Annamaria Manzoni e Pablo |
Esce il 26
febbraio prossimo “Tra Cuccioli ci si intende”, di Annamaria
Manzoni, edito da Graphe.it Edizioni. Il libro si interroga sul
rapporto tra animali e bambini,
mettendo in risalto l'antispecismo innato dei più piccoli e
l’educazione fortemente antropocentrica che interrompe questa
predisposizione all’empatia e al rispetto verso le altre specie.
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La copertina |
Ho raggiunto
via mail Annamaria Manzoni, per quattro chiacchiere: siamo partiti
dal libro, e abbiamo toccato tantissimi argomenti.
GIOVANNI
Ciao
Annamaria, ti ringrazio tantissimo per il tempo che mi dedichi. Le
riflessioni che scrivi sono sempre sensibili e profonde, e allo
stesso tempo, solide e documentate. Ti chiedo: cosa viene prima, in
te? la psicologia o l'amore e l'attenzione per gli animali (e tutti i
cuccioli in generale)?
ANNAMARIA
L'attenzione
per gli animali mi accompagna da molto prima che
riuscissi persino ad averne la consapevolezza. I miei ricordi, fino a
dove riesco a risalire nel tempo, sono puntellati da gatti randagi a
cui portavo da mangiare, da immagini lancinanti quali quelle di
animali che vedevo condotti al macello, dal ricordo dello
sconvolgimento dei tir che mi capitava di vedere carichi di maiali o
di vitelli sull'autostrada e nelle stazioni di servizio. Empatia,
condivisione, senso dell'ingiustizia molto prima che ogni
riflessione, psicologica o meno, cominciasse ad accompagnarle. Tutto
questo mi aiuta anche a capire profondamente come nei bambini alcune
dinamiche possano entrare in gioco in automatico: come quando è
possibile alla scuola materna, ma addirittura all'asilo nido,
osservare un bambinetto che guarda attonito e dispiaciuto un suo
piccolo compagno che piange o che viene sgridato. Non saprà
razionalizzare, o almeno verbalizzare, la situazione, ma è
perfettamente in grado di cogliere la sofferenza di un altro.
GIOVANNI
In pratica,
sarebbe connaturata alla nostra specie, l'empatia nei confronti degli
altri esseri viventi. Ho letto che sarebbe una caratteristica
ereditata dagli animali, e che nel mondo animale, empatia e
collaborazione sono molto più presenti di quel che si creda,
addirittura di più dell'aggressività (mi pare Konrad Lorenz abbia
teorizzato qualcosa di simile).
In effetti,
i bambini, posti di fronte ai cosiddetti quesiti etici che
paralizzano gli adulti, non esitano a dare la risposta logica e
conseguente, e riescono a smettere comportamenti che nuocciono agli
animali in modo netto e istantaneo!
Lo fanno
anche tra loro cuccioli umani? E come mai, invece, gli adulti perdono
questa preziosa caratteristica?
ANNAMARIA
L'esperienza
e l'osservazione spesso precedono gli studi, studi che si susseguono
e tra i quali è interessante ricordare, tra le tante, una
recentissima ricerca giapponese che dimostra che i bambini sono in
grado di provare empatia già all'età di 10 mesi. Ciò significa che
la capacità di "mettersi nei panni degli altri", di
sentire quello che l'altro prova e sente è una disposizione di certo
precocissima, presumibilmente innata. Come tale, ci parla di
possibilità in fieri, che poi compiono un percorso diversificato a
seconda delle esperienze. Se vogliamo esemplificare in modo che il
discorso risulti perfettamente comprensibile, basta riferirsi per
esempio alla predisposizione allo sviluppo del linguaggio che
possediamo alla nascita: siamo programmati a poter parlare, ma quale
lingua poi impareremo è in funzione delle nostre esperienze, che
possono portarci a parlare il cinese o il dialetto napoletano, a
seconda di dove vivremo, ma anche a non sviluppare lingua alcuna, se
ci succede di vivere, come capitò al "ragazzo selvaggio",
lontano da un contesto umano.
