venerdì 5 luglio 2019

Qualche goccia del tuo sangue


...ovvero la storia del pericoloso ingenuo che amò il somaro paziente. Si potrebbe anche riassumere in questo modo questo racconto sui generis di Theodor Sturgeon, che di trame sui generis ne sapeva parecchio. 




Theodore Sturgeon, 1918-1985
Il vero nome di questo futuro scrittore di science fiction era Edward Hamilton Waldo, il quale lo cambierà dopo una vita fatta di cento lavori, viaggi e studio autodidatta. 
Inizia a scrivere nel 1937, capitando al momento giusto nel posto giusto, alle soglie della età dell'oro della fantascienza USA, resa possibile dalle operazioni editoriali di John W. Campbell jr. sulle sue riviste.

Scrive su Urania - Giuseppe Lippi - che lo storione Sturgeon fu, insieme a Clifford Simak,  "l'umanista" del periodo - e infatti a te Simak piace moltissimo. A lui - Sturgeon -  interessa parlare di donne e uomini fragili. "Un tema dominante della sua narrativa è quello dell'amore, sentimento strano e misterioso".
Un tema che in un certo senso non è per niente originale: soltanto migliaia di scrittori e poeti ne parlano da quando esiste qualcosa come la 'letteratura', tra gli umani.
La vastità del concetto 'amore' è inimmaginabilmente larga, ampia. Inutile anche solo tentare una casistica, che sarà sempre incompleta. Pensateci voi, mentre leggete queste righe, in quanti modi si può dire 'ti amo'.
Però, proprio per questo, è un tema irrinunciabile.
L'amore - in senso lato - ha a che fare con ogni animale vivente. L'amore è attrazione fisica verso gli altri corpi e si realizza e si esplica anche in modi esplosivi - vitalmente esplosivi - lungo tutto il contiuum animale - o forse, allargando la prospettiva, il continuum vivente, perché comprende pure gli organismi autotrofi, le piante.
L'amore è comunque eterotrofo, è anche cannibale.
George - il protagonista involontario e inconsapevole (ma quanto, davvero?) della storia - è travolto dall'amore.  (Il suo vero nome è un tassello della sua storia triste: si chiama Bela, come l'attore Bela Lugosi).
Per quanto possa avere un senso cercare di non scrivere spoiler su un romanzo scritto nel 1961, non scenderai nei dettagli.
Va detto comunque che George vive in un contesto realistico rurale  -con tutto quel che ne segue in termini anaffettivi e/o maniacal-religiosi- e in più lui ha una caratteristica particolare, che lo renderà un 'mostro'. Sarà capace di amare soltanto una donna, per breve tempo, in un modo del tutto particolare, lungo un piano inclinato di forte disagio, inadeguatezza, inabilità emotiva. 
Questa donna si chiama Anna, ed è "il somaro paziente" di cui si diceva all'inizio.
La descrizione che ne dà l'operatrice infermiera Lucy Quigley - per inciso, a tuo parere uno dei quattro, cinque personaggi principali, anche se all'epoca della scrittura di questo racconto, non si costruivano personaggi femminili a tutto tondo - è degna di nota e merita di essere scritta. Lucy Quigley, va detto, si appassiona al caso, è dinamica e intraprendente, ha una mente sensibile e acuta, ha intuizioni che completano il quadro, con dettagli preziosi. Ma questo, a momenti, sembra passare in sordina. Lei stessa si definisce "una semplice operatrice, un'infermiera e una donna". Come se fossero tre difetti!
Ad ogni modo, Lucy Quigley - siamo verso la conclusione del libro -  ci presenta Anna così: "Povera Anna! Spenta, silenziosa, brutta, male amata e piena di tenerezza. Mi ricorda un animale da soma, forse un somaro, un somaro dal basto carico, molestato da mosche, che se ne sta paziente ad aspettare, con grandi occhi tristi, che qualcuno venga a dissetarlo, o a dargli un calcio, o a ucciderlo, o a dirgli ciò che deve fare". Lucy confessa con imbarazzo di essersi commossa. Come se anche questo fosse un difetto! (Tra parentesi, la descrizione di Lucy su Anna, ti ha ricordato il cavallo di Torino, film dolente). 

Nel contesto rurale in cui tutti i personaggi comunque si trovano a vivere o a fare riferimento, certe situazioni sarebbero spudorate - mescolare sentimenti di empatia con indagini e analisi psicologiche - mentre altre sono perfettamente normali, così normali da essere concepite solo come termine di paragone metaforico: il somaro triste e paziente, schiavo, merita uno sguardo solo per il tempo necessario a dirci che un essere umano non si tratta in questo modo e che a trattarlo così, si compie un atto iniquo. Nessuna parola, invece, nessuna riflessione concreta sulla iniquità del trattare così (anche) un "semplice" somaro. Sappiamo ormai da tempo che cosa sia il "referente assente".

