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martedì 15 ottobre 2019

Olga Tokarczuk, Premio Nobel Animale

Olga Tokarczuk
Forse, conseguire il Premio Nobel per la Letteratura 2018 ma nel 2019, si potrebbe dire che è come vincerlo per due anni consecutivi?
Forse, solo una scrittrice dalla lingua ricca e dalle trame enciclopediche come Olga Tokarczuk, poteva vivere una simile esperienza. Ma forse, anche no: non lo sai, perché la conosci solo attraverso i suoi libri - il che, tuttavia, per una scrittrice, dovrebbe già essere cospicuo.

sabato 18 agosto 2018

lunedì 22 giugno 2015

Haiku animali (reboot)

Fonte: Pinterest . From : DeviantArt

Scrivo Haiku da molti anni...

Ho incontrato questa poesia molti anni fa, a sorpresa, in un romanzo di fantascienza molto particolare. Era "Le maree di Kithrup" , scritto da David Brin. Me lo ricordo come una specie di Impero colpisce ancora versione cartacea e molto più estremo e avveniristico. Se mai lo rileggerò (perché si trova ancora tra i miei libri), chissà quali impressio ne ricaverò. 
Per il momento, mi basta ricordarlo perché tra i suoi protagonisti c'erano i delfini, diventati piloti interstellari che insieme agli umani esplorano gli spazi galattici. Ebbene, questi delfini, parlavamo tra loro. E con gli umani, usando una lingua che nel libro viene chiamata delfinese trinario, ovvero, haiku. Trilli haiku per dichiarare le proprie emozioni, ma anche per comunicare veloci e scarni dati tecnici di astronavigazione. A bordo di una astronave che, me lo ricorderò sempre, "zoppica come un cane a tre zampe" (!) - vuoi dire che ho incontrato qui per la prima volta anche la disabilità animale?

Come poteva non essere affascinante l'haiku, che con così poche parole ha la forza profonda di esprimere così tanto? Il seme poetico era gettato e ben presto, sarebbe germinato. Non in primavera, ma in inverno - inverno di neve e della stagione, ma anche inverno del mio vivere.
Una cosa che fiorisce sotto la neve sia per lo meno da notare e considerare. Perché è la risposta impossibile a una domanda esigente: che cosa sono le cose che sto provando, qui è ora? Come posso tenerle con me?

Soltanto parecchio tempo dopo, e dopo moltissimi haiku, ho scoperto - leggendo la storia di questo stile poetico e dei poeti giapponesi che secoli fa lo elaborarono - che haiku è poesia leggera di viaggiatore, di mendicante, interiore se non anche esteriore. La biografia di poeti come Basho è scritta nei chilometri di strade polverose, di sandali consumati, di tettoie sotto la pioggia.
Queste poesie si distillano dalle moltitudini  di impressioni minimali minime di cose incontrare nelle stagioni di un circolo annuale. Haiku si folgora in istante e di un istante, per renderlo profondo nel ricordo di chi lo ha intuito immaginato e pensato.
Diciassette sillabe e tre versi, lungi da essere contenitore troppo stretto, sono base sicura e nitida per dare le ali alla creatività , una sfida alla propria poesia, che così deve sapere bene che cosa vuole dire, cosa intende significare, cosa desidera portare.  Ma si tratta di una sfida non violenta: è come una meditazione, il pensiero sgombro (mi piace una immagine: la tua mente sia attraversata dai pensieri come il cielo dalle nuvole ) che vede arrivare la forma della emozione giusta per potere desiderare di scriverla e regalarla al ricordo. Non siamo noi che cerchiamo la parola giusta, il ritmo giusto; sono il ritmo è la parola che ci trovano, ci muovono e ci parlano attraverso. Non è quasi come incontrare un altro individuo? Un altro da noi che però siamo noi. Dentro di noi, solo che non lo sappiamo, a meno che non ci concediamo il tempo e la pazienza per creare occasione di incontro.

