martedì 4 settembre 2018

Il diagramma a flussi per far sparire il cane dalla faccia della terra




Da che cominciare? Magari da una piccola storia di ordinaria quotidianità. 
Un pomeriggio qualsiasi di non troppi giorni fa, in un parco (una delle cosiddette 'area sgambamento cani', un nome che già la racconta lunga sul tipo di idea che possano avere del 'cane' ai 'piani alti' delle amministrazioni locali cittadine), insieme con le mie cane. Entra un giovane con figlia e cane, iper muscoloso (il cane), giovane, un medio piccolo schiacciasassi denso come un meterorite, che corrisponde a un esemplare di 'razza american bull terrier', o 'american bully'.  Il cane è un giovane quasi adolescente, liberato dal guinzaglio a strozzo, gioca in modo molto fisico; la mia cana meticcia, di mezza età (9 anni circa), spalleggiata dal suo compagno breton 7enne, gli fa capire subito che dalle nostre parti 'non è aria' per giocare.
Il giovane umano è molto tranquillo, orgoglioso del suo cane, si dichiara un 'amante della razza, una razza che esiste da soli 5 anni', che gli piace perché ha molto carattere. Ti racconta che l'allevatore dove lo ha comprato gli ha spiegato che spesso i maschi riproduttori non riescono a 'coprire'le femmine fattrici, perché i rispettivi corpi, ipertrofici di muscoli, non riescono a sopportare la performance dell'atto sessuale; l'unica soluzione è la inseminazione artificiale'.

Entra una coppia, credo oltre la quarantina, probabilmente con buoni mezzi economici. Con loro hanno un cane levriero, assai alto e nerboruto, molto giovane, ansioso di 'sfogarsi' : il tragitto dall'auto al parco è compiuto tirando il cane col guinzaglio, agganciato in due punti del corpo, e spesso strattonandolo. Riceve anche una sberla sul naso. Nel parco, gli viene impedito di scavare buche o di bere nelle pozzanghere. I 'no' risunano spesso, il cane ci mette molte decine di minuti prima  di apparire più seren, tranquillo, soddisfatto. Lui e il bull giocano volentieri insieme: pur essendo di altezze molto diverse, la loro fisicità - anche se molto differente - è simile nello 'stile di gioco' e nell'approccio fisico al limite dell'assalto. Lo hanno comprato dall'allevatore, che si trova all'altro capo della Pianura Padana. Anche se ha distrutto almeno due divani, sono molto orgliosi di lui, perché ha uno scatto di corsa 'da zero alla massima velocità in circa 7 secondi'. Quando escono dal parco, per rimettergli il guinzaglio, prima lo afferrano 'a tradimento' per la pettorina, poi lo chiudono ai fianche con le gambe, quindi riagganciano il doppio guinzaglio.













Hai vissuto e osservato in presa diretta -come per altro ti è già capitato altre volte: per esempio un signore col Dobermann ti ha raccontato convintissimo che l'addestratore dice che 'bisogna punirlo entro i primi 5 secondi, altrimenti poi ha già dimenticato tutto'; e poi lo fa giocare  - e forse anche allenare - facendolo saltae e aferrandogli braccia e mani, salvo dargli una sberla se 'osa' stringere i denti. Cioè, hai visto in pratica quanto sia artificiale la razza per ciascun cane che viene definito, cercato, comprato, sfoggiato come 'puro'; quanto sia fuorviante per comprendere l'individuo che si ha davanti; quanto sia cioè un condizionamento che nasconde la realtà canina, genuinamente canina di 'quel-cane-lì', che quindi diventa l'ennesimo referente assente frutto della zootecnia umana. Il cane vive insieme all'uomo da migliaia di anni, mentre le razze non hanno probabilmente più di 150 anni - sei sempre indietro con l'impegno a raccontare il libro di Raymond e Lorna Coppinger, Dogs: è evidente che si tratta di costruzioni, incroci, artificializzazioni che  potano, selezionano, direzionano verso alcune direzioni a scapito di altre, per tirar fuori dal 'cane di partenza' ancestrale, razze sempre più specializzate, utili e al servizio dell'uomo e delle sue esigenze - ma anche delle sue velleità. Ogni iper-selezione, ogni magnificazione di alcune caratteristiche o forme, è un passo avanti verso il maltrattamento genetico e la catastrofe, la trappola genetica per il cane; e un allontanamento dalla pienezza specie specifica che il cane ancestrale aveva in pieno, poiché era una specie non ancora o non del tutto serrata nella morsa umana. Come cane e uomo si siano incontrati e conosciuti, magari ne riparleremo, ma comunque tu pensi che abbiano fatto un lunghissimo percorso insieme, in mutua simbiosi, un rapporto che poi è mutato, si è impoverito e aggravato - a spese del cane, specialmente, che ha avuto solo perdite e svantaggi.






