venerdì 24 novembre 2017

Viaggio al termine della notte, a Torino NOmattatoio per l'undicesima volta

« Ve lo dico io, gentucola, coglioni della vita, bastonati, derubati, sudati da sempre, vi avverto, quando i grandi di questo mondo si mettono ad amarvi, è che vogliono ridurvi in salsicce da battaglia... È il segnale... È infallibile. È con l'amore che comincia. »

Non hai mai letto il libro di Louis-Ferdinand Céline, che dà il titolo a questo post e la didascalia alla prima foto. Ti ha sempre suggestionato il titolo: ha qualcosa di arcano, di drammatico, di inevitabile, che sembra speranza ma forse non lo è: il termine della notte dovrebbe essere la luce. Ma se fosse un termine definitivo, invece?
Ma se la luce del giorno fosse quella dell'ultimo giorno della nostra vita? E se fosse invece una luce artificiale? Di un lager? di una prigione? di un laboratorio? 
Di un mattatoio?





Son considerazioni in libertà, suggestionate dalle parole del titolo, pensieri del tutto svincolati da qualsiasi altro aspetto che possa avere a che fare con Céline o col suo libro - ripeti: non li conosci se non per nome, per fama.  Ma - desideri che questi pensieri possano in qualche modo avere una attinenza con la giornata dell'undicesimo presidio di NOmattatoio a Torino. O, più in generale, con la situazione e le sensazioni che arrivano e si rimescolano e si scambiano in quella mattinata lì, che in novembre inizia col buio, con la notte - appunto - fino al suo termine: una livida mattina intirizzita. Abitata da pochi volontari presenti al presidio e da ancor meno camion carichi di animali morituri (dice Rossella che tutti i camion sono arrivati prima delle 6. All'alba il primo camion; dopo le 9, hanno ripreso a varcare i cancelli, tre camion uno dopo l'altro; invece,  durante le ore del presidio, solo uno. doppio. Come se sapessero della presenza di attivisti animalisti e come se non volessero svelare il loro traffico di schiavi macellabili).



Vuoi provare a raccontare, qui, i motivi di questa suggestione; motivi che forse più che mai si sono resi chiari proprio in questo undicesimo essere davanti a un luogo nullificante - un ground zero di empatia, pietà, rispetto come il macello.

Diciamo subito: sostare a lungo portando e  mostrando immagini e parole che rendono evidente e visibile un pensiero non solo diverso, ma addirittura opposto al pensiero che domina ovunque - e al massimo grado in quel posto e in centinaia di posti simili - equivale esporsi all'insulto, al dileggio, alla minimizzazione, alla polemizzazione, al sentirsi dare la ragione dei matti. Che risposta dare? La migliore, secondo te, è quella del silenzio, della non reazione impulsiva. Con l'attenzione pronta, però, a cogliere inaspettati spiragli, ombre di dubbi, il passo che rallenta, lo sguardo che si ferma sui cartelli, una espressione perplessa del viso.




E provare ad aprire una comunicazione. Che è quello che - di sicuro - provano instancabilmente a fare anche gli animali che vedi passare prigionieri sui rimorchi - vitellini bambini con gli occhi smarriti che cercano conforto, per esempio. Una comunicazione che viene ignorata, negata: accade a loro, accade a noi. Loro, però verranno uccisi a breve. Noi, al massimo, verremo derisi o guardati con incredulità, o con superiorità - o non guardati del tutto, bensì ignorati (e in questo, siamo animali come loro, purtroppo: o così ci vuole vedere la macchina macellante).



