domenica 18 gennaio 2015

... e Orche

Immagine trovata sul blog la giraffa


Quando per caso, dopo un  lungo post sulle balene, ti (mi) capita all'attenzione, qualcosa di così tanto affine, non posso fare finta di niente.



L'orca, mammifero marino, subisce destino di prigionia negli acquari; una prigionia che condivide con i delfini.
I suoi carcerieri, inscenano teatrini dove a lei spetta la parte del feroce mostro marino (ai delfini tocca il ruolo dei giocherelloni).
In realtà, le orche rinchiuse negli acquari, sono solo patetici, solitari, malinconici, tristi prigionieri. A loro viene sottratta l'ampiezza dei mari, la compagnia delle altre orche, la libertà di nuotare dove si vuole e - quindi -  di fare quello che si vuole: vale a dire, l'autodeterminazione della propria vita.

Questo progetto ne mostra la prigionia, e ci fa immaginare la sua libertà.  La liberazione di orche e delfini, sarebbe solo un primo passo nella direzione di un diverso e finora mai concepito rapporto di gentilezza e di rispetto nei confronti degli altri animali. Una liberazione che, forse, libererebbe anche noi dalle nostre gabbie, dalle nostre vasche, dove ci muoviamo con l'illusione di essere liberi, mentre invece siamo soli e rinchiusi in questa solitudine che ci ha accecati e impietriti. Non saremmo soli, invece, se ne avessimo il coraggio: di guardare davvero chi ci sta di fronte, col desiderio di entrarte in comunicazione con lui - il che dovrebbe anche significare l'accettare l'eventualità che questo riscoperto altro-lui, manifesti la volontà e il desiderio di non comunicare con noi. Questa libertà del rifiuto - Adorno, ma anche Bartelby lo scrivano - significherebbe /significherà: la nuova epoca dei viventi, tutta - ancora - da pensare, immaginare, sognare, creare. ...

sabato 17 gennaio 2015

Balene...



Non potrebbe essere esile un libro che racconta e parla delle balene.
Infatti, "Leviatano, ovvero la Balena", di Philip Hoare, conta oltre 400 pagine, ricche di illlustrazioni e disegni.


Sto finendo di leggerlo in questi giorni, e a dire il vero, ce l'ho  tra le mani da alcuni mesi - durante i quali nel leggevo qualche pagina al giorno, a volte alcune decine, a volte capitoli interi.
Non perché sia una lettura difficile o noiosa, al contrario: è lettura corposa e godibile, addirittura gustosa come un libro di altri tempi.



Lo assimilerei a un almanacco del diciannovesimo secolo, a un libro stampato per marinai e scritto da marinai, e credo che questo sarebbe un giudizio che l'autore apprezzerebbe - come è lui stesso legato alle balene, fin dai tempi dei suoi antenati.

Dell'almanacco ha la varietà dei materiali e dei racconti: ci sono aneddoti che vogliono o stupire o sorprendere; che ambiscono a commuovere o a far inorridire.
Aspetto con curiosità di scoprire il finale, ma già al punto in cui sono, posso essermi ben fatto una idea del libro.



Su e giù per i mari e gli oceani, lungo i secoli e percorrendo le coste di tutto il mondo, crocevia di leggende e di cupidigie, ispirazione per scrittori e poeti, la balena  appare moltiplicata da questo prisma umano che la sfaccetta e la affetta in centinaia di modi, ma non  ce la riporta più intera, se non come 'mostro marino', semi leggendario, sterminatore di uomini. 


Viene capovolta la realtà, come se le acque oceaniche fossero sopra la nostra testa, e il cielo  a precipizio sotto i nostri piedi.
Non è l'uomo, che la caccia e la stana e la stermina e la cerca per il suo grasso, per l'olio, per le  ossa, per la carne, per i fanoni, per le pinne, per la carne, per gli occhi, per la testa, ad essere il predatore; ma lei, invece, la balena, a diventare belva feroce e infida - lei, la vittima di questo sterminio, che ha la colpa di difendersi, di tanto in tanto riuscendo con efficacia per forza di cose letale, a tener testa ai suoi cacciatori.




Le espressioni di solidarietà verso le balene, e di critica per la caccia di cui è stata vittima per secoli, si mescolano nel libro a frasi di rievocazione ammirata o digressione tecnico-scientifica, oppure narrazione letteraria, senza soluzione di continuità, e a volte possono suonare un poco di maniera - benché non sia lecito dubitare della sincerità dello scrittore, quando li pronuncia.

Dal Seicento all'Ottocento, la balena è stata letteralmente motore e combustibile per l'espansione predace delle nazioni, legata a filo doppio col commercio degli schiavi, essa stessa schiava, profitto e sostegno di città, navi, porti, traino per mercanti, preti, naturalisti e scrittori. Nel XX secolo, è stata vittima di guerre e di tecnologie, che hanno trasformato gli oceani sua casa, in uno sconvolgente ininterrotto campo di battaglia tra umani - che, specialmente quando sono dei militari, considerano tutto ciò che non è umano, come inanimato palcoscenico (si parla di 'teatro delle operazioni belliche', credo non a caso).
Oggi, salvo deprecabili eccezioni, tanto più eclatanti, la caccia alle balene è pressoché scomparsa: ma solamente perché a essere pressoché scomparsa è proprio la balena;  o perché le 'risorse' del suo corpo sono state rimpiazzate da altre più economiche, più abbondanti e disponibili, meno pericolose da ottenere. Quasi mai a motivo di una presa di coscienza più empatica e profonda, nei confronti di questa creatura, che a tutt'oggi è ancora un mistero quasi totale.



