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sabato 16 novembre 2019

Canile 3.0 - Ep#08: Il Villaggio dei Randagi, Caraffa di Catanzaro (CZ)

dal sito della associazione

Ed eccolo, il famoso / famigerato 'Meridione' dei cani. In una località che immagini non facilissima da raggiungere, magari misteriosa persino per il navigatore, ecco che scopriamo una realtà che ci farà fare un primo, appena percettibile spostamento rispetto alla idea di canile che predomina soprattutto nel famoso / sovrastimato 'Settentrione'...


sabato 8 giugno 2019

James Rachels, Creato dagli animali - (L'acqua sporca dei bambini)

"stanco ma felice"

Riprendi con piacere una idea editoriale di Veganzetta. Ne hai parlato con Adriano Fragano - che vuoi ringraziare - prima di prendere l'iniziativa, per avere il suo nulla osta.
Anche tu pensi, infatti, che 'le persone che si occupano di animali' , abbiano bisogno di conoscere se stessi. Già il fatto che tu abbia sentito la necessità di designarli con questa espressione è indicativo del come il 'movimento' sia elusivo da trovare e riconoscere. Sai che al suo interno ci sono animalisti, come antispecisti; vegani come attivisti - e decine di altre categorie, ma siamo a un punto in cui nemmeno più i nomi trovano consenso nel definire le peculiarità.

Un modo efficace per conoscersi, credi allora, è proprio questo: di coltivare la memoria storica delle proprie radici - perché le radici ci sono. Citi da Veganzetta: "c’è stato chi ben prima ... di noi questi argomenti li ha pensati e vissuti intensamente. Le idee cambiano, i concetti si evolvono, ma non tutto ciò che è del passato è sistematicamente sbagliato o peggio ancora da rinnegare. Ciò che siamo (e che pensiamo oggi) è il risultato di una lunga storia che non va dimenticata".

Lui è James Rachels, a proposito.


domenica 28 dicembre 2014

Nel 2015: in bocca al lupo!


Le parole contano. la parola 'vegano', per esempio, è talmente 'aliena' da aver suscitato le paure e le reazioni difensive del sistema turboconsumistico nel quale trascorriamo quasi tutti i giorni della nostra vita.  Se una volta i vegani erano facilmente riconoscibili - perché pochi e agguerriti - e facilmente riconoscibile era la loro azione di opposizione a un sistema fondato su una violenza strutturale, oggi non è più così. I vegani sono stati assorbiti, sono stati confinati tra cucine, palestre e spa, il loro afflato etico è stato depontenziato, al punto che perfino tra gli stessi vegani (animalisti, antispecisti: sono altre etichette forse non depotenziate, ma mistificate) c'è in merito confusione. Oggi il vegano etico deve affrontare una nemesi interna assai insidiosa, il vegano consumatore, come lo inquadra il Laboratorio Antispecista , su Veganzetta. Il vegano consumatore è intrinsecamente egoista. E il senso di "disobbedienza civile" che si può attribuire all'essere vegani, viene completamente cancellato.

Che fare? Il vegano invece non deve smettere di essere aperto nei confronti dell'altro, altranimale o umanimale. Non deve abbandonare l'etica, né la politica.
"oggi dobbiamo reagire.
A partire dal linguaggio, sicuramente, tornando come dicevamo a parlare di Liberazione, quella con la L maiuscola, continuando caparbiamente a parlare con chi oggi forse in numero maggiore può ascoltare e facendogli suonare nelle orecchie concetti pieni, senza paura di sconvolgere e piuttosto – forse- con l’obiettivo di farlo. " . Si legge in chiusura all'articolo. 

Il linguaggio, di cosa è fatto? Di parole, e frasi, che insieme comunicano idee, pensieri, concetti, emozioni. Anche attraverso i modi di dire, sedimentati nei secoli, le frasi fatte, le parole-che-non-ti-ho-detto, le parole cartina di tornasole, le parole del referente assente .

IN BOCCA AL LUPO!





Mi pare che questa spiegazione inscritta nella foto, abbia un che di etologico che la rende molto condivisibile. La trovo molto bella, limpida, diretta, onesta, persino coraggiosa. Sembra come una finestra sulla lupinità libera, che finalmente abbiamo intenzione di cominciare a guardare, dalla giusta distanza (la distanza del rispetto dello spazio altrui, non la distanza della paura irriflessiva). Se l'augurio è vecchio, questa più recente motivazione gli ridona attualità, lo trasporta verso nuovi territori, abitati da diverse sensibilità, nuove aperture, diversi movimenti verso l'incontro dell'altro - infinite altre singolarità viventi. Anche quelle umane, gli umanimali.