Sapere che l'empatia è una predisposizione innata è un'informazione che consente di recuperare un minimo di ottimismo sulla nostra specie, che tanto spesso è autrice di performances davvero inaccettabili in tante diverse situazioni. Forse per convinzione profonda, forse per un bisogno fondamentale di imprimere cambiamenti allo stato delle cose, gli studi sull'empatia si vanno moltiplicando, sostenuti non solo da psicologi e filosofi, ma persino da economisti. Un nome per tutti è quello di Jeremy Rifkin, grande autore di “Ecocidio”, che ci parla in un suo fondamentale saggio di Civiltà dell'Empatia.
Come giustamente ricordi, si tratta di una disposizione che appartiene anche al mondo degli altri animali, e non solo di quelli più evoluti che sentiamo a noi vicini, come è il caso delle grandi scimmie, ma anche di animali, quali i topi, che siamo soliti denigrare e lasciare nelle fogne metaforiche della nostra ideale struttura abitativa. E le conoscenze al proposito sono frutto di ricerche di laboratorio ad opera di umani che tutto possono essere tranne che empatici, a differenza dei topi che tormentano per scoprire per l’appunto che, loro sì, sono empatici.
Il percorso di crescita è quanto di più complesso si possa immaginare: i modelli che ci circondano sono quelli che vanno a plasmare i tratti costitutivi della nostra personalità, sempre in movimento e in evoluzione: ad influenzarci è il nostro piccolo mondo, con la famiglia nella quale cresciamo, ma anche il contesto culturale allargato intorno e, negli ultimi decenni, la possibilità di contatto facile e immediato con il mondo intero grazie alla rete: tutti questi input vanno a connettersi e ad interagire con le nostre individuali predisposizioni. I risultati sono quelli incredibilmente complicati che vediamo, dove esistono modelli imperanti a cui tendiamo inevitabilmente ad adattarci, ma fortunatamente anche modelli che vanno in direzione opposta.
Sapere che l'empatia è una predisposizione innata è un'informazione che consente di recuperare un minimo di ottimismo sulla nostra specie, che tanto spesso è autrice di performances davvero inaccettabili in tante diverse situazioni. Forse per convinzione profonda, forse per un bisogno fondamentale di imprimere cambiamenti allo stato delle cose, gli studi sull'empatia si vanno moltiplicando, sostenuti non solo da psicologi e filosofi, ma persino da economisti. Un nome per tutti è quello di Jeremy Rifkin, grande autore di “Ecocidio”, che ci parla in un suo fondamentale saggio di Civiltà dell'Empatia.
Come giustamente ricordi, si tratta di una disposizione che appartiene anche al mondo degli altri animali, e non solo di quelli più evoluti che sentiamo a noi vicini, come è il caso delle grandi scimmie, ma anche di animali, quali i topi, che siamo soliti denigrare e lasciare nelle fogne metaforiche della nostra ideale struttura abitativa. E le conoscenze al proposito sono frutto di ricerche di laboratorio ad opera di umani che tutto possono essere tranne che empatici, a differenza dei topi che tormentano per scoprire per l’appunto che, loro sì, sono empatici.
Il percorso di crescita è quanto di più complesso si possa immaginare: i modelli che ci circondano sono quelli che vanno a plasmare i tratti costitutivi della nostra personalità, sempre in movimento e in evoluzione: ad influenzarci è il nostro piccolo mondo, con la famiglia nella quale cresciamo, ma anche il contesto culturale allargato intorno e, negli ultimi decenni, la possibilità di contatto facile e immediato con il mondo intero grazie alla rete: tutti questi input vanno a connettersi e ad interagire con le nostre individuali predisposizioni. I risultati sono quelli incredibilmente complicati che vediamo, dove esistono modelli imperanti a cui tendiamo inevitabilmente ad adattarci, ma fortunatamente anche modelli che vanno in direzione opposta.
GIOVANNI
In direzione
contraria era non a caso il titolo di un tuo libro molto
interessante. Se non ricordo male, parlavi proprio della possibilità
di tener presente e di sviluppare l'empatia. Sono d'accordo con te,
quando dici che quel che saranno le nostre potenzialità, dipende
tantissimo dalle chance messe a disposizione dal contesto; da un
contesto empatico, armonioso, comprensivo (quella che in letteratura
zooantropologica si definisce 'base sicura'), si svilupperanno grandi
doti di intelligenza emotiva, prosociale, empatica; da contesti
violenti, oppressivi e aggressivi, fatti di paura e divieto, avranno
forza le reazioni di aggressione, violenza e insensibilità. In un
certo senso è anche contro corrente la tua fiducia nelle
potenzialità umana, stando a quel che vediamo intorno a noi, il
contesto dominante e prevalente, sembrerebbe quello della
sopraffazione violenta. Come se avessimo autorealizzato le nostre
peggiori profezie e teorie sul mondo, che così si autodimostrano.
