giovedì 13 aprile 2017

Vite strappate, foto strappate - Nomattatoio Torino 6 - 12 aprile 2017

Via Traves, Torino, un camion di vitelli - foto di Rossella Boeris:
"Questo vitello ci guardava ed io sono morta dentro"


A Torino, - 4 a Pasqua, Nomattatoio numero 6, di fronte al macello di Via Traves.

Presidio montato appena prima dell'alba, è ancora buio, per via dell'effetto dell'ora legale. 
Ci sei andato anche questa volta, ma ben più avanti nella mattinata.
Essere presenti a un presidio come questo, che mette in pratica una azione di protesta civile autenticamernte non violenta (si è presenti non per se stessi, ma per rendere visibili coloro che sono già morti pur essendo ancora vivi e che nessuno vuole più vedere: gli animali considerati come carne) ti mette a vera prova. Le tue risorse sono la presenza e il silenzio, che non raccoglie insulti né provocazioni - le meschine reazioni di chi si sente scoperto e cerca di indebolirti.

foto di Genny V F



Sai che se accetti il faccia a faccia con un orrore vero, reale, concreto, ti troverai a trascorrere non pochi momenti dolorosi: ogni volta che arriva un trasporto, gabbie motorizzate su ruote, che stanno portando alla morte agnellini, vitelli, mucche, maiali, galline. Il macello riceve tutta la 'materia prima', tanto si tratta solo di carne, anche se all'apparenza ha forme diverse e va sempre ridotta e trattata e lavorata, per essere poi presentata al compratore del supermercato. Il trasporto entra, viene svuotato e poi riparte. Solo il dolore, la paura e la morte ne impregnano le sbarre in un modo che non può essere lavato via, o cancellato - né, in un certo senso, pensi che andrebbe fatto.

Quando sei arrivato, le nuvole alte si erano già aperte, nella mattinata, per lasciar spazio a un sole caldo ma pallido. La prima cosa che i tuoi sensi hanno colto, mentre raggiungevi il presidio, era l'odore: una bollitura appiccicosa e untuosa, un proto-brodo da ciclopi o da orchi, che il vento diffondeva ovunque, sul rettilineo di fronte al macello; dove non ci sono semafori a rallentare le accelerazioni inconsulte delle auto - o dei camion colmi di vittime, specialmente quando ci vedono: accelerano, sull'ultima curva, facendo sbattere gambe e schiene e teste e code e natiche dei prigionieri, accelerano perché non vogliono farceli vedere, vogliono negare la loro esistenza per la ennesima volta.
Quell'odore va e viene, ma ondeggia sempre a mezz'aria, può assumere diverse intensità.

Eravate, nel complesso, in poche persone, ma coraggiose. 
E  insieme a loro, oltre le parole, hai percepito che la presenza di un gruppo di persone che attirano l'attenzione sulle vittime, chiamandole quando arrivano, vedendole davvero per la loro prima e unica volta - non passa inosservato, nel bene e nel male. C'è chi è infastidito dalla nostra presenza. C'è chi si è fermato per confessare con sollievo che si è sentito confortato dal fatto che fossimo lì - ti hanno raccontato che qualcuno che lavora lì dentro, ha ringraziato che ci fosse qualcuno fuori dai cancelli, perché "nessuno ha idea di quanta e quale violenza avvenga in continuazione lì dentro". E non unicamente contro gli animali non umani. 
Una persona incuriosita, infine - e assai credente nella religione -  si è fermata a discutere.

Mentre parlavi con le attiviste torinesi, che sono coraggiose (e che per questo sei sicuro che troveranno sempre più persone che si aggiungeranno), hai detto e pensato che in ogni caso anche pochi va bene, anche pochi possono impensierire, rovinare almeno la facciata della macchina mortifera che non si ferma mai. Quando ci saranno più persone, capiterà che ci saranno più spalle a sostenere i dolori lancinanti del passaggio dei trasporti - e chi, in quanto umano, piangerà per aver incrociato quegli occhi smarriti e ricacciati nelle tenebre prima del tempo, troverà conforto nel numero, nell'essere insieme ad altri, umani, lì presenti. Si tratta di vedere il bluff dell'invisibilità del macello, si tratta di scoperchiarne l'ipocrisia. 

Alla fine, dai cancelli è uscito un grosso mezzo col cartello che avverte che si tratta di un trasporto di materiale organico non adatto alla alimentazione umana. Al suo passaggio un odore verde e nero è uscito dal suo bilico, ha ammorbato luce e aria e i respiri, per un tempo che sembrava non finire mai. Era l'odore putrefatto, marcio, bluastro e grigio della morte, che subito inizia a trasformare i tessuti molli dei pezzi scartati degli animali uccisi.

4 commenti:

  1. Caro Giovanni, non ho parole, solo ti dico grazie per il tuo/vostro impegno, coraggio, determinazione. So quanto sia emotivamente pesante assistere al passaggio dei camion. E grazie anche per aver scritto questo resoconto così significativo.

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    1. Cara Rita, lascia che te lo dica con sincerità, è grazie a te, che sei sempre presente nei pensieri e nelle parole e nei ragionamenti delle persone che vengono ai presidi torinesi, se la determinazione si auto sostiene e diventa meno doloroso avvicinarsi ai camion. Speriamo di proseguire, continuare a essere lì ancora, come voi a Roma.

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  2. Grazie perché esistete e ne avete il coraggio....

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