A seguire lo schema che potete leggere qui sotto - riportato da Veronica Papa, cinofilosofa, nessuna delle mie due cane ritratte all'inizio, o dei cani di Veronica ritratte qui sopra  avrebbe potuto esistere. A seguire lo schema qui sotto, altre due mie cane, bretoni, hanno sofferto in vita prima reclusione e sfruttamento come fattrici, poi patologie - vuoi congenite, vuoi traumatiche - più o meno direttamente collegate alla razza, alle aspettative che su quella razza 'da', l'uomo si crea, e dal trattamento pratico che l'uomo - un certo tipo di uomo - riserva per abitudine, per cultura (venatoria) a quel tipo di cane lì.





Veronica Papa:


"Nello schema Le hanno messe come ultime condizioni, ma io le metterei per prime, e di tutte le altre me ne sbatterei il cazzo:
- IL TUO CANE HA UN CARATTERE EQUILIBRATO?
- SI
- NON STERILIZZARLO
- IL TUO CANE E' SANO?
- SI
- NON STERILIZZARLO
Perchè non cominciare a ragionare così? Chi ce lo impedisce?
("Mi chiedo, chi è l‘uomo per permettersi di cambiare una specie così grandiosa come il cane?" cit. Franziska Cristelli)


Certo la società, come è ora, non è pronta a tornare indietro di solo poche decine di anni fa, in fondo; ma neppure mi piace dove sta andando, e credo che fermarci un attimo, riflettere, aprire gli occhi, avere il coraggio di sgranarli sullo scempio che stiamo commettendo, sia doveroso.
Il cane è continuamente usato e abusato, e questo schema ne è uno solo degli esempi. E lo si chiama pure amore! almeno, cominciamo a chiamarlo col suo nome. Perchè questo è maltrattamento (le razze sono maltrattamenti genetici, sono quanto la natura eviterebbe accuratamente); io tra questo e l'avvelenamento non vedo differenza alcuna.

  se questo schema venisse seguito, il cane sparirebbe.
resterebbero solo le degenerazioni e le derive inventate dall'uomo per i suoi capricci



 si può cercare di rendere questa "cattività" il meno pesante possibile. Anche se sì, l'obiettivo dovrebbe essere quello di non aver più bisogno di POSSEDERE un cane.
Per quale motivo si deve dare così scontato che possedere un cane sia cosa buona e giusta? la cosa giusta sarebbe essere in amicizia con un cane, non possederlo.
"


Come la pensi tu: quel che si legge in un riquadro dello schema "  'se non è di razza' o 'se ha il pedigreee da 3 o 5 generazioni' , al tuo orecchio , riecheggiano molto i criteri di pulizia etnica nazista... una prassi nazista (provate a pensare se venisse applicato sugli umani, come han fatto i nazisti, come fanno i razzisti!).

Meglio sarebbe che leggeste quel che per una vita ha scritto Luca Cavalli Sforza. Le razze sono dunque una invenzione  tanto tecnica quanto ideologica, operata dall'uomo, un taglio artificiale e netto, un separatore utilitaristico, che 'pesa' la vita e 'scambia' gli individui, la cui unicità è negata, resa irrisoria, o persino avversata e ostacolata. Razze sono quelle 'macchine viventi' (compresi gli stessi umani) utili all'uomo, in vari campi e settori. Tutti gli 'animali DA'. Nel caso dei cani, a volte, sono 'animali DA affetto / compagnia'. Molti umani sono e sono stati 'umani DA', cioè separati, cioè reificati.