E qui, allora, mi viene da pensare alla possibilità di haiku animali, di poesia per incontrare, per dar udibilità agli altri animali. Provo a spiegarmi.
Gli animali altri, sono già di per se stessi haijin (cioè poeti di haiku, in giapponese) perché ogni loro pensiero, azione, intenzione è diretta e immediata resa di uno stato intuito con tutti i propri sensi e coscienza. Noi, per contro, dobbiamo sforzarci per raggiungere questo tipo di stato esistenziale. E questo è un primo modo di pensare la poesia haiku animale.
In secondo luogo, molti poeti si pongono o si sono posti la questione di scrivere poesia come se la scrivessero gli animali, cercando di entrare nei loro modi di vedere il mondo, cercando, insomma, in auliche modo, di sbirciare il mondo affacciandosi dalla loro finestra invece che dalla nostra. Compito difficilissimo, che rasenta l'impossibile, prima di tutto perché il nostro corpo non è il loro è quindi certe sensazioni ci sono fisiologicamente precluse. Una ovvietà, si direbbe. Ma anche una barriera indiscutibile, che si può superare solamente gettando ponti verso gli altri animali (diciamo subito che 'loro', gli altri animali, i ponti ce li gettano in continuazione verso di noi, che ci atteggiamo a cittadella assediata invece che porto accogliente). La poesia (e l'arte) come ulteriore azione di presa di coscienza, di presa in carico e di presa in cura, di liberazione degli con gli è per gli altri animali? Anche questo, può essere un secondo modo di pensare la poesia haiku animale.
Il terzo modo, che avrebbe a che fare direi con l'aspetto compositivo, parte dagli strumenti degli haiku, di cui avrò modo di tornare a scrivere: i riferimenti alle stagioni, le parole segnale delle emozioni, le parole di sospensione e di cambio di prospettiva del punto di vista (il kigo, il kireji);  è ancora, i modi per conteggiare le sillabe, le regole poetiche per far incontrare vocali, consonanti.
Con questi strumenti, cosa racconto? Gli uccelli intravisti tra le foglie? Il gatto mimetizzato nella porta? Posso provare a raccontare le stesse cose con le parole che userebbero loro, altrimenti, con i loro suoni, i loro versi? E come? Usando onomatopee? Inventando parole apparentemente insensate? Mi piacerebbe, mi piacerà provarci. Forse, con l'aiuto dei delfini piloti stellari...

Tok!to.to.trrr.t.t.t.
Corteccia smorzata dal
Picchio pomeriggio
 
-1- continua

venerdì 23 gennaio 2015

Haiku

Fonte: Pinterest, from DeviantArt

Scrivo haiku da molti, molti anni... 


Ho incontrato questa poesia molti anni fa, a sorpresa, in un romanzo di fantascienza molto particolare. Era "Le maree di Kithrup" , scritto da David Brin. Me lo ricordo come una specie di Impero colpisce ancora versione cartacea e molto più estremo e avveniristico. Se mai lo rileggerò (perché si trova ancora tra i miei libri), chissà quali impressio ne ricaverò. 
Per il momento, mi basta ricordarlo perché tra i suoi protagonisti c'erano i delfini, diventati piloti interstellari che insieme agli umani esplorano gli spazi galattici. Ebbene, questi delfini, parlavamo tra loro. E con gli umani, usando una lingua che nel libro viene chiamata delfinese trinario, ovvero, haiku. Trilli haiku per dichiarare le proprie emozioni, ma anche per comunicare veloci e scarni dati tecnici di astronavigazione. A bordo di una astronave che, me lo ricorderò sempre, "zoppica come un cane a tre zampe" (!) - vuoi dire che ho incontrato qui per la prima volta anche la disabilità animale?

Come poteva non essere affascinante l'haiku, che con così poche parole ha la forza profonda di esprimere così tanto? Il seme poetico era gettato e ben presto, sarebbe germinato. Non in primavera, ma in inverno - inverno di neve e della stagione, ma anche inverno del mio vivere.
Una cosa che fiorisce sotto la neve sia per lo meno da notare e considerare. Perché è la risposta impossibile a una domanda esigente: che cosa sono le cose che sto provando, qui è ora? Come posso tenerle con me?