Sospetto che alla fine di questo pur mirabile libro, la balena rimarrà inafferrabile, mai ricomposta nella sua interezza di vivente, solo per se stessa. Questo perché la balena è stata misurata, affettata, bollita, analizzata con strumenti, fotografata, disegnata, vivisezionata, sempre con strumenti analitici che hanno la loro ragion d'essere nella presa di distanza e allo stesso tempo nella presa di possesso: sotto questi strumenti, nessun essere vivente può sopravvivere, può esprimersi; non ha altra scelta che agonizzare, immobilizzarsi, morire, diventare strumento e cosa; anche dopo morta, la balena non può morire, perché deve viaggiare in mille modi e forme, tra musei e circhi, tra accademie scientifiche e wunderkammer dei mari.
Ci sono però delle pagine notevoli, che evocano abissi e insondabilità cetacei, fianco a fianco con macchinosità e scopofilia umana. La balena, allora, si trasfigura in mostro, in ricompensa divina per il coraggio e l'ingegno umano, e perciò vi si sottomette, omaggiando il cacciatore con la sua stessa vita e donandogli in premio il corpo (!).
La balena è mistero degli abissi spaziotemporali e forse un giorno vedrà l'umano estinguersi e nuoterà immemore delle "creature ingordse" che la perseguitavano, "condannate alla rovina dalla loro stessa ingordigia".
Sia come sia, tutte le relazioni che l'uomo nei secoli stabilisce con la balena, sono basate sui suoi desideri "più che sui diritti dell'animale".


"(...) la loro pelle (della balena franca) (come quella di tutte le specie di balena), è straordinariamente sensibile, a tal punto che la semplice pressione di un dito umano può farle rabbrividire in tutto il corpo". (pag.200) A causa dei nostri sensi piccini, la dimensione delle balene le beffa e le tradisce ai nostri occhi: ce le ha rese mostri da temere ma anche da perseguitare e uccidere con avidità. Eppure, non sono le dimensioni che valgono per comprendere l'universo della balena: un universo fatto di suoni blu tutt'intorno e dentro l'acqua, per miglia e miglia in ogni direzione, e lungo ogni freccia del tempo.

"Una terza fotografia, quasi insopportabilmente triste, mostra un cucciolo d'orso, ancora aggrappato al corpo senza vita della madre. I piccoli, destinati a passare tutta la vita in uno zoo, venivani trasportati in botti scoperchiate, chiuse da sbarre. Gli esemplari viaggiavani incatenati all'albero, come cani" (pag.223)
Quasi, sotto prodotti della caccia alla balena, cadono vittime degli umani, anche orsi, foche, delfini, focene, moltissimi pesci. Sono prede destinate a vari usi, anche solo per divertire, anche solo per arrotondare il profitto, specialmente se il bottino non è grasso.



"La balena di Sir Clifford è stata interamente articolata, in modo che, come fosse un gran cassettone, potete aprirne e chiuderne tutte le cavità ossee, allargarne le costole come un ventaglio enorme, e andare in altalena tutto il giorno sulla sua mandibola. " (pag.246) La balena non esiste più, viene tassidermizzata e scansionata, trasformata in utensile, resa irriconoscibile, diventa invisibile.

 "Scoresby (...) non aveva mai avuto dubbi sul diritto dell'uomo a cacciare le balene; anzi, considerava la caccia alla balena un tributo al genio umano e alla generosità divina" (pag.275)
La balena è ponte tra uomo e dio, è allo stesso tempo preda e bottino, sfida e ricompensa, immagine della gloria divina e prova dell'audacia umana, che la misura, la giudica e la considera, come sempre, inadeguata.

"In quel momento, capii che le balene mi avevano preso le misure, capii che sapevano che cos'ero, anche se non ero in grado di comprenderle, capii che ero un oggetto in una mappa quadrimensionale, valutato sulla base di sei sensi. Ogni sfumatura dei loro movimenti teneva conto dei miei." (pag.403) Alla fine, l'emozione di un simbolico riscatto, un rinnovato incontro sull'orlo dei tempi e delle estinzioni: dove le balene, si trovano di nuovo di fronte a un umano, questa volta singolo e disarmato. E lo sanno cogliere assai meglio di quanto riesca l'uomo a fare con loro.








Philip Hoare
Leviatano ovvero la balena 
Einaudi, traduzione di Duccio Sacchi e Luigi Civalleri, 
pagg. 432, euro 22)


venerdì 16 gennaio 2015

L'abolizione della carne è in calendario



Le Settimane Mondiali per l’Abolizione della Carne si svolgono ogni anno nell’ultima settimana di gennaio, maggio e settembre. La prossima si terrà dal 24 al 31 gennaio 2015 e comprenderà la Giornata Mondiale per l’Abolizione della Carne (31 gennaio).

Esiste un sito italiano che ne racconta le caratteristiche, ne spiega gli scopi e offre contatti, informazioni, link e risorse per chiunque volesse pasrtecipare.