L'armamentario delle spiegazioni che vengono da altre fonti riportate, appaiono invece molto di più come il riflesso di una chiusura oppositiva, di una esclusione: ci raccontano di realtà diverse - anche se a ben pensarci non così tanto, purtroppo (si pensi a Daniza, alle campagne di disinfestazione di nutrie, cinghiali, lupi, ricorrenti in varie Regioni italiane) - fatte di ostilità immediata nei confronti di qualsiasi altro animale.

Per prima cosa, occorre sapere che il significato scaramantico è comune a tutte le spiegazioni.

Una prima interpretazione vuole che la frase derivi dal linguaggio di pastori e allevatori per i quali il lupo era temuto più di tutti gli altri animali a causa della sua voracità per il bestiame del quale essi si occupavano.

Un'altra spiegazione, invece, deriva dai cacciatori che sopprimevano i lupi poiché ritenuti pericolosi per gli umani. In questo caso dire "in bocca al lupo" significava augurare "buona caccia".

 Sempre riguardante la caccia sarebbe la spiegazione dell'espressione secondo la quale chi andava a cacciare il lupo doveva avvicinarsi e quindi metaforicamente "mettersi nella bocca del lupo". A questo augurio avrebbe senso rispondere "crepi il lupo" poiché per affrontarlo ci voleva molto coraggio e fortuna.

 Altri ancora pensano che il detto derivi dal greco per assonanza ovvero: "prendi la retta via" e rispondere "la prenderò".

Un'ennesima interpretazione prende spunto dalla storia dell'origine di Roma: Romolo e Remo vennero salvati dalla lupa. Così, se qualcuno rivolge l'espressione all'altro, si augura fortuna. Anche se in questo caso la risposta "crepi" o "crepi il lupo" non avrebbe senso poiché l'animale sarebbe considerato "la salvezza".


Una spiegazione del termine ci è data, invece, dalla navigazione dove "la bocca del lupo" era la "lavagna" sulla quale si registravano i nomi degli uomini e delle merci portate a casa e quindi l'espressione avrebbe avuto il senso di una "buona navigazione".


L'Accademia della Crusca, parla di paure ataviche, di allegorie medievali del lupo, creatura malvagia, falsa, crudele - un ennesimo esempio della antropomorfizzazione simbolica in negativo operata a danno degli animali. In controluce, si intravede la funzione apotropaica della formula, poiché mettersi in bocca al lupo equivale a mettersi nel potere del "nimico" e dunque l'augurio diventa antifrastico, perché si spera in realtà il contrario di quel che viene apparentemente augurato. Così è, se vi piace.

Con tutte queste bocche, però, a me viene in mente - per associazione libera - la locuzione quasi intraducibile “Il faut bien manger” del filosofo Jacques Derrida.
La si traduce di solito in due modi contemporaneamente: "bisogna pur mangiare" e "bisogna ben mangiare". Il doppio senso, questo inafferrabile 'lost in traslation", rinvia al motivo etico fondamentale dell'ospitalità dell'Altro, tanto esaminata da Derrida.

Venire divorati dal lupo nel senso di venirne ospitati, accolti?
Potrebbe essere  quel che è accaduto quando il lupo e l'uomo si incontrarono e dalla loro unione nacque quel vivente che noi oggi conosciamo come il cane?
Il lupo ha divorato l'umano attraverso il cibo dell'umano: ha riconosciuto l'umano, lo ha riconosciuto come compagno suo pari, ha deciso di unire il proprio percorso di vita a quello dell'uomo?

Questi, sono solo pensieri in libertà, libere concatenazioni di suggestioni, un pretesto per l'augurio scaramantico mentre si approssima il cambio simbolico dell'anno.

Nel 2015, in bocca al lupo.
(si risponde: "Viva il lupo": ossia, "(ev)viva il lupo", ma anche "lunga vita al lupo".

mercoledì 5 novembre 2014

Ma che ocone sono, io vegano!

Oche a Cascina Carola


Il blog sta per arrivare a compiere i suoi primi 365 giorni o giù di lì.
Purtroppo, poiché sono ancora tecnologicamente svantaggiato e ho finestre di un'ora al giorno per poter navigare su computer altrui (la mediateca della biblilioteca), non posso scrivere tanto quanto vorrei.
Ne beneficia la scrittua vecchio stile, con carta e penna, se non altro!