Soltanto parecchio tempo dopo, e dopo moltissimi haiku, ho scoperto - leggendo la storia di questo stile poetico e dei poeti giapponesi che secoli fa lo elaborarono - che haiku è poesia leggera di viaggiatore, di mendicante, interiore se non anche esteriore. La biografia di poeti come Basho è scritta nei chilometri di strade polverose, di sandali consumati, di tettoie sotto la pioggia.
Queste poesie si distillano dalle moltitudini  di impressioni minimali minime di cose incontrare nelle stagioni di un circolo annuale. Haiku si folgora in istante e di un istante, per renderlo profondo nel ricordo di chi lo ha intuito immaginato e pensato.
Diciassette sillabe e tre versi, lungi da essere contenitore troppo stretto, sono base sicura e nitida per dare le ali alla creatività , una sfida alla propria poesia, che così deve sapere bene che cosa vuole dire, cosa intende significare, cosa desidera portare.  Ma si tratta di una sfida non violenta: è come una meditazione, il pensiero sgombro (mi piace una immagine: la tua mente sia attraversata dai pensieri come il cielo dalle nuvole ) che vede arrivare la forma della emozione giusta per potere desiderare di scriverla e regalarla al ricordo. Non siamo noi che cerchiamo la parola giusta, il ritmo giusto; sono il ritmo è la parola che ci trovano, ci muovono e ci parlano attraverso. Non è quasi come incontrare un altro individuo? Un altro da noi che però siamo noi. Dentro di noi, solo che non lo sappiamo, a meno che non ci concediamo il tempo e la pazienza per creare occasione di incontro.

E qui, allora, mi viene da pensare alla possibilità di haiku animali, di poesia per incontrare, per dar udibilità agli altri animali. Provo a spiegarmi.
Gli animali altri, sono già di per se stessi haijin (cioè poeti di haiku, in giapponese) perché ogni loro pensiero, azione, intenzione è diretta e immediata resa di uno stato intuito con tutti i propri sensi e coscienza. Noi, per contro, dobbiamo sforzarci per raggiungere questo tipo di stato esistenziale. E questo è un primo modo di pensare la poesia haiku animale.
In secondo luogo, molti poeti si pongono o si sono posti la questione di scrivere poesia come se la scrivessero gli animali, cercando di entrare nei loro modi di vedere il mondo, cercando, insomma, in auliche modo, di sbirciare il mondo affacciandosi dalla loro finestra invece che dalla nostra. Compito difficilissimo, che rasenta l'impossibile, prima di tutto perché il nostro corpo non è il loro è quindi certe sensazioni ci sono fisiologicamente precluse. Una ovvietà, si direbbe. Ma anche una barriera indiscutibile, che si può superare solamente gettando ponti verso gli altri animali (diciamo subito che 'loro', gli altri animali, i ponti ce li gettano in continuazione verso di noi, che ci atteggiamo a cittadella assediata invece che porto accogliente). La poesia (e l'arte) come ulteriore azione di presa di coscienza, di presa in carico e di presa in cura, di liberazione degli con gli è per gli altri animali? Anche questo, può essere un secondo modo di pensare la poesia haiku animale.
Il terzo modo, che avrebbe a che fare direi con l'aspetto compositivo, parte dagli strumenti degli haiku, di cui avrò modo di tornare a scrivere: i riferimenti alle stagioni, le parole segnale delle emozioni, le parole di sospensione e di cambio di prospettiva del punto di vista (il kigo, il kireji);  è ancora, i modi per conteggiare le sillabe, le regole poetiche per far incontrare vocali, consonanti.
Con questi strumenti, cosa racconto? Gli uccelli intravisti tra le foglie? Il gatto mimetizzato nella porta? Posso provare a raccontare le stesse cose con le parole che userebbero loro, altrimenti, con i loro suoni, i loro versi? E come? Usando onomatopee? Inventando parole apparentemente insensate? Mi piacerebbe, mi piacerà provarci. Forse, con l'aiuto dei delfini piloti stellari...