 Ci sarà un presidio scenografico a MIlano, nella giornata del 31 dicembre.

Gli attivisti scendono in piazza, fanno gruppoo e corteo, presentano agli occhi delle persone in stradfa, i volti degli animali condotti al macello, dopo una vita del tutto innaturale e ricolma di sofferenza e privazione, che vede negata ogni più elementare richiesta di sollievo e gioia.




Gli attivisti si interrogano sul cosa, sul come, sul quando e sul perché fare. 
Politica, società, religione, economia sono gli snodi cruciali da trasformare.

Ne parlano Marco Reggio e Massimo Filippi.

Una bella frase che si legge nella loro intervista è questa:
"
Non molti anni fa, nel maggio ’68, sui muri di Parigi si poteva leggere: «Siamo realisti: chiediamo l’impossibile!». Ecco, l’abolizione della carne è anche il rifiuto di un certo modo di pensare il realismo come calcolo opportunistico e meschino e non come gioioso proliferare di ciò che avrebbe potuto essere e che solo la violenza e il dominio hanno relegato nella sfera dell’inimmaginabile."



L'intervista completa apre molti scenari e possibilità - prima di tutto di pensiero, ma poi di azione concreta, che deve necessariamente incontrare quella che è - ancora, purtroppo - la realtà della violenza resa sistema e legge, per tutti gli altri animali. 

Invece, possono esistere realtà altre, realtà che per oggi sono solo, al meglio, alternative teoriche: questo è il pensiero che ci si aspetta di riscontrare, in chi ha deciso di compiere la scelta di non (far) uccidere animali (altri) per trovare di che cibarsi. Un pensiero che trova radice nell'evento spartiacque in cui un individuo umano comincia a ri-conoscere nello sguardo dell'animale che lo guarda, un'altra individualità, altrettanto consapevole di se stessa, altrettanto anelante alla vita. Da quel momento, sparisce la carne, come oggetto, come prodotto, estratto con la violenza da un individuo imprigionato e ucciso, e ritorna in primo piano quell'individuo - che fino a quel momento era nascosto dalla sua stessa carne, dal suo stesso corpo che gli veniva tolto già in vita e poi dopo l'uccisione, e che viene chiamato con altri nomi, per proseguire il nascondimento. Questo è solo il primo passo, è simile al primo passo che ho compiuto io, anni, fa - senza pause di riflessione, dopo aver visto filmati di agnellini scaricati mezzi morti al macello, scaraventati da un enorme camion dalle alte sponde di ferro - fatto e percepito e sentito e vissuto come logico esito delle sensazioni suscitate da quel filmato, e delle prime riflessioni giovanili messe in movimento da quelle sensazioni.
Solo dopo, con lo stomaco che sentivo liberato, è arrivato il desiderio di continuare a scoprire, i vari come e i perché di tutto quel enorme tremendo quantitativo di sopraffazione che viene fatto capitare a un numero vertiginosamente alto di individui animali (le parole mancano, per cogliere queste realtà, bisognerà pensarne di nuove).
Solo allora - a quel punto -  è arrivata la mia capacità di compiere il capovolgimento concettuale: se non mangio più animali, non sto rinunciando a qualcosa, ma sto riaprendo la mia libertà e insieme anche la libertà potenziale e infine reale di tutti questi animali, finora imprigionati e uccisi senza che me ne rendessi conto. Quegli animali che stanno alla base , che ne sono le fondamenta di carne, di un sistema pervasivo di spoliazione e distruzione di massa - operato su tutti i viventi, indipendentemente dalla loro specie animale; dunque, anche la nostra specie, che in qualche modo cannibalizziamo.  

La settimana - e il giorno - per l'abolizione della carne, è dunque, al suo nocciolo, una occasione per (ri)pensar(si)(ci)(li).









martedì 13 gennaio 2015

Lo Stregalbero



Lo Stregalbero è un veg -  ristorantino (diminutivo vezzeggiativo apprezzativo) che si trova a Novara. Aperto da pochi mesi, si sta piano piano caratterizzando molto bene nella città, specialmente perché, a mio avviso, non dimentica mai il risvolto etico -basilare - del che cosa significa essere vegani, oggi. Ne scrivo volentieri e con interesse, quindi, per ben due motivi. Il primo, che solo chi abita a Novara può scoprire, è che in questa città, le proposte che hanno un sia pur vago sentore di novità, rischiano l'etichettatura di stravaganze e perciò stesso da ignorare (troppa fatica, persino l'evitarle, sarebbe!|). Il secondo motivo, più sostanziale e slegato dalle caratteristiche di questo territorio, è proprio perché le persone che hanno avuto il coraggio di intraprendere un'attività già di per sé col suo carico di incognite, non si sono perse d'animo e non hanno dimenticato che veg è prima di tutto questione etica.
Questo è importante soprattutto oggi, periodo in cui il veganismo sta rischiando di venire inglobato e normalizzato dalla società, che lo metabolizza come moda, costume, abitudine, stile di vita salutista, ecc ecc. E gli animali? Boh, dimenticati, spariti, per l'ennesima volta, tanto per cambiare.