Tuttavia,
trovo molto giusto non smettere di avere fiducia negli umani; credo
anzi che questa fiducia dovrebbe essere - insieme all'empatia verso
gli animali torturati - l'altra grande colonna portante delle
motivazioni degli animalisti Altrimenti, ho l'impressione che le
prospettive sarebbero troppo limitate e il respiro troppo corto.
A volte è
compito arduo, specialmente di fronte all'arida arroganza di quegli
umani che compiono esperimenti sui topi e che oltretutto compiono un
errore grandissimo, di estrapolare comportamenti dati per 'normali'
da animali costretti a stress inimmaginabili di un ambiente
artificiale e ostile, senza scampo.
Mi ricordo
un tuo concetto: che le immagini di animali felici e i racconti che
mettono in luce le loro caratteristiche positive (intelligenza,
empatia ecc.) toccano di più il cuore.
Annamaria tu
scrivi 'performance' e a me viene in mente Roberto Marchesini (su
fallacie logiche ho trovato un suo contributo, che ti propongo)
Per finire
questa domanda a ruota libera: parli di 'fogne metaforiche' e a me
viene in mente il grattacielo di Horkheimer. Ecco, in questo
grattacielo (dato per scontato che sarebbe da smantellare), a che
piano si trovano i cuccioli?
ANNAMARIA
Giovanni,
sottolinei la mia fiducia nelle potenzialità umane: in realtà io mi
sento estremamente pessimista, perché la realtà intorno non concede
altro. Ma è comunque doveroso prendere atto
anche dell'esistenza di parti buone che esistono in noi. È
indubbia, per esempio, la grandissima diffusione che, negli ultimi
anni, è andata acquisendo una diversa sensibilità nei confronti del
mondo degli altri animali. È altresì vero che contestualmente al
diffondersi di un'etica del rispetto interspecifico,le cifre del
mattatoio quotidiano sono cresciute esponenzialmente. Sappiamo bene
che il discorso è complessissimo: volendo farne un'estrema sintesi,
credo che l'antropocentrismo (che è alla base di tutto il male che
facciamo agli animali) è imperante perché collude con
l'egocentrismo imperante; è facile ritenersi la specie depositaria
di ogni diritto perché è facile che ognuno consideri se stesso
meritevole del meglio. I propri diritti, i propri bisogni, i propri
desideri sempre sopra a quelli degli altri. Nonostante tutto questo,
per molti di noi l'impegno in favore degli altri animali è ragione
di vita: se riuscissimo davvero a renderci conto della portata
grandiosa di un movimento di liberazione, e lavorassimo per la
costruzione di un fronte comune, che trovasse anche nel senso
dell'appartenenza una forza propulsiva, molti risultati potrebbero
essere raggiunti. La realtà è comunque sempre in movimento: l'unica
chance che mi pare di intravedere è che ognuno di noi sia
consapevole del ruolo che, se vuole, può rivestire, determinando un
peso diverso in favore degli animali. Personalmente penso che sia
importante sostenere gli sforzi di chiunque: di chi va a manifestare,
di chi raccoglie cani randagi, di chi libera un singolo animale, di
chi fa denunce, di chi cerca di fare educazione nelle scuole, di chi
scrive, di chi parla. Sono frammenti di un grande lavoro che ha
bisogno delle competenze di ognuno di noi. E sarebbe fondamentale che
ognuno di noi sentisse intorno il sostegno degli altri. Per altro se
l'egocentrismo non ci abbandona, anche questo può essere trasformato
in spinta: ognuno di noi deve almeno cercare di dare un senso alla
propria vita. Fosse solo per questo, c'è così tanto da fare intorno
che il modo per darlo, questo senso, ce l'abbiamo a portata di mano.
