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sabato 22 febbraio 2014

Animalisti in strada

 GLI ATTIVISTI DEI CANI SCIOLTI, FRONTE ANIMALISTA, ANIMALISTI TRENTINILES CHIENS DES RUES ITALIA,
VEGetariANI di Novara e Provincia HANNO DATO VITA AD UN PRESIDIO INFORMATIVO CONTRO IL CONSUMO DELLA CARNE, SUI MACELLI E SUGLI ALLEVAMENTI INTENSIVI. GO VEGAN ANIMALI LIBERI.


Sono un animalista che è anche un pubblicista, cioè giornalista. I presìdi sono una delle occasioni in cui le due cose arrivano a coincidere.
Nei presìdi - come nei banchetti ma in modo più diretto e forte - si ha l'esperienza di venire a contatto con ogni genere di comportamento e reazione di umani, sorpresi nel loro quotidiano inconsapevole degli animali che gli sono accanto. E di questo voglio parlare. 

Ma prima, due parole sui 'suoni' che ho sentito, la colonna sonora senza musica dei filmati-testimonianza.
Ho capito che: ogni mucca, vitello, ogni gallina, pulcino, ogni maiale, trascina costantemente tutta la sua esistenza di dolore, in mezzo a suoni di ferro. Ringhi, stridori, sibili, soffi, clangori, sussulti sbattenti di cancelli, sbarre, trappole, scoppi di pistola, tonfi di corpi, urla spietate, tocchi secchi dei bastoni. Seghe che mordono, martelli che pestano, catene che tirano. Piedi che calciano. Tenaglie che afferrano Strappi cocenti. Urla di umani feroci, risa, insulti, aggressione sonora. Freddo. Vento.
Su corpi piegati e piagati, per i quali non esiste MAI nient'altro che questo. Riuscite a immaginarlo? Vivere una esistenza così?
(Mi sono rimaste impresse alcune sequenze: il bimbo maialino che agonizza nella polvere grigia del pavimento lurido della sua prigione buia; il piccolo pollo che ha le zampe spezzate e si rotola in una sporcizia di piume, sterco, sostanze chimiche; la mucca esausta, lentissimamente tirata su dalla carrucola agganciata alla sua zampa  - e sembra la tortura del 'tratto di corda' medievale -, il vitello inscatolato nelle pareti-vasca di ferro prima del proiettile captivo; la scrofa che, rassegnata e stanca, cammina nel verdastro pallido corridoio delle gabbie, sculacciata da una impaziente umana e ritorna nella sua gabbia di contenzione).

Quella del presidio, dunque. E' un'esperienza che vale la pena di vivere, anche se non è facile, perché i sentimenti di frustrazione, il senso di burn out, sono in agguato: si rischia di arrivare a provare solo rancore verso questi umani indifferenti, a decine, a centinaia, quanti se ne possono incrociare in un pomeriggio. Anche se piove.
Eppure, il rancore è proprio il primo sentimento da evitare:  il rancore è un blocco che zavorra al passato, e impedisce di muoversi bene nel presente, che è l'unico istante di tempo importante. Esattamente come per gli altri animali. Senza contare che è nel presente che possiamo tentare di costruire cose per rendere diverso il loro-nostro futuro di animalituttinsieme.

Senza il rancore, sarà possibile osservare questi umani, sarà possibile ascoltarli. Per capire perché non si smuovono, e che cosa invece potrebbe svincolarli dai pensieri prefabbricati della pubblicità consumistica, dell'inganno della 'carne felice' e del 'macello compassionevole'. Quel pomeriggio di domenica 16 febbraio 2014, a Novara, cittadina piemontarda grigiotta e bigiotta (e bigotta?)  piuttosto anziché no, se ne son viste sfilare un bel po', di persone, sorprese nel loro amorfo esibizionistico passeggio ('fare le vasche', si dice in città), lungo il Corso, per vedere, farsi vedere e spettegolare; per farsi catturare dalle vetrine, per arrabbiarsi della pioggerellina; per portare i bimbi alla festa di Carnevale: tutte queste pigrenormali attività sono incappate a un certo momento nel cerchio del presidio degli Animalisti, strategicamente piazzati all'Angolo delle Ore, imprescindibile luogo - fisico, topografico, toponomastico, culturale, storico - della città. Insomma: i maiali sgozzati non si potevano non vedere, né tanto meno non sentire.
 