Non a caso le due titolari, Samuela e Ylenia, si presentano con queste parole sulla pagina web:
"due vite che vogliono vivere in un mondo popolato da tante altre vite che vogliono vivere."
I richiami al pensiero veg antispecista sono più che evidenti: ci sono la singolarità irriducibile di ogni individuo - che esplicita le sue caratteristiche in modo del tutto unico, assolutamente individuale e, per l'appunto, irriducibile a qualsiasi altra.
Come Leopardi, come Adorno, loro si oppongono al grigiore dell'uniformità funerea odierna, con la policromia vitalissima delle pluralità onnipresenti nella natura.

uno scorcio del locale


L'altra sera sono andato /tornato a cena da da Stregalbero, anche - ma non solo - perché c'era una speciale occasione: la cena benefica per il Progetto Miao-Fido ONLUS di Trecate (No).
L'associazione gestisce una Colonia "dove permettere ai gatti randagi della città di vivere in libertà e tranquillità, dove poterli seguire e curare" (come si legge sulla loro pagina web).
La serata si potrebbe considerare come un valido esempio di concreto atto di aiuto verso gli animali, di socializzazione tra umani, e di (ri)scoperta gastronomica. Perché - pensavo ieri, tra una penna tonnoveg e pannaveg e uno spezzatino con pomodori e piselli - chi ama la vita, non può non desiderare anche di mangiare bene. Il cibo, tutt'altro che oggetto banale, è anche veicolo di cultura; e se si comincia a far buona cultura a tavola, anche il mangiare diventa buono e fa bene mangiarlo.

lunedì 12 gennaio 2015

Henry Beston, naturalista e filosofo


"Avremmo bisogno di un'idea degli animali più saggia o forse più mistica [...] Li consideriamo con condiscendenza compiangendo il triste destino che li ha dotati di una forma tanto distante  dalla nostra. Ed è qui che sbagliamo [...]. Perché gli animali non devono essere misurati con il metro umano. In un mondo più antico e completo del nostro, si muovono in modo perfetto e  compiuto, dotati di gamme sensoriali che noi abbiamo perso o non abbiamo mai posseduto,  e vivono seguendo voci che mai noi avremo occasione di udire. Non sono né confratelli né subalterni; sono popoli altri, catturati insieme a  noi nelle maglie della vita e del tempo, compagni di prigionia dello splendore e del travaglio della terra 

Citato in Philip Hoare, Leviatano ovvero la balena, Einaudi, Torino, 2013, p.203



"Avremmo bisogno di un diverso concetto degli animali, più saggio e forse più poetico... Trattiamo con condiscendenza la loro incompletezza e il tragico destino di avere assunto una forma assai inferiore alla nostra, e in questo sbagliamo: non possiamo misurare gli animali con il nostro stesso metro. In un mondo più arcaico e completo del nostro, gli animali si muovevano compiuti e perfetti, dotati di percezioni sensoriali che noi non abbiamo mai raggiunto o abbiamo perduto, vivendo di gridi che non udremo mai. Gli animali non sono nostri fratelli né subalterni; sono popoli altri, coinvolti come noi nella trama della vita e del tempo, compagni di prigionia dello splendido e faticoso travaglio della terra"



  Citato in Marcus Parisini, L'anima degli animali, Edizioni Biblioteca dell'Immagine, Pordenone, 2002, pp. 50-51


 “We need another and a wiser and perhaps a more mystical concept of animals. In a world older and more complete than ours they move finished and complete, gifted with extensions of the senses we have lost or never attained, living by voices we shall never hear. They are not brethren, they are not underlings; they are other nations, caught with ourselves in the net of life and time, fellow prisoners of the splendour and travail of the earth.” 

 “We patronize the animals for their incompleteness, for their tragic fate of having taken form so far below ourselves. And therein we err, and greatly err. For the animal shall not be measured by man. In a world older and more complete than ours, they are more finished and complete, gifted with extensions of the senses we have lost or never attained, living by voices we shall never hear. They are not brethren, they are not underlings; they are other Nations, caught with ourselves in the net of life and time.”

 “We need another and a wiser and perhaps a more mystical concept of animals. Remote from universal nature and living by complicated artifice, man in civilization surveys the creature through the glass of his knowledge and sees thereby a feather magnified and the whole image in distortion. We patronize them for their incompleteness, for their tragic fate for having taken form so far below ourselves. And therein do we err. For the animal shall not be measured by man. In a world older and more complete than ours, they move finished and complete, gifted with the extension of the senses we have lost or never attained, living by voices we shall never hear. They are not brethren, they are not underlings: they are other nations, caught with ourselves in the net of life and time, fellow prisoners of the splendour and travail of the earth.”

from Good Read





" Il mondo di oggi è malato fino al midollo delle ossa della mancanza di cose elementari: di un fuoco a portata di mano, di acqua che sgorga dalla terra, di aria e della stessa cara terra sotto i piedi."

 Citato in Renaldo Fischer, Storia di un cane e del padrone a cui insegnò la libertà, traduzione di Laura Pignatti, Corbaccio, Milano, 1997, p. 57.

 “The world to-day is sick to its thin blood for lack of elemental things, for fire before the hands, for water welling from the earth, for air, for the dear earth itself underfoot. In my world of beach and dunes these elemental presences lived and had their being, and under their arch there moved an incomparable pageant of nature and the year.” 

from Good Read


Le frasi (in italiano, varie versioni, quelle in nero; in blu, i corrispondenti in lingua inglese, messe vicine per poterle leggere insieme), sono tratte dal libro The Outermost House (1928).



