giovedì 10 aprile 2014

Agnelli? No: "capi commercializzati"

l'agnello è un bambino indifeso che ha bisogno delle cure della sua mamma

Certe volte càpita - magari mentre sei circondato dalle valige alla vigilia della partenza per Lucca (e la destinazione ha qualcosa a che fare di sicuro), per esempio - che i post si scrivano da sé. Tutto (de)merito dei social forum, o per dirla senza veli, Facebook. Perché quando ti capitano certi link condivisi e ricondivisi nel circuito dei tuoi contatti animalsti, che sotto il periodo pasquale diventano molto attenti, non puoi non trasformarli in un post, a eterna e imperitura memoria della vergogna e insensibilità umana.
Ti vengono in mente tutte le letture sulla decostruzione del meccanismo sociale diffuso della rimozione della crudeltà agita contro gli altri animali -  dal referente assente alla 'guerra della pietà' - e allora, una volta di più, pensi che si tratti proprio di una questione di capovolgimento della prospettiva del sentire etico. In parole povere: finche ci sarà spazio per articoli come quello che hai letto, dove stanno insieme senza fatica nella stessa frase, responsabilizzazioni inaudite verso gli animalisti che causano la crisi delle vendite; e percentuali sul calo del venduto dei capi immessi sul mercato, sarà chiaro segnale che per la sorte degli agnelli ci sarà ancora molto da fare, da lavorare e da rielaborare.

Ma leggiamo alcuni brani:
"Per le festa venduto circa il 25% della produzione annuale. Ma i prezzi pagati agli allevatori sono in calo
Pasqua: la crisi colpisce anche il mercato toscano degli agnelli (-15%). La Cia Toscana contro le associazioni animaliste: «Speculano sulla pelle degli allevatori  (
sic! NdB) per falsi scopi ideologici. E’ l’ora di finirla». La crisi dei consumi colpisce anche il mercato degli agnelli in Toscana. Nel periodo prepasquale 2013 – sottolinea la Cia Toscana – si è registrato un calo dei capi commercializzati del 15% rispetto allo stesso periodo dello scorso. Secondo i dati forniti da Atpz (Associazione toscana produttori zootecnici) infatti, l’associazione ha immesso nel mercato circa 2.600 agnelli, contro i circa 3.000 capi del 2012. «Fra le cause principali – commenta il presidente di Cia Toscana Giordano Pascucci – sicuramente la crisi dei consumi (che per questa Pasqua si attesterà al -7%) e anche il calendario, visto che è una Pasqua che cade a marzo, ed accorcia il periodo di vendite di una decina di giorni». Ed anche i prezzi pagati agli allevatori sono in ribasso del 10-15% rispetto allo scorso anno: 1 kg di agnello viene venduto dai 3,80 euro/kg a 4,40 €/kg. Un mercato che vive nel periodo pasquale il momento migliore, e fa respirare un po’ gli allevatori toscani, che, però, oltre che con la crisi, devono fare i conti con assurde campagne mediatiche di associazioni animaliste che invitano a non acquistare gli agnelli: «E’ l’ora di finirla con queste invenzioni da parte delle associazioni animaliste, che ogni anno – commenta il presidente di Cia Grosseto Enrico Rabazzi – invitano i consumatori a non mangiare carne di agnello, per chissà quale scopo che solo in apparenza è ideologico. Si gioca sulla pelle e sull’economia di migliaia di aziende zootecniche italiane e toscane che sono già alle prese con una crisi di mercato e di consumi – oltre che con i crescenti costi di produzione - che dura da ormai troppi anni. Nel periodo della Pasqua i nostri allevatori vendono circa il 20-25% dei capi dell’intera produzione annuale, riuscendo a strappare prezzi migliori di 1 euro al kg rispetto al resto dell’anno. E c’è chi tutto questo fa finta di non ricordarlo e specula sul futuro degli agricoltori». "

Ho riportato il lungo brano - che risale tuttavia al periodo pre-pasquale 2013, c'è quindi da augurarsi che il trend in calo sia proseguito anche quest'anno - senza toccare una virgola, solo le sottlineature sono mie. Sono frasi che si commentano da sole?
Sì e no. A parte un certo effetto disorientante di una frase che adombra animalisti che speculano 'sulla pelle' degli allevatori - in un totale e vertiginoso scambio tra vittime e carnefici. Perciò, vale la pena osservare come 'gli agnelli' siano un gigantesco corpo indefferenziato di carne da vendere, nel quale ciascuno singolo agnellino NON è un bambino strappato a una mamma, ma solo un 'pezzo'. Non serve ricordare gli esempi storici dell'uso di parole come 'pezzo' o 'carico', quando si ha a che fare con situazioni di sfruttamento e uccisione su larga scala di umani verso umani, con i più svariati 'motivi ideologici' razziali, religiosi, etnici (per non parlare delle oppressioni doppie e incrociate, quando ad appartenere alla religione-razza-etnia 'sbagliata' sono le donne o gli omosessuali, per esempio). Degli agnelli si parla in termini di migliaia o di prezzi al peso, di 'costi di produzione (!)'. Gli agnelli vengono immessi (come se venissero iniettati, talmente sono percepiti come massa indifferenziata) sul mercato (questa entità collettiva-acefala e onnivora) per sfamare gli allevatori...
Ma, per colpa degli animalisti, il circuito di produzione-immissione-vendita-profitto viene disturbato: coi loro inspiegabili capricci che ogni anno si ostinano a ripetere, gli animalisti cercano di convincere i buoni cittadini a non acquistare più 'carne' di agnello per la 'festa'. Quali mai saranno i loro sotterranei scopi autentici, mascherati da ideologia? (quale ideologia? gli animalisti fanno appello alla compassione e alla empatia...). Ai poster(i), la sentenza. Intanto, che i buoni cittadini si mettano una mano sulla coscienza, e non mandino sul lastrico migliaia di onesti lavoratori, allevatori e macellatori, che ogni anno contano sull'ecatombe degli agnelli per tirare a campare. Alla faccia dell'antispecismo debole.

(Per fortuna, gli animalisti che come me non vogliono trovare brutte sorprese nell'uovo (di cioccolato fondente), si sanno organizzare, e le iniziative pro agnelli sono molte ogni anno. Una è questa.  Ci ritorno su...).

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