Tok!to.to.trrr.t.t.t.
Corteccia smorzata dal
Picchio pomeriggio
 
-1- continua?

giovedì 27 marzo 2014

Caro Amico ti scrivo - Intervista a Valentina Maselli

Fonte: http://altretracce.com/unopiuunougualeinfinito/




Questa è stata una intervista molto rapida - e molto bella -  da immaginare, preparare e infine raccogliere. Con grande soddisfazione. Le risposte di Valentina Maselli sono così belle che, mentre le leggevo, mi è venuta l'idea di tentare un modo diverso di presentare l'intervista... cioè, tralasciando di scrivere le domande! Che in questo modo rimangono solanto nella mente di Valentina e mia, per poi lasciare - così mi piace immaginare -  lo spazio - in parte - anche alle domande interiori di Valentina mentre risponde alle mie. Perciò, questa volta mi metto più che mai sullo sfondo - o ancora meglio, visto il contesto, in fondo al teatro, in platea, ad assistere al racconto di Valentina e del suo mondo, il Teatro.


(Intervista raccolta tramite domande e risposte via email)

Valeria Maselli

Da bambina volevo fare la ballerina. Poi è successo che un ortopedico mi vietò la danza per via di una presunta scoliosi che di fatto non ho mai avuto. Successe così che non potendo frequentare scuole di danza giocavo a “fare la ballerina” e scoprì un gusto tutto particolare nell’inventarsi mondi (cosa che fanno costantemente i bambini) e nel “fare finta che”. Così è venuto tutto in maniera molto naturale, recitavo senza saperlo. Spesso creavo piccoli spettacolini per la famiglia e quando alle superiori ci fu la possibilità di frequentare un corso di teatro mi ci buttai a capofitto. Dalla prima lezione sapevo che avrei voluto far l’attrice. E poi ho continuato gli studi di recitazione seguendo strade canoniche e non. La regia è venuta col tempo, quando ho capito che mi interessava di più dare voce e corpo ad un mio immaginario che non prestarmi a quello altrui. 

 
AltreTracce nasce nel 2011 quando la necessità di cui sopra si è fatta prepotente. Avevo bisogno di uno “spazio” che fosse mio e nel quale potessi liberare l’immaginazione. In quest’avventura si sono imbarcati con me Luigi Caramia, organizzatore teatrale e della mia mente confusionaria (supporto senza il quale questa compagnia non vivrebbe un secondo) e Daniele Vigor Bianchi in arte Dj Vigor, che si è sempre occupato della parte musicale dei miei spettacoli. La musica è fondamentale nelle mie regie, è parte integrante della drammaturgia e non solo commento all’azione o di atmosfera. Ho scoperto che un dj, e in particolare Vigor, può fare molto in questo senso. Il nome sta ad indicare la voglia di percorrere percorsi altri, alternativi e, se possibile, di lasciare una traccia.

Teatro sperimentale è una definizione sulla quale mi interrogo continuamente. Se devo dirla tutta non vuol dire molto. Il teatro è sempre sperimentale, è sempre di ricerca. È sempre un’indagine, una sperimentazione appunto, di qualcosa di nuovo, quanto meno per gli individui che la mettono in atto. Abbiamo deciso di accostare questa parolina “sperimentazione” a “compagnia teatrale” perché purtroppo oggi c’è ancora un equivoco intorno al teatro. Poca gente ci va e noi crediamo molto sia dovuto ad un immaginario falsato dello stesso. Ancora si pensa al teatro come ad una cosa noiosa, con signori declamanti con un teschio in mano. Ma molto è successo e, come tutte le forme d’arte, anche il teatro si è evoluto, è contemporaneo.