Henry Beston (Boston, 1 giugno 1888 - Nobleboro, 15 aprile 1968) è un naturalista e scrittore e - direi - anche filosofo, a modo suo. 

GLI ANIMALI SONO 'POPOLI ALTRI'... 

domenica 11 gennaio 2015

S'io fossi cavallo...

Da Pinterest, trovato su Flickr.com
... e se War Horse fosse stato raccontato dal punto di vista del cavallo, anzi dei cavalli? 
Ho provato a immaginare questa eventualità, e così, ho scritto quel che potete, se vi va, leggere qui sotto. Una specie di parafrasi equina del film di Steven Spielberg. La voce narrante, naturalmente, è quella del cavallo-da-guerra protagonista della pellicola.

Poiché però invece questo film mi ha lasciato alcune amarezze, l'ho scelto per iniziare la collaborazione con il blog Il Buio in Sala: un blog che unisce gradevolezza a competenza, nell'ambito a volte capriccioso della critica cinematografica; senza mai perdere di vista, per quel che ho potuto vedere, un certo gusto per il gioco, il sorriso e l'ospitalità, autentico condimento della vita.
Un esperimento nuovo e bello, quello della rubrica e della collaborazione con un altro blog;  che mi emoziona aver iniziato, tanto quanto mi aveva stimolato nella preparazione, piuttosto lunga.

Qui c'è il link diretto alla recensione. Buona lettura.
 
"Quando sono nato, la prima cosa che ho sentito è stato l’odore della mamma, fatto di muscoli e di erba morbida e pungente, dolce e saporita come la saliva della sua lingua.


L’aria mi ha riempito le narici e mi ha soffiato sotto le labbra, mi ha portato le tante storie delle zolle della terra popolate di insetti, i pulviscoli fertili dei fiori nell’aria, che attraggono le api; e poi, ancora, i fiori che ti danno alla testa e ti fanno sentire felice. C’era poi anche l’odore umido e buono dell’acqua, ma l’acqua era lonatana.



E poi, c’era, molto forte e difficile da ascoltare, c’era – ecco – l’odore di questi ‘uomini’, che quando parlavano di noi si definivano ‘i padroni’.



Che cosa significa quella parola, mia mamma provava a spiegarmelo, facendomi galoppare sui prati e facendomi esplorare boschi e rive di ruscelli e muretti di sassi caldi, tra i quali guizzavano le lucertole, le bisce e i ramarri.



Me lo ha spiegato chiaramente quando è venuto quel giovane puledro umano, ritto sulle sue due zampe basse, che mi guardava e protendeva le zampe alte, quelle che finiscono con le cinque dita libere e distaccate tra di loro. Mia mamma, mi ha spiegato di non lasciarmi avvicinare troppo dagli umani. Questo però aveva un odore che non era quello degli umani che mi aspettavano quando sono nato. Così, ho giocato un po’ con lui, ho scherzato e poi me ne sono allontanato e lui non mi ha inseguito, ma ha continuato a guardarmi.





Più tardi, son venuti gli uomini dagli odori difficili, avevano corde e altre cose finte, di quelle che loro costruiscono con le loro cinque dita sciolte e che servono per tenere fermi noi e gli altri vivi che si muovono.



Hanno diviso mia mamma e me, ci hanno portato via dai prati, lungo un sentiero fatto di terra schiacciata e nuda, fino a un posto pieno di enormi cose di pietra e legno, ma legno morto, che non raccontava nessuna storia, che aveva l’odore del sasso e dell’uomo. Quelle cose enormi loro le chiamano case, e tutte insieme formano quelle che loro chiamano villaggi o città. Gli umani non corrono in giro per i prati, ma si fermano tutti insieme in questi posti, dove trascorrono tutta la loro vita, o almeno quasi sempre fanno così.





Eravamo al centro di uno spiazzo di terra nuda, circondato da alti pali muti, messi insieme dalle mani degli uomini per tenerci chiusi in uno spazio ridotto.



Tantissimi di loro erano attorno a questo ‘recinto’, ci guardavano – mia mamma e me, ma anche altri cavalli come noi – mentre venivamo fatti camminare in cerchio. L’odore strano era fortissimo, ovunque, cancellava tutte le tracce lontane degli altri odori che conoscevo bene. Qui c’erano odori di cose mute e dure e finte e costruite, con materiali a metà strada tra cose vive e cose mute.



Tutti questi odori mi hanno confuso e mi sono accorto troppo tardi che mi stavano portando via dalla mamma! Non ho potuto fare nulla per ritornare da lei, troppi umani erano tra noi due, con troppe corde e troppe cose fatte per bloccare e dirigere e controllare.



Hanno cominciato a gridarsi tra loro, mentre io dovevo girare in tondo. Alla fine, la mia corda è stata messa nelle mani di un umano dall’odore di vecchio pungente. Non sono riuscito a rivedere più la mia mamma. L’unico sollievo è stato che ci siamo allontanati dal villaggio. Credevo che sarei tornato nei prati, che lì avrei rivisto la mamma che mi aspettava. Invece, siamo andati a stare in un’altra delle loro case, però isolata.