Abbiamo provato a comunicare, mercoledì, quando è capitato un fatto che in tutti i precedenti presidi non era mai capitato: abbiamo visto arrivare studenti di veterinaria che, con l'atteggiamento leggero che si può avere quando si entra a lezione, si apprestavano a entrare nel macello, per fare una visita didattica e fare pratica con le norme, le regole e le pratiche di un macello legale, umano, normale, osservare come vengano concretamente applicate. Queste ultime tre parole le metti di proposito senza virgolette: le virgolette sarebbero la proiezione della tua repulsione. Nessuno degli studenti che abbiamo visto, le avrebbe mai virgolettate, perché per ciascun di loro rispondo a verità (caso mai, le avrebbe sottolineate).
E lo sono, una verità: sono parole performative, che filtrano la realtà fatta di urla, paura, fuga, dolore, sangue, coltelli, ferite e morte: la filtrano in modo che si veda solo la operatività, il controllo sanitario, la macellazione umana. 



Insomma, siamo andati a parlare con questi studenti (devi ringraziare Maika e Chicco, che sono sempre due fantastici facilitatori sociali).
Come si sentono, prima di entrare? 
Dice: siamo già entrati in altri macelli, prima di oggi. 
Dice: eh, dobbiamo farlo. 
Dice: non posso dire di essere tranquilla, però è una cosa che va fatta. 
Dice: non mi sento per niente contenta.
Dice: sono cose che vanno sapute, sono cose che dobbiamo conoscere. 
Dice: qui vengono trattati come animali, infatti vengono uccisi e macellati senza che soffrano. 
Dice: ci sono delle norme, che vengono seguite.
Dice: non credo che la gente smetterà mai di mangiare carne.
Dice: finché la gente comprerà e vorrà la carne, questo posto non smetterà mai di funzionare. - Quindi tutto si riduce al mercato? -  No, che c'entra il mercato, qui sono le abitudini della gente, che vuole una certa cosa. 
Dice: non serve bloccare un macello. Non serve a niente venire qui, perché qui ormai è tardi. 
Alla domanda, non sanno rispondere:  non sanno cioè se o cosa provare: pena, o compassione, o pietà, o dispiacere, per questi animali che invece vorrebbero vivere.
E se invece lì dentro, macellassero loro? (indichi i tuoi cani, che una ragazza vererinaria sta accarezzando, mentre si infila camice e stivali di gomma). 
Dice (un ragazzo): è una questione di cultura, di usanze, io le rispetterei, non ci vedrei niente di strano. 
- Non è che magari non tutto di una cultura, di una usanza, va preso e accettato in toto, senza obiezioni, senza perplessità, senza domande, senza dubbi di alcun tipo (?) ? Non si finisce con l'accettare qualsiasi violenza inflitta -a qualcuno che, comunque, non-siamo-noi. ?

Disco rotto; dice: mah, non so se è giusto giudicare. Comunque è una loro scelta, e va rispettata. 
Dice (ridice): comunque, non serve fermare un macello, è proprio un discorso a monte, che inizia ben prima; è una questione di cultura. 
Dice: è la cultura che bisogna cambiare.



Te ne vai, con Maika e Chicco, mentre questi 20, 30 ragazze e ragazzi  entrano in gruppo compatto, mosche bianche. Così il macello ingoia anche loro, che seguono un macellaio che è venuto a prenderli all'ingresso. 



Non credi che servano commenti. Anzi è pure possibile che nei discorsi indiretti riportati, la memoria abbia aggiunto o corretto del tuo: sfumature, certo, ché i silenzi non si possono scrivere nero su bianco. Tuttavia, l'onda di pensieri era questa che - come il fan di Ryszard Kapuściński che tu sei - hai cercato - senza appunti e a più di un giorno di distanza - di riportare qui. Compresi i movimenti.  Puoi invece parlare degli sguardi, delle espressioni di questi giovani: in loro c'era sicuramente la concentrazione, l'aspettativa per qualcosa che stavano per iniziare a fare, qualcosa che comunque sanno impegnativo e difficile. Avresti voluto scoprire maggior empatia, ma forse è un tuo desiderio illusorio. I loro sguardi ti sono apparsi sempre lontani, i loro sentimenti, le emozioni, sempre chiuse, al sicuro, ben bene in uno scomparto stagno e separato del cervello. Forse, solo Maika e Chicco han potuto far minima e breve breccia tra le mura alzate a protezione.