Ok questo è un punto di partenza: uno dei molti spunti cinofilosofici, che poi, a seconda di come lo si osserva e dalla strada che si è fatta per arrivaci, può non essere un punto di partenza, ma una tappa, un crociccihio, un bivio, uno scalino.
Punto di partenza: significa che al suo interno possono starci e convivere molte sfaccettature, anche contraddizioni, molte possibilità, molte alternativi, molti 'se' e 'ma e 'oppure', che per quel che ti riguarda non sono mai (state) confuso coacervo, ma occasioni di sguardo, scoperta, conoscenza, anche amore - sì; e pure l'amore con tutte le sue contradditorie paturnie - nei confronti di questo animale che ha per lo meno accettato - se non scelto -  di affiancarsi al percorso ideato dall'umano, e che ha plasmato e reinterpretato a modo suo canino in ogni occasione che ha potuto - cosa che, per altro, a oggi non ha ancora smesso di fare: son lì a raccontarcelo tutti i cani gialli ubiqui nel mondo.
 Lo si può o meno collegare a approcci filosofici i più vari e stimolanti (magri qualche volta proverai a farlo), ma anche ci può spingere a riaprire gli occhi e il cuore, a respirare l'autenticità canina, che ogni cane che vive con noi ci mostra, nella quale prova a coinvolgerci - anche quando abbiamo allontanato il suo corpo rendendolo razza iperspecializzata e snaturalizzata, lui non si dimentica di essere un cane, e nei suoi sogni probabilmente sogna il cane ancetrale, quel mistero genetico specie-speciato che nella notte buia mesolitica ancora torna a chiamarlo, per riattizzare il fuoco canide libero e naturale, soffocato dalla cenere zootecnica solpisistica umana.


(Questa volta, aspetto i commenti QUI sul blog)





5 commenti:

  1. Bello il modo con cui hai sviluppato l'argomento, Giovanni.
    La questione è molto delicata, e solitamente suscita reazioni ad alto impatto emotivo.
    L'idea che non possa esistere una casa per ogni cane che viene al mondo ci fa impazzire, perchè è difficile riuscire ad accettare il fatto che in realtà sia proprio nell'alta natalità che il cane ha uno dei suoi principali punti di forza,
    Infatti, nascere in molti fa sì che ci possa sempre essere qualcuno in grado di adattarsi all'ambiente in cui si trova, e questo rende il cane un animale ad elevata flessibilità (flessibilità che si riferisce alla specie più che al singolo individuo).
    L'intervento umano ha lo scopo di mettere sotto tutela, ma anche sotto controllo, pure quei cuccioli che non sarebbero destinati a sopravvivere.
    Realizzando che non c'è posto per tutti, gli esseri umani trovano nella sterilizzazione l'illusione di una soluzione, che allevia la loro propria sofferenza, ma che in realtà porta grossi danni alla specie.
    Essere selezionati dall'uomo anzichè dalla pressione ambientale compromette fortemente la capacità di adattamento di questi animali, rendendoli sempre più inetti e dipendenti dall'uomo, e di conseguenza totalmente in suo potere.
    Perchè il fine ultimo di queste scelte resta il pieno controllo su chi si crede di amare.