La curiosità mi ha aiutato: in fondo, qui c’erano tanti odori nuovi e allo stesso tempo familiari. C’erano odori vivi, che raccontavano storie: le storie delle oche  e delle pecore, le storie delle mele e delle zolle bagnate, le storie dei sassi e le storie del fango dopo la pioggia. C’era anche l’odore nuovo di una erba viva ma secca, molto odorosa, che mi ha fatto venire fame e sete. Ho avuto cibo e acqua. Intanto, mi guardavo in giro, in questo posto dove mi avevano messo. Era un posto chiuso, un posto strano, perché un poco raccontava storie di erba e prati, e un po’ storie di umani e cose; ed era piccolo, coi recinti e i muri, e non si poteva andare da nessuna parte.



La porta si è aperta ed è entrato il ragazzo, quello che veniva sui prati quando stavo felice con la mia mamma. Per qualche attimo sono stato felicissimo, ho cercato se dietro di lui ci fosse anche la mia mamma, ma non era così; pensavo che allora era venuto per portarmi da lei. Ma non è accaduto nemmeno questo. Sono accadute invece tante altre cose." (...)


venerdì 9 gennaio 2015

La nostra specie

Annamaria Manzoni in un fotogramma del film di Lamberto Carrozzi


Mentre rivedevo questo film, ho ripensato a una fulminante pellicola italiana: "I mostri" (1963).
Mi è sbocciata alla consapevolezza mentre riascoltavo le interviste che il regista ha fatto ai passanti per strada, su argomenti come "l'amore per gli animali", "i vegetariani", "la vivisezione", l'"alimentazione corretta"; o quando fa parlare alcuni cacciatori che ci raccontano come siano loro i veri "amanti e difensori della natura" (!); e che, occasionalmente, vanno pure a pesca. Sono tutte nel film.
Ho pensato alle loro frasi, alle argomentazioni, ma soprattutto ai comportamenti di negazione, di deviazione e ridicolizzazione dei problemi, delle domande che li mettono di fronte a una realtà troppo insopportabile quando la si viene a scoprire, troppo ineludibile, che si preferisce - nonostante tutto - continuare a negare, sfuggendola e fuggendo. Pensavo alle loro reazioni di noia quando non trovano più argomentazioni di fronte alla nudità del re-umano che gli viene esibita dall'intervistatore-complice (del regista). Nell'accostamento estemporaneo di quel film a questo film (molto diversi tra loro), vien fatto di pensare: gli italiani non sono cambiati in cinquant'anni, ma forse non sono solo gli italiani, bensì gli individui che nascono sotto forma di umani; loro (noi) sono (siamo) gli artefici di un dominio totale nei confronti degli altri animali, e non solo (anche di altri individui umani che decidiamo di animalizzare, con ciò intendendo denigrarli).  Perché, il nocciolo della questione, ha a che fare con una certa essenza, un 'proprio' dell'umano, troppo umano, che è fondamentalmente legato a profonde e scure facce psichiche e psicologiche.





Questo film di Lamberto Carrozzi è il resoconto degli studi e delle ricerche condotte da Annamaria Manzoni, psicologa e autrice del libro "Noi abbiamo un sogno", scritto in difesa dei diritti di ogni specie vivente. Il resoconto della scrittrice è anche l'amara disamina di un modello di sviluppo "antropocentrico" che degrada, tormenta, smembra, uccide, la vita, gli individui vivi, a milioni, a miliardi, rendendo questo pianeta un autentico luogo di condizione infernale.





Annamaria Manzoni ha una lunga esperienza nell'ambito della tutela minorile, maltrattamenti, abusi.
Ha scritto molti libri sul rapporto che lega umani e altri animali. Di uno di questi libri, abbiamo chiacchierato sul blog.
Il suo racconto si svolge con un linguaggio piano e con un tono addirittura dolce, ma è implacabile, scova la radice psicologica e antropologica del sadismo, per non lasciarla più scappare, perché non la si possa più - dopo - ignorare.

La banalità del male è tra noi, regola l'intero nostro dominio unilaterale contro gli altri animali, dei quali non pensiamo più che siano individui vivi, ma oggetti, strumenti, prodotti, scarti, eccetera.

Il male-banale  può diventare freddo, burocratico, può essere insensibile alle grida di disperazione, agli sguardi di angoscia, al sangue, alla morte degli animali bloccati e torturati nei laboratori di vivisezione o massacrati nei macelli e negli allevamenti intensivi.





La crudeltà è umanissima, eppure non la riconosciamo come nostra, non la vogliamo vedere, non le diamo accoglienza nella nostra umanità. Anzi, la mascheriamo, la incorniciamo all'interno della  convinzione antropocentrica che abbiamo costruito per noi stessi da molte migliaia di anni, fin dall'origine delle nostre civiltà, che si costruiscono su questa crudeltà, ne sono plasmate, intrise, intrecciate.



Se certe realtà non le sopportiamo, se ci risulta intollerabile la loro vista, allora dovremmo decidere di fare tutto quello che è nella nostra possibilità fare, perché non accadano più.

Il film perciò, si conclude con un discorso molto toccante, che si richiama al 'sogno' di Martin Luther King.

In questo 'nostro' sogno, la violenza contro gli animali viene punita, anziché regolamentata dalle leggi; la crudeltà verso gli animali viene considerata abbietta, anziché normale.