Un primo anticipo di regalo, comunque, è legato alla notizia della debacle borsistica della Moncler, come conseguenza delle inchieste giornalistiche.

Mi rimando - e rimando i volenterosi lettori (uhmamma, sono posseduto forse da Manzoni?!)  - ai contenuti di Veganzetta e di Il Dolce Domani, per poter approfondire.. Mi limiterò a rapide postille.

Che significato può avere il calo delle azioni della Mocler?

Come ho scritto, forse significa che qualche sparuto barlume di coscienza ogni tanto si illumina nelle menti delle persone? altrimenti, come spiegare questa perdita?
Col che, ci troviamo sul crinale economico che fa la sottile differenza tra le istanze cruelty free inglobate nella logica consumistica e quindi addomesticate e derubricate a semplice stile o moda; e una forma di pressione per manifestare e/o orientare desiderie volontà di cambiamenti, usando uno strumento efficace come la scelta di spesa e di acquisto (una cosa molto anglosassone, direi :) ).

Lungo questo crinale si muovono teorie di lotta politica e di gestione dell'agenda politica e sociale.
Aggiungo però una considerazione: se davvero ci fosse stato un sobbalzo delle coscienze, ne sarei felice. Ma vorrei che questo sobbalzo non fosse momentaneo, che potesse diventare - se non in tutti, almeno in alcune delle persone - il primo tassello per la costruzione di una nuova consapevolezza, prima di tutto sul piano personale, individuale, legato al proprio vissuto biografico. In seconda battuta, e per amor di paradosso, mi viene da dire che questo sobbalzo non dovrebbe nemmeno accadere, poiché dovrebbe essere evidente che la logica stessa della superproduzione di oggetti ritenuti 'di stile, di moda, di classe', che si vogliono onniprsenti come marchio e sempre disponibili per l'acquisto, e che sono basati sull'oppressione di individui che sono nati oche invece che umani  - anzi, che di questa origine animale fanno vanto di distinziione, qualità, buon gusto e stile esclusivo - non può che funzionare triturando letteralmente e ogni giorno milioni e milioni di oche prigioniere.

Che questo risulti come una sconvolgente sorpresa inaspettata, mi fa una volta di più constatare la pervasività del marketing specista, abilissimo nel mstificare una realtà altrimenti - e giustamente - del tutto esecrabile.
E mi fa anche preoccupare non poco.
E mi fa convincere ancor di più che essere vegano non è solo e  non deve essere confuso col mangiare tofu e seitan in ricette da chef, ma è soprattutto un orientamento etico, da far conoscere.

giovedì 9 ottobre 2014

La vita è un gomitolo

il cane Excalibur, (foto presa da Veganzetta )

La vita è un gomitolo? Sì, e potrebbe essere una raffigurazione buona come un'altra per immaginarci i complicati universi della meccanica quantistica e le loro multidimensioni, dove il tempo perde di significato e guadagna in direzioni.

Ma - nel nostro piccolo - abbiamo la serendipità, che ci permette di annodare e poi ridipanare insieme i tanti fili che scorrono e svolazzano nelle nostre vite individuali.

Così, ecco il perché della foto di Excalibur, il cane ucciso per 'sospetta positività al virus Ebola'. 
In nome dello specismo, gli umani fanno agevolmente balzi indietro di secoli, quando altri umani sospettati di essere untori o contagiati di malattie temute, venivano facilmente estromessi o  -al contrario - incarcerati, o uccisi. Di Excalibur non è stato rispettato nulla: né il suo legame affettivo con l'umana sua compagna, né la sua integrità, né la sua serenità, né la sua dignità né - e a questo punto, poteva essere diversamente? - la sua vita.

Per ora, mi limito a condividere le parole di Cereal Killer su Veganzetta, e di Rita Ciatti su Gallinae in Fabula, con la riserva di tornarci per un post dedicato. Excalibur è stato eliminato - al pari di un rifiuto contaminato e pericoloso - in quanto non umano. 

Forse Excalibur avrebbe potuto ricevere cure, o per lo meno attenzioni per una fine vita dignitosa - lo stesso trattamento riservato al compagno umano dell'infermiera spagnola contagiata.