In fondo, ciascuno, nel romanzo della sua vita, è - si sente - l'eroe, il protagonista; un eroe non fa mai cose indegne o cattive, ma agisce sempre mosso da buone intenzioni. 
Non sei qui per giustificarli.
A te, parlando con loro, è successo di essere costantemente scivolato su pareti ripide e infrangibili di sdoppiamento cognitivo - fino alla dissonanza. Mai un istante di dubbio, mai un attimo di sosta. Un grande uso di parole-attrezzo: legale, normativa, umanitario; usanze, cultura. Ritieni che forse il voler fare tutto il più velocemente possibile sia una ulteriore forma di difesa; in fondo, anche quando togliamo la teglia dal forno, oppure scoliamo la pasta dall'acqua bollente, lo facciamo in velocità e usiamo delle protezioni: per non ustionarci.

Dice: certo, quel che succede lì dentro, quello che stiamo andando a vedere, non è bello, ma vengono trattati come animali, e tutte le regole servono per non farli soffrire. Del resto, finché c'è chi vuole mangiare carne, questo sarà sempre necessario. 
La 'macellazione umanitaria' è dunque un male necessario. Ha ragione Celine: quando i potenti vi amano, è per trasformarvi in salsicce. La guerra sulla pietà non termina mai.
Legge e norma, regola e igiene sono le presine che questi ragazzi usano in automatico - non conoscendo altro - per proteggere se stessi dall'incandescenza del dolore che pulsa nel macello - e che ustiona i pensieri, le idee, le emozioni, la capacità di provare tenerezza. O forse, li stai idealizzando: di sicuro, sono ben consapevoli di quello che stanno per andare a fare, a vedere. La loro responsabilità è concretissima.



Il distacco, l'occultamento, la rappresentazione contraffatta e l'elusione della responsabilità permettono il permanere della struttura del referente assente.
Carol J. Adams






Postilla: se al presidio 12 gli attivisti torinesi interessati all'evento quando è on line, verranno veramente, il piazzale verrà davvero riempito e sarà un grandioso colpo d'occhio.
Leggete bene come si fa a partecipare: si viene come singole persone, corpi di donne e uomini, perché è per sottrarre alla invisibiità altri corpi di individui - che affrontano da soli e nudi, le situazioni di ferocia zootecnica che nessuno di noi vorrebbe mai nemmeno immaginare se stesso.

3 commenti:

  1. Vorrei commentare, ma non so davvero cosa dire:bisogna prendere atto ceh non basta essere giovani per essere migliori. I ragazzi che avete incontrato anzi sono forse un po' peggio della media. Non sono spinti dal bisogno, sanno tutto quello che succede, vivono in una cultura che ha aperto gli occhi a molti. A fronte di tutto ciò non hanno deciso di rimanere indifferenti, hanno deciso di prendere parte attiva al massacro. la loro posizione assomiglia tanto a quella dei vivisettori. Bravi voi che state lì nel mezzo della sofferenza.

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    1. Annamaria, ho paura che il ritratto che fai di questi giovani aspiranti veterinari, sia anhe troppo corrispndente alla realtà. Adesso che ci ripenso, erano tutti belli di fisico, corpi belli, visi belli, regolari: una attenzione totale e al prorio apparire, ma - date le loro risposte - una diattenzione profonda per il proprio sentire e riflettere. Seguono la direzione maggioritaria, che li vuole attenti alla performance, e basta. La capacità di fermarsi a pensare o di mmedesimarsi, sparisce: diventano esecutori di dolore, proprio come i vivisettori. Graazie, Annamaria

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  2. Ciao Rita, mi confondi verasmente, anche se mi incoraggi allo stesso tempo, con queste parole. Mi basta pensare a quello che tu fai e scrivi, per trovare la ispirazione.

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