"Perché senza la fine della violenza sugli animali, nessun progresso sarà mai tale,né la vittoria sul dittatore avrà valore se il nuovo vincitore ancora festeggerà con tavole imbandite con le solite vittime…"
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martedì 6 gennaio 2015

Quante Stelle nel cielo con la luna: Due Canzoni di Lucilla Galeazzi

Lucilla Galeazzi. Fonte: official site di Lucilla Galeazzi


Quante stelle nei cielo (siamo agli inizi dell'anno, il gelo terge l'aria)




L'angoscia del (proprio) corpo che soffre: l'anima si diparte







... (per libere associazioni di idee e sentimenti): e un haiku, di quando Stella era ancora un fresco arrivo in casa...


1500 fuyu 221207 Campertogno con Stella

che nuovi segni

in questa poca neve

ma sempre zampe



Un altro post benaugurale, un po' particolare.
Che ha bisogno di una cornice di parole, in merito ai due video molto belli delle canzoni di Lucilla Galeazzi.
L'artista mi ha permesso di inserire questi video e mi ha pure fatto gli auguri per il 2015 .... che sia un anno che non faccia scherzi!
La prima, 'Quante stelle nel cielo', l'ho ascoltata proprio in questi giorni, dal sito ufficiale dell'artista. La sua voce mi aveva incantato già la prima volta che la ascoltai, ai tempi del suo lavoro 'Lunario', ma in questo brano speciale,  lei apre i suoni davvero fino al cielo, riapre il respiro della mente, fa risgorgare le lacrime dell'anima - lacrime di gioia, anche - ed è romantica, dolce, e tanti altri sentimenti miscelati. Una speranza non sterile, una promessa.

Stelle nel cielo, come la mia Stellina, che ora è nel cielo,  un cielo nuovo e diverso da quello religioso, che è il cielo - anche  - dei ricordi affettuosi,  ed è pure una specie di cielo metafisico, dove le energie vitali potrebbero anche essere presenti, vicine a noi ma irriconoscibili e perciò lontane. Una via di mezzo tra le vibrazioni quantistiche e la favola bella del Ponte dell'Arcobaleno. (Un tassello del discorso sulla fine-di-vita).

La seconda, canzone è tratta proprio da 'Lunario': 'Voi che amate', è un canto medievale, molto aulico, e molto doloroso. Dal cielo, ritorniamo sulla terra, per scoprire la sofferenza e il dolore - di una madre, di un figlio. Fuor di pietas religiosa, a me questa canzone, le sue parole, turba sempre, mi fa pensare a tutte quelle madri e a quei figli, dai corpi straziati, i corpi dei nostri compagni altranimali,: corpi dai quali, per tanta angoscia, l'anima si diparte... si ritrae...
Siamo noi, invece, che non  dobbiamo ritrarci, né voltare sguardi e mani altrove, non dobbiamo lasciarli - da soli - in balia del loro inimmginabile dolore. 

domenica 4 gennaio 2015

Wislawa sull'orlo dell'anno

Ritratto di Wislawa Szymborska. Per gentile concessione di Raffaella Ciacci


1686 – fuyu – 311211 – omaggio a wislawa szymborska

Anno sull’orlo

Le parole possono

Interruzione



1687 – fuyu – 311211 – omaggio a wislawa szymborska

L’orlo dell’anno

Parole che fermano

In sospensione


 Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 - Kraków, 1 febbraio 2012)


 
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1688 – fuyu – 311211
Per gli animali
Sogno di San Silvestro
Notte silenzio


Questi haiku li ho scritti sull'onda delle impressioni date da una ennesima lettura delle immaginiose, sospese poesie sue. Era il 2011. Sono passati un po' di anni e stanno cambiando un po' di cose. E' una buona fine, ed è un buon principio....
Il disegno: non volevo una foto fi Wislawa Szymborska giovane, non ne volevo una di lei da anziana. Ho avuto la fortunata navigazione che mi ha portato a scoprire i disegni e i lavori di Raffaella Ciacci,  che ringrazio e a cui rimandio, perché possiate averne promemoria e scoperta. 

domenica 28 dicembre 2014

Nel 2015: in bocca al lupo!


Le parole contano. la parola 'vegano', per esempio, è talmente 'aliena' da aver suscitato le paure e le reazioni difensive del sistema turboconsumistico nel quale trascorriamo quasi tutti i giorni della nostra vita.  Se una volta i vegani erano facilmente riconoscibili - perché pochi e agguerriti - e facilmente riconoscibile era la loro azione di opposizione a un sistema fondato su una violenza strutturale, oggi non è più così. I vegani sono stati assorbiti, sono stati confinati tra cucine, palestre e spa, il loro afflato etico è stato depontenziato, al punto che perfino tra gli stessi vegani (animalisti, antispecisti: sono altre etichette forse non depotenziate, ma mistificate) c'è in merito confusione. Oggi il vegano etico deve affrontare una nemesi interna assai insidiosa, il vegano consumatore, come lo inquadra il Laboratorio Antispecista , su Veganzetta. Il vegano consumatore è intrinsecamente egoista. E il senso di "disobbedienza civile" che si può attribuire all'essere vegani, viene completamente cancellato.

