di questi gesti sono anche parte delle nostre abitudini, e come - in tal modo - possiamo, o vogliamo, invecchiare anche noi, incamminandoci come loro, o magari con loro, alla fine della vita. Non credo che significhi arrendersi, tuttavia. Chissà? Dopo aver osservato questo, quindi, smettere di guardare, lasciare all'anziano del ritratto, il successivo diritto di non farsi ritrarre più, di sottrarsi agli sguardi.

La pagina dedicata a questo progetto, fatte queste premesse, ha il pregio di regalarci l'essenza dell'anzianità di molti animali il cui destino impostogli con crudeltà, è invece quello di morire giovani - anzi, bambini. Essenza anziana: occhi lucidi, grinze nel corpo, sonno, sogno, presenza visibile e allo stesso tempo già distante, altrove.

venerdì 13 dicembre 2013

Il cervo

fonte della foto: Facebook, da Internet

 Non so da dove né come iniziare.Perché oggi, ho accarezzato e baciato un cervo, davanti ai cacciatori che lo avevano appena ucciso coi loro fucili dotati di telemetro, in Valsesia. Le emozioni sono mille, i pensieri duemila, tutti intrecciati: e così, i dubbi e le domande sono tremila.

Forse se inizio dal principio. La Valsesia è una valle chiusa. I suoi abitanti, nei secoli, hanno acquisito durezza di carattere e di cuore, che nel XXI secolo, non si è mitigata, nemmeno nei più giovani.
Eppure, ho amato e amo questi LUOGHI, anche se faccio grande fatica con le persone che li abitano – e questo è anche un mio punto debole, ne sono cosciente.
Proprio per questo, ho passato molti significativi anni della mia vita tra questi boschi. Anche questa mattina, ero a passeggio con i miei cani. Eravamo vicino alla riva di un fiume: prato innevato sotto il sole lontano del mezzodì di dicembre, grandi sassi della riva, e davanti a noi boschi sulle pendici già in ombra. Si può pensare qualcosa di più rinfrancante?

Di colpo. A distanza non troppo breve,risuonano quattro potenti detonazioni: tutte le rocce delle montagne intorno, coi tronchi dei loro alberi, e i rami suoi tronchi, e gli aghi e il fogliame sui rami, e gli animali tra i tronchi, i rami e le radici, ne risuonano, ogni volta,  a lungo. Tremano, come trema il mio animo, perché capisco al volo che cosa ho udito: spari di fucile. Vorrei che fossero andati a vuoto, ma scoprirò a breve che non è stato così.

Vicino alla bella passeggiata – che tale è per una persona di città, e chissà invece che cosa rappresenta per un montanaro che vive qui tutto l'anno – c'è un accogliente pub – che definire bar è riduttivo, e chiamare locanda è fuorviante. Lasciati i cani in auto, entro per bere un caffè. Di lì a poco, arriva il pick up dei cacciatori. Col cervo disteso e legato con le corde.
Sono quattro, o cinque, li conosco quasi tutti; solo uno, dal modo di muoversi e di parlare, non sembra originario del posto.

Se sul subito mi rifiuto di uscire, quasi da un secondo all'altro, invece, cambio idea: penso che lo devo al cervo, almeno un gesto di rispetto, di saluto. Mi faccio coraggio. Esco. Sono vigile, mi accorgo di notare ogni minimo dettaglio. Mi avvicino al pick up, in fondo al parcheggio della piccola piazza. Mi vedono, sanno chi sono, non mi bloccano, ma nemmeno mi fanno passare. Ridono. Un bambino che di sicuro frequenta già le elementari, è arrampicato sulla sponda, spinge il torace inerte del cervo con la piccola mano. Ride. Guarda suo papà, che è tra i cacciatori. È un bel bambino, e conosco suo padre. Chiedo permesso a uno dei cacciatori, che mi volta le spalle e intanto afferra il palco di corna e muove la testa del cervo, come fosse un pupazzo. Chiedo permesso, si scosta e così posso avvicinarmi al cervo. Noto le ferite, varie, sul corpo non così grande. Sento in lontananza, che parlano di come lo hanno braccato e sparato, di quanto può pesare e valere, di quanta carne, di cosa fare col palco, e altri discorsi (prezzi, leggi, tasse, qui tutto è misurato con questi criteri)... ma le loro parole sono in sottofondo. Guardo solo lui, vorrei che potesse vedermi anche lui. Lo accarezzo, più volte. Poi decido che non basta, e perciò di baciarlo in fronte. Il pick up è molto alto, riesco a baciare la mia mano, e appoggio il bacio sulla sua fronte, gli sussurro parole. Sento uno dei cacciatori, che ben mi conosce, esclamare qualcosa, ma è in dialetto che non comprendo. Alzo gli occhi, mi accorgo che il bambino mi guarda con gli occhi sgranati.