Ritornando al discorso da cui siamo partiti, vale a dire che ...tra cuccioli ci si intende, osservare il rapporto tra i bambini e gli animali è esperienza davvero arricchente: sì, le immagini felici sono l'altra parte della realtà, quella a cui diamo poco peso, che sembra sempre scontata, ma che va recuperata. Vedere la gioia reciproca di cuccioli umani e non umani nel giocare tra di loro ci porta alle origini, della nostra specie e della nostra vita individuale, che non è persa, ma è dentro di noi. In rete è facile trovare filmati di questo genere, che non a caso sono supercliccati: la reazione speculare alla visione è quella del sorriso: si movimentano alcune parti nostre, quelle sensibili, vengono toccati i tasti della tenerezza e della semplicità. Sta a noi poi decidere che si tratta solo di momenti privi di importanza o invece di possibilità da espandere. Sta a noi decidere quale è il mondo che vogliamo. Citi il grattacielo di Horkeimer; che la sua fine dovrebbe essere l’abbattimento, lo dici tu stesso. Per successive associazioni, mi compare alla mente l'immagine finale di “Lebanon”, film claustrofobico girato all'interno di un carro armato in cui succede il peggio e da cui la visuale è tutta sull'orrore della violenza bellica. Alla fine, quando i sopravvissuti escono da quello che è al tempo stesso rifugio e luogo di distruzione, quello che vedono fuori è un campo di girasoli, sotto un sole estivo. La bellezza e l'esplosione della natura sopravvivono e a volte se ne fregano del disastro che fanno gli uomini. Se gli uomini dovessero per caso capire che con quella natura e per quella natura è possibile vivere in pace...
Ritornando al discorso da cui siamo partiti, vale a dire che ...tra cuccioli ci si intende, osservare il rapporto tra i bambini e gli animali è esperienza davvero arricchente: sì, le immagini felici sono l'altra parte della realtà, quella a cui diamo poco peso, che sembra sempre scontata, ma che va recuperata. Vedere la gioia reciproca di cuccioli umani e non umani nel giocare tra di loro ci porta alle origini, della nostra specie e della nostra vita individuale, che non è persa, ma è dentro di noi. In rete è facile trovare filmati di questo genere, che non a caso sono supercliccati: la reazione speculare alla visione è quella del sorriso: si movimentano alcune parti nostre, quelle sensibili, vengono toccati i tasti della tenerezza e della semplicità. Sta a noi poi decidere che si tratta solo di momenti privi di importanza o invece di possibilità da espandere. Sta a noi decidere quale è il mondo che vogliamo. Citi il grattacielo di Horkeimer; che la sua fine dovrebbe essere l’abbattimento, lo dici tu stesso. Per successive associazioni, mi compare alla mente l'immagine finale di “Lebanon”, film claustrofobico girato all'interno di un carro armato in cui succede il peggio e da cui la visuale è tutta sull'orrore della violenza bellica. Alla fine, quando i sopravvissuti escono da quello che è al tempo stesso rifugio e luogo di distruzione, quello che vedono fuori è un campo di girasoli, sotto un sole estivo. La bellezza e l'esplosione della natura sopravvivono e a volte se ne fregano del disastro che fanno gli uomini. Se gli uomini dovessero per caso capire che con quella natura e per quella natura è possibile vivere in pace...
GIOVANNI
Metti sul
tavolo moltissimi argomenti e riflessioni importanti, e non si poteva
non sfiorare il nodo cruciale di 'che cosa è' l'animalismo, dal
momento che la costellazione animalista è quanto di più variegato e
anche internamente diversificato. Se queste diversità diventeranno
risorsa oppure ostacolo, dipenderà da chi agisce - e da quali spinte
lo muovono. Ma qui mi fermo, altrimenti andiamo davvero troppo
lontano dall'obiettivo di questa nostra chiacchierata. Ho però una
sensazione: che quel che dovrebbe sostenerci, sia un certo qual senso
di 'leggerezza' (l'insostenibile leggerezza dell'essere?), cioè la
capacità, non di tutti, di saper fare le cose-per-loro in modo
comunque pur sempre sereno, equilibrato, accogliente, anche nei
confronti di chi è estraneo a questi pensieri (perché, non si sa
mai, potrebbe cambiare idea...).
Molto intenso“Lebanon”, ricordo la scena in cui uno dei capi descrive al
prigioniero il destino di torture e umiliazioni che lo aspetterà di
lì a breve, ed è una scena agghiacciante, che espone la forza delle
parole - anche se qui usate per far del male.