Che fare? Il vegano invece non deve smettere di essere aperto nei confronti dell'altro, altranimale o umanimale. Non deve abbandonare l'etica, né la politica.
"oggi dobbiamo reagire.
A partire dal linguaggio, sicuramente, tornando come dicevamo a parlare di Liberazione, quella con la L maiuscola, continuando caparbiamente a parlare con chi oggi forse in numero maggiore può ascoltare e facendogli suonare nelle orecchie concetti pieni, senza paura di sconvolgere e piuttosto – forse- con l’obiettivo di farlo. " . Si legge in chiusura all'articolo. 

Il linguaggio, di cosa è fatto? Di parole, e frasi, che insieme comunicano idee, pensieri, concetti, emozioni. Anche attraverso i modi di dire, sedimentati nei secoli, le frasi fatte, le parole-che-non-ti-ho-detto, le parole cartina di tornasole, le parole del referente assente .

IN BOCCA AL LUPO!





Mi pare che questa spiegazione inscritta nella foto, abbia un che di etologico che la rende molto condivisibile. La trovo molto bella, limpida, diretta, onesta, persino coraggiosa. Sembra come una finestra sulla lupinità libera, che finalmente abbiamo intenzione di cominciare a guardare, dalla giusta distanza (la distanza del rispetto dello spazio altrui, non la distanza della paura irriflessiva). Se l'augurio è vecchio, questa più recente motivazione gli ridona attualità, lo trasporta verso nuovi territori, abitati da diverse sensibilità, nuove aperture, diversi movimenti verso l'incontro dell'altro - infinite altre singolarità viventi. Anche quelle umane, gli umanimali.

L'armamentario delle spiegazioni che vengono da altre fonti riportate, appaiono invece molto di più come il riflesso di una chiusura oppositiva, di una esclusione: ci raccontano di realtà diverse - anche se a ben pensarci non così tanto, purtroppo (si pensi a Daniza, alle campagne di disinfestazione di nutrie, cinghiali, lupi, ricorrenti in varie Regioni italiane) - fatte di ostilità immediata nei confronti di qualsiasi altro animale.

Per prima cosa, occorre sapere che il significato scaramantico è comune a tutte le spiegazioni.

Una prima interpretazione vuole che la frase derivi dal linguaggio di pastori e allevatori per i quali il lupo era temuto più di tutti gli altri animali a causa della sua voracità per il bestiame del quale essi si occupavano.

Un'altra spiegazione, invece, deriva dai cacciatori che sopprimevano i lupi poiché ritenuti pericolosi per gli umani. In questo caso dire "in bocca al lupo" significava augurare "buona caccia".

 Sempre riguardante la caccia sarebbe la spiegazione dell'espressione secondo la quale chi andava a cacciare il lupo doveva avvicinarsi e quindi metaforicamente "mettersi nella bocca del lupo". A questo augurio avrebbe senso rispondere "crepi il lupo" poiché per affrontarlo ci voleva molto coraggio e fortuna.

 Altri ancora pensano che il detto derivi dal greco per assonanza ovvero: "prendi la retta via" e rispondere "la prenderò".

Un'ennesima interpretazione prende spunto dalla storia dell'origine di Roma: Romolo e Remo vennero salvati dalla lupa. Così, se qualcuno rivolge l'espressione all'altro, si augura fortuna. Anche se in questo caso la risposta "crepi" o "crepi il lupo" non avrebbe senso poiché l'animale sarebbe considerato "la salvezza".


Una spiegazione del termine ci è data, invece, dalla navigazione dove "la bocca del lupo" era la "lavagna" sulla quale si registravano i nomi degli uomini e delle merci portate a casa e quindi l'espressione avrebbe avuto il senso di una "buona navigazione".


L'Accademia della Crusca, parla di paure ataviche, di allegorie medievali del lupo, creatura malvagia, falsa, crudele - un ennesimo esempio della antropomorfizzazione simbolica in negativo operata a danno degli animali. In controluce, si intravede la funzione apotropaica della formula, poiché mettersi in bocca al lupo equivale a mettersi nel potere del "nimico" e dunque l'augurio diventa antifrastico, perché si spera in realtà il contrario di quel che viene apparentemente augurato. Così è, se vi piace.

Con tutte queste bocche, però, a me viene in mente - per associazione libera - la locuzione quasi intraducibile “Il faut bien manger” del filosofo Jacques Derrida.
La si traduce di solito in due modi contemporaneamente: "bisogna pur mangiare" e "bisogna ben mangiare". Il doppio senso, questo inafferrabile 'lost in traslation", rinvia al motivo etico fondamentale dell'ospitalità dell'Altro, tanto esaminata da Derrida.

Venire divorati dal lupo nel senso di venirne ospitati, accolti?
Potrebbe essere  quel che è accaduto quando il lupo e l'uomo si incontrarono e dalla loro unione nacque quel vivente che noi oggi conosciamo come il cane?
Il lupo ha divorato l'umano attraverso il cibo dell'umano: ha riconosciuto l'umano, lo ha riconosciuto come compagno suo pari, ha deciso di unire il proprio percorso di vita a quello dell'uomo?

Questi, sono solo pensieri in libertà, libere concatenazioni di suggestioni, un pretesto per l'augurio scaramantico mentre si approssima il cambio simbolico dell'anno.

Nel 2015, in bocca al lupo.
(si risponde: "Viva il lupo": ossia, "(ev)viva il lupo", ma anche "lunga vita al lupo".

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