Ci sono quelli che tirano dritto, passando in mezzo al cerchio del presidio, come se non esistesse; ci sono quelli che guardano ostentatamente davanti a sé, si irrigidiscono, serrano le labbra e forse chiudono anche le orecchie (perché i 'suoni' sono inequivocabili); ci sono quelli che il volantino "grazie ma ce l'ho già" (?); ci sono quelli che si fermano e diventano increduli, spaventati, pietrificati e avvinti da ciò che vedono; qualcuno fa battute irriferibili (perché non meritano di esserlo); quelli che 'la coscienza basta lavarla' (una frase che, a ripensarla in tutti i suoi risvolti e possibili conseguenze, fa venire i brividi: ecco la banalità del male su cui prosperano le dittature). E via passeggiando.

Qualcuno - pochi - si interessa, chiede, possibile che sia davvero così? ma i polli sofforno meno? e i pesci? ma perché li uccidono?

Se gli occhi si possono chiudere e se la testa si può voltare, le parole degli speaker non si possono ammutolire, sono parole accorate che si sentono anche da lontano. La parola che prega, che si appella, che chiama, che pretende, che racconta e che descrive le immagini, ne diventa didascalia per accentuarne la forza e far comprendere il reale significato di quel che si vede; o anche per aggirare gli occhi chiusi e far arrivare comunque un racconto a chi si trova lì. La parola, in questa circostanza, traduce le grida di dolore e terrore degli animali macellati e torturati.

La parola dovrebbe servire per contestualizzare queste immagini, la cui violenza può forse azzerare in chi osserva ogni capacità cognitiva. Allora, chi ha avuto il coraggio di guardare e comprendere, perché sostenuto da un'etica diversa e inedita, chi ha filmato, deve farsi carico di spiegare e raccontare, ciò che le immagini mostrano, senza filtri, senza pausa.

Alla fine della giornata, le mie domande non trovano una risposta definitiva. Anche se i pensieri e le idee muovono certi passi.
Ecco le domande: Serve mostrare immagini del genere? Serve raccontare? Serve dare - oltre alle immagini, in coda al racconto - degli strumenti per andare oltre a chi a quel punto ne sente la necessità? O bisogna lasciare che ciascuno decida di cercare da solo, emozionato da ciò che ha visto, ma lasciato senza una bussola?
Come sempre, le mie sono domande genuine, per problematizzare i modi di lotta, impegno e dialogo di chi ha a cuore la sorte degli animali e si pone di fronte al resto della società. Nell'unico interesse degli animali altri nostre vittime indifese.
A ogni domanda - è ciò che spero - dovrebbe corrispondere un'apertura di una strada, di una alternativa, di una strategia, a vantaggio degli animali.

La mia esperienza personale è che furono immagini simili che mi fecero fare i primi ragionamenti e decidere le prime scelte quando ero ancora piuttosto giovane (un filmato di agnellini scaricati da un camion di ferro, usando la macchina che in gergo si chiama 'ragno', perché dotata di una enorme morsa di pale di ferro, disposte a mo' di zampe meccaniche sul corpo dello snodo idraulico); ma poi, dietro a quelle immagini, arrivò la volontà di capire, di conoscere, di leggere, e di continuare a guardare (quando il mio primo cane scappò e venne ritrovato in canile, venne riportato a casa insieme a un libro, che conteneva tante immagini, sia belle che raccapriccianti; ma questa è un'altra storia). Ma forse, ciò accade per via di una predisposizione individuale, latente fino a quel momento.  Forse, tuttavia, accade ad altri ciò che capitò a me.
Non posso dire che effetto abbiano queste immagini su chi oggi le guarda, posso solo sperare sulla statistica: per cento (dieci?!) umani che le guardano, uno sentirà il bisogno di iniziare un cammino simile a quello che incominciai io tanti anni fa. Tuttavia, cogli anni ho scoperto quanto possano essere suggestive, evocative, potenti, seducenti e convincenti le immagini degli animali liberi. Ne ho appena parlato, e ne parlerò ancora, non è un discorso che si esaurisce in due post. Al contrario, e per fortuna.
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