L'aratura, 1000 d.C. ca., Londra, British Library |
Francesca Fugazzi
Centinaia di milioni di animali massacrati ogni giorno per scopi
alimentari. Centinaia di milioni. Ogni giorno. Una cifra che si ripete,
implacabile, nell’indifferenza - quasi - generale.
foto di gruppo pisana - Bruno Stivicevic |
Dovrebbe
essere chiaro, che il far nascere, l’ingabbiare, l’ammazzare - e con
tempistiche programmate - un individuo appropriandosi del suo corpo,
annullando totalmente la sua capacità di autodeterminarsi, strappandogli
la vita, sia un’orrenda ingiustizia. Eppure, avviene, normalmente.
Si dice “si è sempre fatto così”, “l’uomo ha sempre mangiato animali”, “è la natura”, “è la catena alimentare”.
A questo punto potrei anche dire che l’uomo la guerra l’ha sempre fatta.
Ma sappiamo che non è così (e anche se così fosse sarebbe quindi giusta?)
Ma sappiamo che non è così (e anche se così fosse sarebbe quindi giusta?)
L’uomo è animale ed animale non è. L’uomo non nasce razionale,
economico, tecnologico. Lo diventa nella sua relazione con il mondo e
con gli animali.
Quando l’uomo ha iniziato a pensare di essere diverso?
Quando l’uomo ha iniziato a pensare di essere diverso?
Nell’immaginario dell’uomo primitivo gli animali sono addirittura
assimilati a divinità ed ammantati di magia. E la visione magica del
mondo è un modo per esorcizzare il terrore dell’esistenza, la paura
dell’ignoto, il disagio dell’insicurezza, il senso di colpa nel togliere
la vita a un animale. Una magia che non è più natura, ma non ancora
razionalità.
Avviene qui, in questo luogo del passato, un
cambiamento graduale e culturale in cui l’uomo diventa un trasformatore
massiccio della realtà in cui vive. Parliamo del Neolitico, ovvero
dell’ultima età della pietra. Parliamo di diecimila anni fa.
Gli
uomini iniziano a controllare gli animali, coloro coi quali hanno
convissuto sullo stesso pianeta per duecentomila anni: non solo decidono
della loro morte ma anche della loro vita.
Si diffondono il
dominio e la domesticazione. E più l’uomo si rende conto di superare la
paura atavica e l’angoscia legata alla sopravvivenza, proprio grazie a
dominio e domesticazione, più quel sentiero si fa marcato. Più l’uomo si
sente sicuro, più diventa forte, più prende le distanze dall’essere
animale.
Le parole “dominio” e “domesticazione” hanno la medesima
radice, in comune con il termine “domus”, casa, il posto in cui ci
sentiamo padroni e sicuri. E’ il nostro linguaggio a dirci quali siano i
termini della questione. L’uomo stanziale dà avvio a una serie di
pratiche che alimentano un formidabile sviluppo tecnico, anche e
soprattutto con il controllo, la manipolazione e lo sfruttamento degli
animali nella forma dell’allevamento. Zootecnia, ecco di cosa stiamo
parlando. Zoon, animale, e tecné, arte. L’arte di perfezionare gli
animali domestici e di adattarli a bisogni determinati.
Questa
prassi è divenuta forma di pensiero, attitudine mentale, sedimentatosi
in noi generazione dopo generazione, normalizzando sopruso e
sfruttamento, banalizzando la violenza.
E’ per questo che quando
oggi contestiamo tale meccanismo che ha una storia millenaria, le
resistenze e le obiezioni che emergono sono acerrime, pervicaci,
irrazionali, ataviche. Stiamo turbando l’inconscio collettivo,
dissodando la rimozione di chi gira la testa altrove. Un’amica mi ha
brillantemente suggerito: “qui non stiamo combattendo solo contro delle
realtà che sfruttano gli animali, qui stiamo combattendo contro la
nostra stessa definizione di esseri umani”. Una definizione antica, ma
non biologica, non naturale; una definizione che può essere modificata
se comprendiamo però che ha una connotazione storica.
Abbiamo
coltivato le terre conquistate facendo trainare l’aratro ai buoi (cioè
tori castrati e domati); abbiamo conquistato il mondo stando in groppa
ad un cavallo (a un cavallo domato). E noi da quel cavallo -
immaginario, metaforico, quasi un totem - non ci vogliamo scendere.