È tutto. Il fatto è tutto qui. Ma mi scardina dentro e pensieri escono a valanga. Come doveva essere bello questo cervo, stamattina, all'alba, col ghiaccio che esce dalle narici nel respiro, gli occhi attenti, le orecchie che si muovono; lui sente il calore del proprio corpo, è giovane, la luce sta tornando nel bosco, perciò è felice. Ha fame e inizia a cercare cibo. Ce n'è poco, forse perciò si avventura vicino ai luoghi che puzzano delle cose dei duegambe-senza-corna, anche se ciò lo agita. (scoprirò che sono due settimane che gli danno la caccia: in 4, o più, coi telemetri, coi mirini, nutriti, loro, e al caldo... vigliacchi: credo che lo abbiano sorpreso tradendo la sua ingenuità della gioventù).
Come si sente vivo! Chissà se c'erano altri cervi con lui, chissà se invece era solo, ma fiducioso nelle sue forze, e sentiva nell'aria messaggi odorosi di compagni della sua specie.

Tutto questo, agli umani col fucile e gli occhi piccoli e le rughe nelle facce tirchie e tirate, specchio di cuori avidi e gelidi, non interessa. Loro lo vedono come un'pezzo' di qualcosa da smembrare, mangiare, vendere, scaricare, gettare.

Ho già detto anche troppo. Mi fermo, non perché non ci siano altri mille pensieri, ma perché di più di così, vorrebbe dire togliere dignità e rispetto a questo cervo, e spazio al mio desiderio di poterlo salutare col mio addio dal profondo della mia anima.

Ricordo solo – per chiudere con l'incanto e la speranza - un altro Grande Cervo che vidi anni fa: io ero in auto, lui era appena fuori da una galleria che sbocca sul tratto finale e rettilineo della valle. Grande al chiaro di luna, davvero maestoso. Senza paura, mi guarda. Si allontana, procede senza fretta, seguito dalla sua compagna e dai loro due figli. Torna nel bosco: una incarnazione magica. 

Postilla: ho scritto questa nota di getto, incerto se pubblicarla, ma incoraggiato a farlo da amiche preziose. Ha suscitato commozione su Facebook, e si è diffusa tantissimo in poche ore. Dico questo, non per vanto, ma perché mi conforta interpretarlo come un segnale di speranza.. Un'amica ha detto una cosa che mi ha fatto molto pensare: che in qualche modo il cervo ha "scelto" questa fine (se loro percepiscono altri mondi e hanno un senso diverso del divenire), per incontrarmi, per incrociare il mio destino e che io vedessi quanto è cruenta la caccia, dopo averne solo e sempre parlato. Così, non devo lasciare tutto ciò come inaccaduto... e sono davvero grato a questo nobile individuo.

venerdì 29 novembre 2013

Vale più una immagine ... (1)

Oscar, forse 14 anni, estate 2012


Scoprire le fotografie di Sarah Ernhart:  ritratti di cani ai quali rimane ormai poco da vivere per malattia.   Perché i cani anziani sono così intensi, perché i cani anziani sono un regalo della sorte e allo stesso tempo una prova per la nostra misura di con-passione. Sono così belli i cani anziani,sono allo stesso tempo fragili e forti. I momenti che si incamminano verso la fine vita e che possiamo vivere accanto a loro, sono carichi di ricordi, che si dipanano mentre si prestano le cure, l'assenza soffia già la sua anticipazione, mentre si danno le ogni volta ultime carezze. Tanto c'è da dire su questo momento, che è anche una pratica di assistenza, perciò spero di scriverne più avanti dei post dedicati.  Qui, basta dire che le foto della Ernhart (gli occhi dei 'suoi' cani anziani sembrano scintillare) - ma anche le foto che forse ciascuno di noi che ami davvero l'animale suo compagno, saprebbe e potrebbe fare - raccontano della dignità di una vita amata che si estingue per - forse - trasformarsi in altra vita. E allo stesso tempo donano ulteriore dignità, grazie al tempo dedicato:  perché ci sono cani - invece - che muiono soli e con dolore, e non visti, come mai esistiti - la loro la dignità non è che l'ultimo furto subito, dopo gli slanci della gioia di vivere,  dopo la forza del corpo in salute,  dopo i desideri e le speranze che si possono esprimere solo accanto a qualcuno che si prende cura di te e per te.

Postilla:
Ho vissuto, tanto o poco, con diversi cani: di Giannino, cucciolone di boxer, c'è solo una vecchissima polaroid dai colori ormai falsati, leggermente sottoesposta e fuori fuoco; dei dieci anni di Bella, pastora tedesca dal pelo lungo, rimane qualche manciata di foto, di cui una in primo piano, ma tutte, o quasi, polaroid - o comunque analogiche; con Ceto e con Frufi, arrivano finalmente le foto digitali, che li ritraggono - anziani - in molte situazioni: gli album dei loro ricordi sono piccoli, ma finalmente abbozzano una storia.
Con Stella e quindi con Lisa, in trio per un breve ineffabile anno-o-poco-più con Oscar (è lui nella foto, avventuroso anziano a suo agio in un fresco torrente), le foto diventano centinaia: sequenze di giorni, settimane, mesi, episodi e luoghi, ritratti o scatti al volo, o di corsa, momenti quotidiani, oppure eventi o episodi da ricordare, come viaggi e vacanze. La storia è oramai un lungo romanzo per immagini - da scommeterci che Elizabeth Barrett Browning, se ne avesse avuti i mezzi, sarebbe stata una assidua fotografa del suo amato Flush.

(1-continua)


















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