E qui, si annoda l'altro piccolo filo di cui vorrei parlare, quello che invece potrebbe entrare a far parte della nuova e diversa visione che le tante persone che si definiscono antispeciste provano a immaginare e anche a realizzare, in piccoli spicchi di intrusione nella realtà del dominio meccanico che ci circonda fin sotto la pelle.
Perché questo cane, che è stato affettuoso e amico della sua umana, avrebbe meritato - in caso di morte - la dignità e il rispetto del lutto, che si dà a qualcuno amato.
In un parziale rovesciamento di prospettiva, Excalibur, proprio in quanto cane, in quanto altro animale, reclama e merita il lutto, la memoria. 

Ma senza che diventi una bandiera (sarebbe - io credo - una ulteriore forma di irrispettosa appropriazione indebita): basterebbe che si tenesse a mente come un movimento più aperto e accogliente verso la vita, la vita-diversa, la vita individuale, potrebbe generare un dipanarsi di tante conseguenze più benigne, più orientate alla condivisione invece che al dominio distruttivo.
Di questo movimento-verso-la-vita, fa secondo me parte anche e proprio l'attenzione e il rispetto ai e per i tempi e i sentimenti e le emozioni della perdita e del lutto.

Possiamo riportare questo movimento - anzi,. forse dobbiamo, per dare un'ancora concreta al nostro anelito per un mondo altro da quello presente - alle nostre esperienze vissute, alla nostra biografia, ai nostri lutti.  
In questo senso, mi ha molto colpito - ma anche confortato - l'articolo di Sharon Callahan, tradotto da Elena Grassi, di Impronte di Luce, che potete leggere qui.
Dobbiamo 'rispettare il dipanarsi del nostro lutto': questo sentimento si dipana come un filo rosso e può dare un senso profondo, fatto non solo di dolore, al nostro rapporto, al nostro modo di con-vivere gli altri animali - sia quelli compagni - ma anche com-presenti -  nelle nostre case, sia quelli incontrati nelle città o nei luoghi dove l'umano è meno presente e pressante o quasi assente.
Ogni lutto è unico e va rispettato, nei suoi tempi e nei suoi modi. Leggete l'articolo e spero che ne troverete forti motivazioni e conforto come è capitato a me.
Per concludere - poiché scrivo ancora da computer nomadi e il tempo non è sempre quello che vorrei io - posso dire che per me, di questo articolo, è molto importante la consapevolezza di abbandonare i sensi di colpa; di mettersi nella disposizione di coltivare una relazione spirituale col proprio animale amato; in questo modo, potremo entrare in comunione con  lui, nella nostra coscienza. 
Tutto questo - e molto altro-  dovrebbe - o potrebbe - portare al passo finale: trovare un modo per essere di servizio ad altri nella loro sofferenza.

E per ora, è proprio tutto quello che ho da dire.

venerdì 12 settembre 2014

Daniza è morta

Fonte: Veganzetta

Daniza è morta. Una morte annunciata. Ora i suoi figli sono orfani, bambini orsi spauriti, spaventati, disorientati, in balìa dell'umano.

Poche righe, di dolore per Lei e per i suoi bambini. Di disgusto verso quegli umani che ne hanno decretato fin da subito, un destino di cancellazione. Il suo 'crimine': lesa umanità, compiuta per aver protetto i suoi figli da un invadente umano che come al solito dà per scontato che le sue esigenze, i suoi bisogni, i suoi capricci, le sue decisioni, debbano sempre e comunque avere corso: Mai un freno, mai una sosta, mai una deviazione. Mai una riflessione, né tantomeno una qualche forma di empatia, una volontà di immedesimarsi.

Caso ha voluto che questa mattina, mentre ero a giocare con i tre cani coi quali vivo, un uomo che conosco, col suo bel cane, un diafano setter, si sia fermato a dirmi quel che  ne pensava:

"Quel tipo dei funghi è andato a infastidirla, ha invaso la sua casa, il suo bosco, per prendere quei funghi. Lei non aveva altra scelta che scacciarlo! Quell'uomo non si è comportato bene. Se un qualche animale si sbaglia a essere vicino ai 'tuoi' funghi, allora l'unica cosa che è giusto che tu faccia, è cambiare strada, cercarne altri altrove ... oppure aspettare che quell' animale - che è nella sua casa, mentre tu invece sei un estraneo - se ne vada altrove, di sua volontà, in tranquillità (è quello che fanno e che farebbero tra di loro la stragrande maggioranza degli abitanti altranimali di un bosco come quello dove aveva Daniza la sua casa).

