giovedì 25 luglio 2019

Umani Replicanti






«I've seen things you people wouldn't believe,
attack ships on fire off the shoulder of Orion,
I watched c-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate.
All those moments will be lost in time,
like tears in rain.
Time to die.» 







 «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire.» 



A partire dal celeberrimo monologo: "Ho visto cose che voi umani". 
Un breve ricordo, come han fatto in tantissimi in questi giorni, per un attore paradossalmente sconosciuto ai più. Nel senso che per tutti era 'il replicante' di Blade Runner (che aveva un nome e questo nome era... Roy Batty). Invece era un attore: sensibile e mestierante al tempo stesso.

Nella lunghissima lista di suoi film, forse ce n'è solo una manciata irrisoria che vale la pena ricordare - e che verrà ricordata - accanto a prove giovanili introvabili o a film di serie ben oltre la B.
Ma ci torni dopo.



Adesso, con questo post, vorresti dire, con semplicità massima e sottintendendo tanti lunghi, prolissi discorsi, che siamo tutti replicanti e non ce ne rendiamo conto, non ne siamo consapevoli.  
Lo siamo, sia nel senso che tutti noi abbiamo sogni o speranze, paure o richieste,  ma non sappiamo come né a chi rivolgerle. Siamo come bambini, sia individualmente che come specie: curiosi e terribili al tempo stesso.

Lo siamo -poi - anche nel senso che siamo (stati) programmati da una società che noi stessi abbiamo concepito e programmato, per farci essere quello che noi siamo, in un circuito infinito. (E lui ce lo dice, quanto sia brutto vivere nella paura, ma questa è la vita e il significato di essere schiavo e ricordiamoci come abbiamo ridotto schiavi tutti i viventi).

Lo siamo - ancora - perché siamo attratti dai replicanti - dalle macchine, dalle A.I. dai robot - e al tempo stesso li temiamo, viaggiamo come sempre sul crinale, sul filo del rasoio (blade runner!) che ci porta ad esserne attratti e a volerli dominare. Ne facciamo imitazione della vita, per poi renderli schiavi; al tempo stesso, forziamo la vita dentro schemi artificiali, e sempre a schiavitù è lo scopo e il risultato finale.

La fascinazione macchinica ci porterebbe lontano, sui sentieri della zootecnia e della genetica; ma mai oltre gli antropoconfini. Tutto quello che sta oltre, rimane macchina, risorsa. Tutto quello che è tecnologia siamo convinti ci salverà sempre, nel momento stesso in cui ci mette in pericolo.
Finché non sapremo e vorremo perforare il nostro guscio protettivo, con l'empatia che sembra essere azzerata nel nostro modo di vivere,  anche per noi sarà tempo di morire.


Rutger Hauer modificò il suo monologo, che era diverso dalla versione eternata nella storia. Qui sotto, hai trovato un video affascinante che parla proprio di questo.

Ripensi con meraviglia e stupore a pochi film  di Rutger Hauer, che - nelle sembianze e forse nel carattere - ti ha sempre ricordato un caro amico - un ruvido avventuroso uomo, che non c'è più.



Da Ladyhawke (di Richard Donner) allo stesso Blade Runner (di Ridley Scott).
Da L'Amore e il Sangue (di Paul Verhoeven) a The Hitcher (di Robert Harmon).
Da La Leggenda del Santo Bevitore (di Ermanno Olmi)  a I colori della Passione (di Lech Majewski), quest'ultimo un film incantevole.
E forse un paio di altri, dove però non è protagonista - per cui, cercateveli sulla lista wikipediana.






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