Vengo dunque
alle parole del tuo libro, che sta per uscire. Mi farebbe piacere se
tu volessi anticipare qualcosa in proposito. Perché è nato questo
libro? E come si pone in relazione ai tuoi precedenti libri?
ANNAMARIA
È un
piccolo libro che vorrebbe essere l'inizio di qualche riflessione più
profonda e che mi piacerebbe tanto potesse arrivare al di fuori del
mondo di chi di animali si occupa tanto. Sono pensieri che
sottolineano come la naturale predisposizione dei
bambini nei confronti degli animali sia una condizione da tenere
presente nel suo significato più profondo: gli adulti lo fanno in
qualche modo inconsapevolmente perché circondano il mondo
dell'infanzia di immagini del mondo animale: sanno per certo che i
bambini lo apprezzeranno e incentivano questa loro disposizione.
È però come se le riflessioni del mondo adulto si fermassero lì, non
scalfissero la superficie di ciò che è carino notare e bello
assecondare, ma solo e soltanto fino al punto in cui nessuna
modificazione di abitudini, alimentari e non, venisse richiesta. Non
posso scordare una festa organizzata dal WWF in campagna, con una
mucca e il suo vitellino nel prato, oggetto del desiderio dei tanti
bambini intorno e dei gridolini entusiastici dei genitori: guarda,
guarda come sono belli! Di fianco... il posto di ristoro con ragù di
carne. Per non parlare di tutti gli accessori da cameretta con
immagini di variegatissimi tipi di animali, tra cui l'elefantino da
circo seduto sullo sgabello. Che ci si ponga una domanda del tipo:
"ma che ci fa lì?" è davvero troppo pretenzioso
aspettarselo?
Non solo: sono ancora gli adulti a usare i bambini
nelle pubblicità di prodotti animali: operazione davvero
inaccettabile perché i bambini, se sapessero come quei prodotti
vengono ottenuti, sarebbero presumibilmente preda di disperazione.
Si tratta di tanti meccanismi che nel loro insieme, passo dopo passo, strutturano nei bambini un'idea del nostro rapporto con gli animali che è quella vigente ed imperante: mi piaci da morire, non ti farei mai del male, ma è "normale" che io ti mangi. È insomma l'ingresso guidato dagli adulti nella cultura "carnista" tipica di questo mondo. Sono per altro convinta che molti degli adulti non siano neppure consapevoli delle dinamiche che sostengono con i loro comportamenti, tanto spesso automatici, privi di un pensiero strutturato. Ecco: mi piacerebbe che queste riflessioni servissero almeno a rendere più agevole la decodificazione di tanti comportamenti e delle loro implicazioni. È vero che gran parte della violenza di questo mondo non è frutto di cattiveria, ma solo di abitudini, di superficialità, di conformismo: magari, chissà, pensarci un po' sopra può aiutare a decidere che l'unico dei mondi possibili non è quello in corso d'opera, non è quello che viviamo, ma è quello che possiamo aiutare a nascere. Evitando la grande colpa di trasformare l'atteggiamento amicale dei bambini nei confronti degli animali in indifferenza prima e complicità nel male poi.
Si tratta di tanti meccanismi che nel loro insieme, passo dopo passo, strutturano nei bambini un'idea del nostro rapporto con gli animali che è quella vigente ed imperante: mi piaci da morire, non ti farei mai del male, ma è "normale" che io ti mangi. È insomma l'ingresso guidato dagli adulti nella cultura "carnista" tipica di questo mondo. Sono per altro convinta che molti degli adulti non siano neppure consapevoli delle dinamiche che sostengono con i loro comportamenti, tanto spesso automatici, privi di un pensiero strutturato. Ecco: mi piacerebbe che queste riflessioni servissero almeno a rendere più agevole la decodificazione di tanti comportamenti e delle loro implicazioni. È vero che gran parte della violenza di questo mondo non è frutto di cattiveria, ma solo di abitudini, di superficialità, di conformismo: magari, chissà, pensarci un po' sopra può aiutare a decidere che l'unico dei mondi possibili non è quello in corso d'opera, non è quello che viviamo, ma è quello che possiamo aiutare a nascere. Evitando la grande colpa di trasformare l'atteggiamento amicale dei bambini nei confronti degli animali in indifferenza prima e complicità nel male poi.