"Era lei a casa sua, ma la mente umana dei guardiani, ha solo e subito pensato come trovarla per eliminarla. In tutti i suoi anni di vita, Daniza ha sempre sopportato le invadenze umane, è bastato che per una sola volta chiedesse di essere lasciata tranquilla, per ottenere una condanna a morte.

"Anche quelli che sono andati a filmarla: Daniza che attraversa la strada... non li voglio vedere quei filmati, non mi interessano. Anche questi sono stati una invasione della sua vita, dei suoi spazi. Io so che lì, in quel bosco, vivono degi animali liberi, e  mi piace pensare che lo siano davvero, anche dagli sguardi indiscreti e invadenti. Come se qualcuno venisse ad aprire la porta di casa mia e filmarmi mentre sto cenando, convinto di essere al sicuro nei miei spazi.

"Io penso che tutta la vicenda sia stata condotta in modo vergognoso e prepotente. Adesso, tutte queste persone fanno a gara a chi si prenderà cura degli orsacchiotti: ma se, invece, l'avessero lasciata stare prima di arrivare a questa situazione irreparabile? Per conto mio, adesso, quei cuccioli, sono in gravissimo pericolo".

Daniza è morta - verrebbe da dire -  "in ottemperanza all'ordinanza". Il suo epitaffio: il comunicato stampa, riportato - tra gli altri, da Veganzetta - sul sito ufficiale della provincia di Trento
Si intitola: "Daniza non sopravvive alla telenarcosi" (corsivo mio): come se la vera preoccupazione fosse la sua sopravvivenza, o il suo benessere, o la sua tranquillità. Come se non si sapesse che l'anestesia - persino nelle situazioni più monitorate - ha sempre una non trascurabile margine di rischio (rischio, cioè morte).

Adesso, si legge, a uno dei suoi figli - catturato (senza anestesia?) - è stata applicata una marca auricolare. Per poi rilasciarlo (?).
A quale scopo? E dov'è l'altro giovane orso? Dove verranno portati? E fra quanti anni verrà deciso dalla autorità che sono diventati animali pericolosi per l'incolumità urbana? Dove si decide il confine della 'zona antropica' da non oltrepassare? E chi lo decide?

Alcune domande sono volutamente ingenue, sono le cosiddette domande retoriche. 
Una delle poche certezze è che la "analisi autoptica" (perché a Daniza? Un ulteriore spregio del suo corpo, che ormai è solo carcassa?) andrebbe fatta alla "pietà", per la quale la derridiana e inpari guerra è sempre in corso bruciante e sotterraneo.

PS
aggiungo questo link, ripreso da Rita Ciatti sui social forum

domenica 27 aprile 2014

Vale più una immagine (6)

Foto di

Vyacheslav Mishchenko

"Mettere in salvo una Chiocciolina che sta attraversando la strada, a rischio di essere calpestata, posizionandola in un luogo più sicuro, è anch’essa una maniera di liberare un Animale, questa volta agendo preventivamente."
Queste parole di Rita Ciatti mi sono venute in mente come associazione immediata, nel guardare le foto di Vyacheslav Mishchenko, (e, a proposito, una lumaca disegnata appare anche sul numero di Veganzetta dove è stato pubblicato l'articolo di Rita Ciatti: vedere per credere :) ).
In queste si entra in un altro mondo, in un'altra dimensione - letteralmente -  e si capisce immediatamente quanto siano minuscole, e quanto (ci) sembrino quindi tanto più esposte agli urti della realtà, che ci appare - di contro - tanto più incommensurabile. 
Salvarle, perciò, significa - come ogni antispecista dovrebbe riuscire a fare - mettersi nei loro minuscoli panni, capire e vedere le cose in modo diverso, a loro misura: anche un piccolo sentiero o una strada di paese sono lande immense e potenzialmente mortali, un muricciolo è una montagna, un fiore è un albero, una fragolina è un pasto abbondantissimo, un fungo è un casa... e via confrontando.

Sono le lumache - e gli insetti? e gli anfibi? e i rettili? - la frontiera dell'antispecismo? La risposta potrebbe essere positiva: sono loro gli 'extraterrestri' che invece ci affanniamo a cercare nel cosmo, senza renderci conto che milioni di altri mondi e pensieri, totalmente altri e incommensurabilmente non-umani sono già qui, insieme a noi, da milioni di anni. A loro dovremmo rivolgere la nostra attenzione, però nel senso di accorgerci della loro esistenza e trattandoli col rispetto che ne consegue, con la meraviglia di guardarli vivere e scoprire che anche noi - per loro - forse è come se non esistessimo.

domenica 5 gennaio 2014

Rassegna stampa sul caso "Caterina S" (4° parte), ma non solo...