Senza gli animali abbiamo paura di restare a piedi, di essere nulla, di
perdere la nostra identità, le nostre radici, la nostra forza, la
nostra sicurezza. Le società ancora oggi dipendono dallo sfruttamento
degli animali. Le economie sono basate sullo sfruttamento degli animali.
E il punto cruciale è che non ve n’è alcuna necessità.
Senza
animali abbiamo paura di essere poveri. Capitale e pecunia, derivano dal
latino caput e pecus, rispettivamente capo (testa) di bestiame e
gregge. Gli animali significavano ricchezza. E ciò è inscritto nel
nostro immaginario tanto che, per fare un esempio, un pasto senza carne e
senza grassi animali è considerato dai più un pasto misero.
Le
possibilità che invece la realtà attuale ci offre sono ben diverse da
quelle delle società rurali. L’imprinting però è rimasto e la
sofisticazione della tecnica degli ultimi due secoli, l’aumento
demografico e di reddito fanno dell’allevamento la causa di un’ecatombe
sconfinata. E pur avendo gli smartphone in mano, siamo, in un certo
senso, ancora all’età della pietra.
Bisogna iniziare a immaginare un mondo diverso. Un mondo in cui scendiamo - una volta per tutte - dalla groppa di quel cavallo e iniziamo a camminare davvero con le nostre gambe di bipedi sapienti. E in questo ci metto ogni attività umana che preveda sfruttamento perché gli sfruttamenti sono molteplici. Abbiamo una potenzialità tecnica che può andare ben oltre lo sfruttamento sistematico e totalitario di esseri senzienti. Certo, bisogna volerlo, come individui e come società. Diamo per scontato che un’innovazione non possa che essere di natura tecnologica. E invece no. L’innovazione dovrebbe essere innanzitutto di natura sociale, etica, economica e politica.
Un’altra età dell’uomo e della donna, che fanno un passo indietro per farne cento in avanti. Perché gli animali non sono al servizio dell’umanità, anche se è questo che la nostra cultura specista ci ha inculcato. Gli animali semplicemente devono vivere per sé stessi.
Non chiediamo compassione. Non dobbiamo amare gli animali per non sfruttarli. E non chiediamo unicamente di non ucciderli, chiediamo di non controllare le loro vite, di non farli più nascere appropriandoci dei loro corpi a partire dai loro apparati riproduttivi, inseminando forzatamente le femmine perché producano nuova materia prima.
Bisogna iniziare a immaginare un mondo diverso. Un mondo in cui scendiamo - una volta per tutte - dalla groppa di quel cavallo e iniziamo a camminare davvero con le nostre gambe di bipedi sapienti. E in questo ci metto ogni attività umana che preveda sfruttamento perché gli sfruttamenti sono molteplici. Abbiamo una potenzialità tecnica che può andare ben oltre lo sfruttamento sistematico e totalitario di esseri senzienti. Certo, bisogna volerlo, come individui e come società. Diamo per scontato che un’innovazione non possa che essere di natura tecnologica. E invece no. L’innovazione dovrebbe essere innanzitutto di natura sociale, etica, economica e politica.
Un’altra età dell’uomo e della donna, che fanno un passo indietro per farne cento in avanti. Perché gli animali non sono al servizio dell’umanità, anche se è questo che la nostra cultura specista ci ha inculcato. Gli animali semplicemente devono vivere per sé stessi.
Non chiediamo compassione. Non dobbiamo amare gli animali per non sfruttarli. E non chiediamo unicamente di non ucciderli, chiediamo di non controllare le loro vite, di non farli più nascere appropriandoci dei loro corpi a partire dai loro apparati riproduttivi, inseminando forzatamente le femmine perché producano nuova materia prima.
Oggi, come antispecisti non vogliamo vogliamo fare leva sul senso di colpa, ma sul senso di giustizia.
Una società che voglia dirsi civile non può più accettare supinamente una simile violenza: guardandosi indietro e facendo autocoscienza, deve uscire dalla propria storia di dominio, per scriverne una diversa, di giustizia e di libertà.
Una società che voglia dirsi civile non può più accettare supinamente una simile violenza: guardandosi indietro e facendo autocoscienza, deve uscire dalla propria storia di dominio, per scriverne una diversa, di giustizia e di libertà.
Francesca Fugazzi a Pisa - foto di Bruno Stivicevic |
testo letto all'evento Chiudiamo tutti i mattatoi - Close all slaughterhouses - Pisa, 9 giugno 2018 - Piazza XX settembre (organizzazione: Fine dello Specismo - Azione Mondiale)
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