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    1. Ciao Veronic, intanto benvenuta sul blog e grazie per il tuo intervento. Io ero partito dallo schema che davo per sottinteso parlasse di protocolli in uso per i cani di razza. Percuò ho scelto foto di cani meticci, che non esisterebbero se quei criteri venissero applicati alla intera popolazione caninia. Mi piacrebbe che tu tornassi a parlare anche di questo. Se capisco bene il tuo intervento, tu allarghi i focus e arrivi a parlare proprio di sterilizzazione tout court, cioè sulla intera popolazione canina. Che, riflettendoci, è quel che capita nei canili, nei rifugi. Da volontario nei rifugi, ho sempre 'appoggiato' la sterilizzazione, tuttavia sentivo un intimo disagio, una dissonanza: la stessa pratica medica sugli umani la vedremmo come un orrendo abuso, nei posti dove è stata praticata o dove lo è tuttora, pensiamo che le persone vivano male, che non siano libere, ma oppresse da dittature. L'altra faccia di questo intervento umano, mi par di capire, è la salvazione di cuccioli che 'in natura' non sopravviverebbero. E qui, si aggroviglia un numero enorme di questioni: che cosa sia 'natura'; che cosa sia etico fare; quali siano i limiti degli interventi (tutte domande che si possono applicare, in scala 1:1 anche sugli umani). Infine, la questione della esuberanza numerica umana: saremo presto 9 miliardi? la aggiungo, in finale, perché è la schiacciante prova pratica di tutte le questioni che abbiamo nominato. Come si affronta una prospettiva simile? Cosa farebbe la natura? Ma quale natura? E cosa farebbe, o fa, la vita, se lasciata libera di dilagare? Il pianeta intero sembrerebbe la risposta: un luogo che brulica di vita ovunque, dove l'individuo conta molto ma molto meno del proseguire complessivo dell'evento-vita, l'evento bio-fito-zoologico. Troppo oltre? Torniamo ai cani, però leggo, che ritroviamo proprio gli stessi problemi: alla fine mi dò un primo tentativo di risposta, cioè che homo sapiens stesso è diventato un elemento di pressione e selezione naturale, poiché è nella sua natura (etogramma), il fare quel che fa - il che, potrebbe rivelarsi, in tempi geologicamente brevi, non-un-successo-evoltivo.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Sì Giovanni le tue considerazioni sono tutte estremamente sensate, e le condivido in pieno; e si affacciano su questioni cui non è facile, forse impossibile, dare risposte.
    Credo che nella questione uomo-cane (per restringere ad un argomento che sono almeno in parte in grado di affrontare) il problema nasca dall'opportunismo che caratterizza entrambe le specie, ma che trova in quella umana la sua massima espressione.
    E così da semplici commensali uomo e cane sono divenuti soci e collaboratori, per poi trasformarsi in padrone e schiavo, utilizzatore e strumento.
    Le razze sono nate originariamente per facilitare il lavoro dell'uomo.
    Ai giorni nostri queste necessità sono scomparse, ma ne sono sorte altre, una in particolare: la specie umana nel suo etogramma prevederebbe di rivolgere le proprie cure ad una prole piuttosto numerosa (fino a poche decine di anni fa era abbastanza naturale che una coppia procreasse una decina di figli, di cui almeno la metà superava l'adolescenza) ma ai giorni nostri è tanto se si trovano famiglie con tre figli.
    Tuttavia la natura della specie non si modifica così velocemente, e cosa se ne fanno uomini e donne di tante cure parentali inespresse?
    E così ecco che ritorna utile il cane, e vai con le razze sempre più neoteniche, che selezionano soggetti sempre più buffi e inetti, incapaci e obbligatoriamente dipendenti.
    Quando le famiglie avevano dieci figli da crescere non avevano certo tempo da perdere dietro ai collari di strass per il cane, e questi si viveva tranquillamente la sua vita, magari meno confortevole ma sicuramente più autonoma e indipendente.
    Questo per dire che un allontanamento dalla propria natura comporta una serie di distorsioni cui è difficile porre un limite e di cui è impossibile prevenire appieno l'evolversi.
    Non sto di certo affermando che dobbiamo tornare a sfornare 10 figli, viste anche le considerazioni da te appena suggerite, e neppure non me la sentirei di dire che dobbiamo smettere di curarci e di produrre farmaci che ci allungano la vita proteggendoci e guarendoci dalle malattie.
    Ormai il processo è avviato e temo che sia inarrestabile.
    Ma un aumento di consapevolezza, un maggiore coraggio nel guardare dentro a noi stessi e nel chiamare le cose col loro nome, io credo che possa aiutare a contenere certe derive, a migliorare certi percorsi, a guadagnare maggiore rispetto per gli altri esseri viventi che ci stanno accanto.

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    1. quante cose hai detto, quante cose solamene, per forza di cose, intraviste e poi lasciare lì. Ma ttute mi hanno colpito.
      per ora mi limito a dire che secondo me ci troviamo a uno di quei punti di discontinuità, potenzialmente di determinare il futuro- in un senso o nell'altro. Se faremo scelte di un tipo, avremo un futuo; se ne faremo altre, non ce lo avermo. Iper-semplificazione: è il chiodino a cui vorrei appendere il 'quadro' che sarà la risposta a questa tua risposta. Ci ritorno prestissimo.

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