Fonte: http://alternativesperimentazioneanimale.wordpress.com/page/3/


Dal Caso Simonsen e oltre: perché i giorni passano e perché, almeno fino al 14 gennaio, la data fatidica per l'articolo 13 della Legge 96-2013 di delegazione europea, è utile tenere l'attenzione desta sulla problematica della vivisezione. I segnali avuti dalla società - di maggiore sensibilità e attenzione e di un espresso rifiuto verso la vivisezione - i risultati ottenuti, sono preziosi, occorre ogni impegno per fare il possibile affinché non vadano perduti.
Infatti, se - anche e soprattutto grazie all'impegno degli attivisti antispecisti e animalisti - si diffonde nei cosiddetti comuni cittadini una maggiore consapevolezza - prendiamola pure con tutte le approssimazioni del caso e della statistica - e una certa attenzione, che rifiuta una pratica estremamente crudele verso gli animali - dovrebbe essere poi compito del suo referente politico, e quindi del legislatore, trovare le risposte a questa domanda di nuova sensibilità. Risposte che non deve impegnarsi il cittadino, che non ne ha le competenze né le risorse, a trovare, ma il politico: trovando modi - ad esempio - per agevolare gli studi sulle metodologie cruelty free e - in primis - per mitigare il più possibile la terribilità della non-vita che al momento presente ancora troppi altri animali stanno sopportando nel chiuso dei laboratori.
Può essere uno snodo cruciale, quello che stiamo vivendo ora: ci apriremo uno spiraglio verso orizzonti più consapevoli della presenza degli altri animali e della loro incessante richiesta di vita e di felicità (le stesse cose che noi desideriamo per noi stessi, alla fine!); oppure rimarremo anche noi prigionieri insieme a loro di questa gabbia di plastica che ci siamo costruiti addosso, esaltando solo la crudeltà energivora che tutto consuma - anche noi - ?
Questo, i pro s.a.  lo sanno benissimo. Dobbiamo non dimenticarlo mai nemmeno noi. E dunque, che circolino gli articoli - purché costruttivi, purché esplorativi, purché interlocutori - su questo tema - la vivisezione - che temo smetterà di bruciare solo quando - solo quando - non verrà mai più praticata in nessun luogo di questo pianeta, e in questa realtà.