Un momento dello spettacolo"L'uomo è un'occasione mancata - bisogna recuperarla in giornata"


Ne “l’uomo è un’occasione mancata – bisogna recuperarla in giornata” (questo il titolo per esteso) affronto uno dei temi a me più cari, ossia il sogno. Il sogno inteso sia come quell’esperienza che la nostra mente (e il nostro corpo?) fanno di notte che quello da raggiungere nella vita, quello ad occhi aperti. Il protagonista è un uomo che non si è dato di diventare ciò che voleva da bambino, che non ci ha neppure provato, e che nella gabbia della quotidianità a poco a poco muore, perdendo speranza e fiducia. Vive un giorno dopo l’altro sempre nello stesso modo, in maniera sempre più frenetica. L’unico spazio di fuga è il sogno notturno dove incontra un angelo. Angelo che di fatto gli sta accanto anche nel giorno, ma che lui non è in grado di vedere. Nei sogni i due si incontrano e si innamorano e per amore l’angelo decide di “cadere”, di farsi umano. Si tratta di una scelta. La scelta implica sempre una perdita. È una perdita per entrambi. 

Un momento dello spettacolo "L'uomo è un'occasione mancata - bisogna recuperarla in giornata"

Nello spettacolo non si dirà se i due si incontreranno o meno, ma quello che possiamo vedere negli ultimi minuti è come il loro incontro abbia cambiato entrambi, portandoli a scoprire o a ri-scoprire la vita e la sua bellezza.


Un momento dello spettacolo "Montedidio"


Montedidio è stato un viaggio bellissimo. Le parole di Erri De Luca hanno un fortissimo potere evocativo. Ed è esattamente quello di cui ha bisogno il teatro. La riduzione teatrale è stata tutt’altro che semplice, i temi trattati sono molto forti e difficili da rendere sulla scena. È un testo che parla di crescita, di separazione, di metamorfosi . Ma è stata una sfida interessante, ci siamo fatti trasportare dalle immagini e abbiamo scoperto possibilità che non sospettavamo.


"Come bambini"


1+1=infinito sicuramente trova un collegamento in "...come bambini", l'altro progetto di Altre Tracce che chiede al pubblico di diventare in qualche modo autore dello spettacolo. In questo senso possiamo parlare di drammaturgia popolare. In "...come bambini", che ha appena concluso la terza edizione, chiediamo agli adulti (non ai bambini!) di tornare un po' indietro nel tempo, a quando credevano in Babbo Natale e pensavano che tutto fosse possibile.

"Come bambini"


Chiediamo di provare a ritrovare quell'antica fiducia e di scrivergli una lettera e, in qualche modo, ricontattare i loro sogni e desideri. Siamo stati destinatari di centinaia di lettere, ognuna diversa, molte toccanti, spesso molto personali. Abbiamo scoperto che le persone ricercano quella magia di bambini e hanno ancora voglia di sognare nonostante tutto.  E' stata un'esperienza così forte in questi tre anni che abbiamo deciso di ripetere l'esperimento.

Un momento dello spettacolo "Come bammbini"


Questa volta il tema è completamente diverso, ma la formula non cambia. Chiediamo che sia il pubblico ad indicarci la strada della messa in scena, a suggerirci immmagini, suggestioni e temi.

Logo di !1+1=infinito"


Ho due splendidi cani, che mi hanno cambiata moltissimo nel tempo e che mi hanno mostrato angolature nuove da cui osservare il mondo e le persone, da questa mi esperienza è nata l'idea di affrontare un tema apparentemente così lontano dal teatro. L'incontro con Luca Spennacchio è avvenuto come tutte le cose importanti della vita: per caso. Convinta dal fidanzato, sono andata ad una sua conferenza. Le sue parole mi hanno aperto mondi e prospettive nuove. Per giorni ho riflettuto su quanto ci aveva raccontato durante la conferenza.  Per fortuna, nell'era di internet non è troppo difficile contattarsi. Gli raccontai la mia intenzione, semplicemente chiedendogli spunti o materiale. Dopo pochissime ore mi ricontattò dicendomi che era interessato a collaborare. A dirla tutta, è stata un'idea di Luca, venendo a conoscenza del progetto "...come bambini", di rilanciare la sfida per questo progetto.
Siamo molto fiduciosi, non sappiamo ancora dove ci porterà tutto ciò, ma siamo già destinatari di molte lettere e speriamo che molte altre ne arrivino. Sarà un viaggio avventuroso e sorprendente, lo è già.








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