Il fatto è che  Sturgeon scrittore sa bene come usare il materiale che ha a disposizione, conosce bene il contesto rurale di molta parte degli Stati Uniti - le terre dei colli rossi, i redneck, non a caso spesso presenti anche in molti altri racconti dell'orrore - per cui, con questo paragone, ci suggerisce che il sentire comune di ogni umano in quel contesto, è di incomprensione verso qualsiasi diversità -e di oppressione e abuso verso chiunque sia stato reso schiavo: un somaro (reso) emaciato, una donna (resa) brutta. Anche i personaggi all'apparenza più istruiti o con maggiori risorse intellettuali, non sprecano il loro tempo con gli animali non umani - lo si vede anche in altre parti del racconto, dove ci sono lunghe descrizioni di metodi di caccia con le trappole, senza che faccia capolino anche solo un accenno di pietà per gli animali uccisi.

Il racconto, lo hai letto in meno di due giorni: la prosa è più che scorrevole - e allo stesso tempo intrigante  - e il meccanismo narrativo, che costruisce il quadro completo per successive fasi di accumulazione di fatti e svelamento di dettagli che gettano nuova luce ex post, fa sempre scorrere una vena di inquietudine e disagio, una attrazione riluttante, la voglia e la paura di sapere, di scoprire.

George è un 'mostro', soprattutto nel senso che la sua umanità è mescolata all'animalità - vedrete che l'olfatto e il modo di cibarsi e difendersi mescolano i due piani che altrimenti la società specista vuole mantenere separati e sono fondamentali nello svolgersi del racconto e nella sua risoluzione, alla fine. Percò per lui il lettore è indeciso su quali sentimenti provare: paura o pietà? Protezione o persecuzione?

Se ci fai caso, è proprio la stessa oscillazione che quasi tutti gli umani provano verso quasi tutti gli animali non umani, di volta in volta che questi vivono insieme a noi accettati, oppure vicini ma estranei e sconosciuti, oppure liberi e incontrollabili. L'umano non accetta più di essere preda, di diventare carne divorabile - e dimentica che questo può capitare, anche quando il predatore è un altro umano. Si può molto facilmente fare un collegamento con le riflessioni di Val Plumwood  - che venne quasi mangiata da un coccodrillo (grazie, Marco Reggio): "noi umani siamo comunque animali, collocati lungo la catena alimentare". "Orrore e sdegno solitamente salutano le storie di altre specie che mangiano gli umani". "L’indignazione che proviamo all’idea di un essere umano mangiato non è certamente quello che proviamo all’idea degli animali ridotti a cibo. L’idea della preda umana minaccia la visione dualistica del dominio umano in cui noi umani manipoliamo la natura dall’esterno, come predatori e mai come prede. Possiamo consumare ogni giorno altri animali a miliardi, ma noi stessi non possiamo essere cibo per i vermi, e certamente non possiamo essere carne per i coccodrilli. Questa è una delle ragioni per cui al giorno d’oggi trattiamo in modo così disumano gli animali che trasformiamo in cibo, perché non riusciamo ad immaginare noi stessi collocati in una posizione simile come cibo".

L'orrore di essere cibo viene allontanato, anche simbolicamente, nei racconti di vampiri, lupi mannari, persino serial killer, fino agli alieni (oltre ad Alien, che ormai è un archetipo, un altro racconto Urania che ti viene in mente e che ti sconvolse è "La lunga morte del Colonnello Porter", di John Paton: un uomo diventa il nido, paralizzato ma cosciente, di uova aliene incubate nel suo ventre).

Siamo quasi alla fine di questo racconto, che usa in modo perturbante e aggiornato, due tecniche letterarie narrative - la collezione di 'documenti reali', come lettere o relazioni; insieme con il racconto a scatole cinesi: una cornice introduttiva e un testo centrale - che possiamo ritrovare, guarda caso sia nel Frankenstein di Mary Godwin Shelley, che nel Dracula di Bram Stoker.

Ti è piaciuto leggerlo - dal 1961 questo racconto ha gettato semi che si son potuti vedere in altri romanzi o film o persino attuali serie televisive. Ve ne viene in mente qualcuna?

Ti è venuto naturale trarne riflessioni del tutto anacronistiche - rispetto al tempo in cui è stato scritto, naturalmente - ma il bello di un testo è quando 'parla' ai suoi lettori, anno dopo anno, epoca dopo epoca, dicendo sempre qualcosa di nuovo, con abbastanza diramazioni e approfondimenti, strutturazioni e intuizioni, da poter accogliere nuove interpretazioni, nuovi usi, nuove suggestioni, nuove prospettive che guardano sempre oltre la storia originale, ma che allo stesso tempo la amano, la considerano importante e interessante.

"Oppure ti offende anche l'idea che esista un uomo come George? Ebbene, sarà la cosa più semplice [...] rinchiuderlo per sempre tra quattro mura. Si potrebbe anche farlo morire ammazzato [...] colpito da una pallottola [...].  Ti piacerebbe che fosse colpito al petto, o al ventre? Ti piacerebbe? perché? Che cosa rappresenta uno come lui per te?".

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