Un articolo come questo su Veganzetta - tra i firmatari di una primissima risposta al caso S - è quindi senz'altro un altro buon passo avanti su questo cammino. Il caso viene analizzato sotto due differenti ipotesi: secondo la prima "La ragazza, realmente malata, sarebbe stata realmente insultata da alcuni animalisti e avrebbe agito personalmente, prendendo posizione personale a favore della vivisezione come metodo di ricerca".  Dopo essersi posti la domanda retorica circa la liceità etica dell'uso crudele degli animali nei laboratori per la medicina umana, dopo aver preso - giustamente - le distanze dagli insulti (ricordando, en passant, quanti insulti e minacce ricevono invece sempre gli animalisti dai sostenitori della sperimentazione su animali, senza che questo faccia minimamente notizia, aggiungerei io), dopo aver invece augurato alla ragazza un futuro di salute e serenità, si formula anche la speranza che Caterina "possa un giorno riuscire a guardare gli Animali rinchiusi nei laboratori e “sacrificati per la scienza”così come ora guarda i Cani e i Furetti che, invece, abbraccia". La seconda ipotesi è quella delle 'coincidenze', del caso mediatico costruito a tavolino. "esiste chi, dunque, ritiene che la vicenda della ragazza possa essere ricondotta ad una vera e propria macchinazione ad opera dei sostenitori della vivisezione. Nel caso ciò dovesse rappresentare la realtà, credo ci sia poco da aggiungere. L’unico termine che ritengo sia possibile utilizzare è: vergogna".  Se un giorno trarranno una sceneggiatura da questa vicenda, potrebbe anche venirne fuori un thriller esemplificativo delle logiche strumentalizzanti e prevaricanti di un sistema appoggiato sulla distruzione sistematica di animali.
Logiche che ricorrono anche in questo comunicato, con l'intervista ad Angelo Troi, veterinario e segretario del Sindacato veterinari liberi professionisti (Sivelp) - attenzione però, ché il comunicato è del tutto estraneo al caso Simonsen, risale infatti al 20 settembre 2013. Il dottor Troi, dunque, apre e chiude l'intervista quasi con le stesse parole (il che, potrebbe anche essere frutto di 'montaggio' - in senso cinematografico - del giornalista, cosa di per sé non biasimevole): "Non capisco la battaglia che la Lav conduce contro gli allevamenti di animali per le sperimentazioni farmaceutiche. Da veterinario tutti i giorni ho bisogno di strumenti per curare gli animali e non posso credere che la Lav non voglia più questi strumenti e che si curino gli animali". In mezzo, riflessioni sul valore della ricerca scientifica, sulla sua attuale metodologia 'a tappe progressive' (si potrebbe definire così), sull'importanza strategica ed economica per l'Italia di rimanere all'avanguardia, sul trasferimento della ricerca in Paesi dove non esisterebbero leggi di tutela del benessere animale (questi ultimi punti, son quelli che più mi lasciano perplesso, poiché io non vedo granché 'tutelato' il 'benessere' di un animale chiuso per tutta la sua vita in una gabbia di stabulario o in una stalla di produzione e i veterinari presenti in quei contesti mi paiono soprattutto come dei tecnici, utili alla correttezza legale e alla sicurezza umana, ma di certo non al benessere degli animali presenti). Una frase, colpisce: "io sono un medico veterinario e quindi uso dei farmaci per le cure. Se questi farmaci non fossero prima sperimentati su animali vorrebbe dire che sarei io a sperimentarli e che i miei “pazienti” diverrebbero delle cavie esse stesse". Come a dire che ci sono cani di serie A (i 'nostri pet', orribilissima espressione di possesso reificante mascherato da affetto - ma quanto morboso?) e cani di serie B (le cavie prima stabulate e poi vivisezionate, anche se "In l’Italia la vivisezione è vietata da anni ed è diversa dalla sperimentazione". E' come se lo specismo antropocentrico fosse fatto a strati, con dei formidabili meccanismi di dissociazione delle prospettive - uno strabismo elevato al cubo. Il 'mio' Cane (o Gatto, o altro Pet) deve avere tutto, anche se questo tutto comporta la sofferenza e la morte di altri animali cani e gatti come lui, che hanno avuto in sorte una venuta al mondo 'dal lato sbagliato della città'.

domenica 29 dicembre 2013

Il fine non giustifica i mezzi: una risposta a Caterina Simonsen

Caterina Simonsen, riposa insieme al suo cane. Fonte: Gallinae in Fabula
di Veganzetta, Gallinae in Fabula, Manifesto Antispecista, Mappa Vegana Italiana, Forum Etici

Vivere nonostante i problemi di salute che l’affliggono non deve essere facile per Caterina, e a lei, contrariamente a quello che è accaduto sul web, va la nostra solidarietà di antispecisti. Avere 25 anni e non poter godere appieno della vita, e dipendere da macchinari e farmaci è una tragedia personale, alla quale però Caterina Simonsen ha voluto rispondere avallando una tragedia collettiva.
La tragedia collettiva di cui parliamo è la vivisezione o sperimentazione animale, come preferiscono definirla coloro che la difendono, comunque la si voglia chiamare, facciamo riferimento a una vergogna per l’umanità tutta, una pratica a cui soggiace un concetto allucinante: il fine giustifica i mezzi; qualunque scelta o azione è lecita pur di ottenere un risultato utile o positivo per chi la compie.
Caterina dice di amare gli Animali, è vegetariana (cosa lodevole), si fa fotografare abbracciata al suo compagno canino, studia per diventare una veterinaria, insomma la si potrebbe definire una persona a cui stanno a cuore gli Animali, allo stesso tempo per far fronte alla sua situazione difficilissima, e umanamente comprensibile, non esita a utilizzare metodologie derivanti dallo sfruttamento degli Animali. Ma chi non lo farebbe se fosse al suo posto? Ben pochi avrebbero il coraggio di spingere la propria coerenza personale sino a tali limiti. Se quindi di comprensione e di empatia si può parlare in questo caso, non possiamo, in tutta onestà, condividere il suo appello in favore della strage di milioni di Animali in nome di un “bene supremo” che sarebbe la salute umana (e nello specifico la sua).
Non possiamo e non vogliamo condividere un appello che trasforma una persona umana affetta da rare patologie in uno spot vivente pro-vivisezione, divenendo lei stessa strumento propagandistico (si spera del tutto inconsapevolmente, ma dubitare è lecito) nelle mani di chi gli altri è abituato a strumentalizzarli – a usarli – quotidianamente; e ciò perché siamo assolutamente convinte/i che mai i fini possano giustificare i mezzi. Perché se ciò accadesse, se tale paradigma divenisse consuetudine universalmente condivisa (ma forse lo è già), non ci sarebbe limite alla violenza, alla sofferenza e al dominio sull’altro. Molti in ambito animalista hanno accomunato le pratiche mediche naziste inflitte agli ebrei ai protocolli sperimentali con l’utilizzo di Animali, se il paragone può sembrare esagerato o retorico (ma del resto adeguato alla situazione visto e considerato che la stessa Caterina ha usato pubblicamente il termine “nazi-animalisti”), a sgombrare il campo dagli indugi basterebbe elencare le numerose conoscenze mediche, biochimiche e fisiologiche, le sostanze chimiche, che ancora oggi vengono utilizzate per il “bene supremo” umano, e che sono derivanti da torture inflitte agli ebrei nei campi di concentramento e sterminio nazisti: come il comune test di Clauberg sulla fertilità (per maggiori informazioni si legga: http://www.veganzetta.org/?p=3756), o sostanze di derivazione ormonale come il Progynon e il Proluton, largamente impiegate nei casi di sterilità e di rischio di aborto nella donne; sostanze che possono salvare la vita di un nascituro, o dare la gioia a una persona di avere un figlio. Chi siamo noi per giudicare delle persone che ricorrono a queste soluzioni nella speranza di guarire da una patologia che le ha colpite? Ma allo stesso modo chi siamo noi per giustificare i metodi raccapriccianti che hanno portato alla messa a punto di tali sostanze? Per Caterina le medicine che assume significano vivere, per molti altri esseri senzienti hanno significato dolore e morte. Caterina diviene vittima di malattie che possono, a oggi, essere curate solo con sostanze che hanno causato vittime non umane a migliaia: lei non ha colpa di tutto ciò. Ma ne diviene complice nel momento in cui decide di difendere pubblicamente tali metodi: non ne ha alcun diritto né come persona umana, né come malata. E’ questo il suo grande errore, ed è questo che non possiamo e non vogliamo condividere, e che anzi condanniamo fermamente. Nessun fine può giustificare i mezzi, nessuno oserebbe affermare ciò che afferma Caterina se le vittime sacrificali fossero i propri cari, la propria famiglia, o anche il proprio Cane (lo stesso della foto di cui si parlava prima, per esempio), questo perché saremmo colpiti nei nostri sentimenti, nei nostri affetti più profondi: meglio che accada ad altri, lontani, distanti da noi, diversi. In fin dei conti le vittime di Clauberg erano per i nazisti “solo ebrei”, quindi meno che umani, e le vittime dei farmaci che assume Caterina erano “solo animali”, quindi nemmeno umani.
Di sicuro molte persone si sentono più sicure perché protette da eserciti e da servizi segreti pronti a tutto pur di difendere un determinato modello di vita, anche a costo di torturare Umani, di imprigionarli, di ucciderli, di richiuderli ed espellerli come si fa con oggetti non desiderati. Ma ciò può essere sopportato solo da chi da queste vergogne trae giovamento, da chi ha la fortuna di trovarsi dalla parte del più forte. Ma a quale prezzo? Ci sarà mai fine a questo macello quotidiano che smembra Animali, Umani e il Pianeta stesso? E’ questo egoismo assurdo che abbiamo il dovere morale di sconfiggere, partendo da chi è l’ultimo degli ultimi: il non umano, vittima anche delle cure che salvano Caterina e in definitiva tutte/i noi.
Vorremmo vedere il sorriso di Caterina senza una maschera di plastica, ma allo stesso tempo vorremmo che tale sorriso non significasse lo strazio di milioni di altri esseri senzienti che hanno il suo stesso diritto a vivere una vita serena. Affermare che ora non si può fare altrimenti non può essere una giustificazione, sarebbe solo una resa ipocrita e una degradazione morale. Una scienza priva di un’adeguata riflessione etica è solo un’aberrazione della nostra propensione alla conoscenza, e può solo generare mostruosità, ingiustizie e dolore. La fine della sperimentazione sugli Animali non è una questione legata al superamento di necessità contingenti, ma è meramente una questione di volontà.
Per quanto esposto ci dissociamo da chi augura la morte a Caterina Simonsen, ma anche dalla sua presa di posizione a favore della tortura animale.
Saluti antispecisti.

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