venerdì 5 ottobre 2018

Per la Fine dello Specismo - Il discorso di Flavia Fechete: lo sfruttamento congiunto di donne e animali

foto di Mario Belfiore

Giornata Mondiale per la Fine dello Specismo – 

Roma 29/09/2018 

Intervento di Flavia Fechete
Mentre siamo qui in piazza oggi, esponendovi i motivi per cui 
siamo contrari allo sfruttamento degli animali – di tutti gli animali - siamo consapevoli che forse possiamo farvi ridere, se non arrabbiare. Lo sappiamo perchè è già successo in passato. 


foto di Marco Cioffi


È successo due secoli fa, quando le femministe reclamarono il diritto di voto per le donne, è successo poco più di sessant'anni fa, quando qualcuno disse che bianchi e neri avrebbero dovuto frequentare le stesse università, sedersi negli stessi posti sui mezzi pubblici e sposarsi tra di loro. 
Pronunciarsi a favore degli ultimi all'inizio suscita sempre avversione. Ma se nessuno lo facesse non cambierebbe mai niente, come la storia ci insegna, e noi, oggi, ci stiamo mettendo la faccia perchè crediamo che i tempi siano abbastanza maturi per cambiare, per compiere un passo ulteriore verso la civiltà. 
E riconoscere che gli animali non umani sono degni di considerazione morale, ammettere che meritano di essere trattati con rispetto e non come degli oggetti a nostra disposizione, significa compiere un passo ulteriore verso la civiltà.
 
Gli animali sono alla base della gerarchia di un sistema che è indifferente, che anzi in molti casi legittima la violenza verso il più debole. Ne sono le vittime più palesi, ma non le uniche, perché di un sistema simile anche la maggioranza degli esseri umani è vittima, in diversi gradi: ne sono vittima i disabili, ne sono vittima gli stranieri, ne sono vittima gli omosessuali, i transessuali. Ne sono vittima le donne. Perché la violenza non è solo fisica, quello è l'ultimo gradino di una scala chiamata dominio, che per essere percorsa fino in cima richiede che prima si interiorizzino alcune forme di violenza più velate. 
Voglio esporvene alcune, e ve ne parlerò in quanto donna, perché la mentalità che rende possibile la violenza contro gli animali rende possibile anche la violenza verso il mio genere: perché anche io da molti vengo vista come un oggetto. E se può apparire strano paragonare la condizione femminile a quella animale, pensateci meglio: Carol Adams, una delle scrittrici che hanno intuito e descritto la connessione tra sfruttamento femminile e sfruttamento animale, scriveva già negli anni '90 che il primo passo che bisogna compiere per legittimare una violenza è l'oggettivazione dell'individuo, ovvero pensare all'Altro come a un oggetto. E una volta che si pensa all'altro come a un oggetto è possibile trattarlo come tale, ovvero usarlo, manipolarlo, smontarlo. 
Ed è qui che arriviamo al secondo gradino della nostra scala del dominio: la frammentazione, cioè pensare all'altro non come ad un individuo nella sua interezza, ma considerarlo in funzione di alcune parti del suo corpo. Così, se alcuni quando guardano un pollo non riescono a vedere altro che petto e cosce, altri guardando una donna non vedono che seni, gambe e natiche. L'unica differenza è che la frammentazione dell'animale è reale, perché l'animale viene fatto letteralmente a pezzi, mentre la frammentazione della donna è metaforica. Il destino di entrambi si risolve però nel consumo, il gradino finale della scala, quello che porta alla violenza vera e propria. 
Se donne e animali sono oggetti, allora sono proprietà di qualcuno, corpi senz'anima il cui scopo è soddisfare la fame del proprietario. Fame in senso letterale, per quanto riguarda gli animali, fame di potere e di sopraffazione per quanto riguarda le donne. Così, se per poter consumare il corpo dell'animale la sua esistenza viene annientata, della donna si annienta l'integrità psico-fisica violentandone il corpo. Non a caso molte tra le sopravvissute allo stupro riferiscono di essersi sentite come dei pezzi di carne, intendendo con questo che sono state trattate come se fossero oggetti inerti e non individui senzienti. E le analogie continuano: se gli animali vengono rinchiusi in gabbie e marchiati, in molti paesi del mondo le donne non possono compiere nessuna azione senza il previo consenso di un uomo, chiuse in casa e marchiate come donne dall'abbigliamento che è loro imposto dagli uomini. Se le mucche vengono ingravidate artificialmente per costringerle a cicli innaturali di gravidanze, il diritto all’autonomia riproduttiva delle donne viene ancora oggi messo in discussione dalle religioni – e per questo non c'è nemmeno bisogno di guardare fuori dall'Italia: basti considerare l'altissimo numero di medici che rifiutano di praticare l'aborto per obiezione di coscienza. Mi fermo qui per questioni di tempo, ma potrei andare avanti, perché di parallelismi tra le due condizioni, una volta aguzzata la vista, se ne possono individuare a decine. 
Dove ha avuto quindi origine lo sfruttamento congiunto di donne e animali? Ha avuto origine nel potere a lungo detenuto dalla classe dominante eurocentrica, maschile, bianca ed eterosessuale, che ha influenzato la cultura, la politica, la filosofia e l’economia promuovendo una disparità di considerazione morale tra gli appartenenti alla propria classe e tutti gli altri. 
Uno dei modi in cui lo ha fatto è stato categorizzare la realtà mendiante i dualismi: maschio/femmina, mente/corpo, civilizzato/primitivo, umanità/natura, associando il femminile – così come l'animale – a tutto ciò che è corporeo, naturale, istintivo e il maschile a tutto ciò che concerne la ragione, il giudizio, la raffinatezza del pensiero astratto. 
E come sappiamo sono stati gli attributi arbitrariamente assegnati al maschile a definire per secoli il “propriamente umano”, mentre le vite delle donne e degli animali, siccome inferiori, hanno finito per assumere la funzione di territori su cui estendere il dominio, di bestie da domare, secondo quella logica coloniale presente sia nel maschilismo che nello specismo, che ancora parla delle “nostre donne” e dei “nostri animali” come di proprietà animate. 
Spero però che chi mi stia ascoltando e sia nuovo a queste tematiche non commetta l'errore di pensare che ciò che sto dicendo è che dobbiamo mettere fine allo sfruttamento animale perché la mentalità che ne sta alla base nuoce alle persone, o ancora peggio che deduca da ciò che ho detto che la soluzione è tracciare una linea di separazione ancora più netta tra esseri umani e animali, permettendo questa volta a uomini e donne insieme di essere dominatori. Non potrebbe essere più lontano da ciò che intendo proporre. 
Ciò che intendo proporre è di lottare insieme per costruire una società non violenta in cui nessuno si senta in diritto di disporre di altre vite al di fuori della propria; è di impegnarci per far evolvere la mentalità collettiva in modo da comprendere che gli animali non sono a nostra disposizione allo stesso modo in cui le donne non sono a disposizione degli uomini. Mettere fine allo sfruttamento animale, smettendo di finanziarlo, è un atto di giustizia che dobbiamo innanzitutto agli animali, vittime dimenticate di un massacro eterno ed ingiustificabile, ma serve a tutti, perché finché la violenza verso gli innocenti non sarà ritenuta immorale in ogni sua forma, ci sarà sempre qualcuno pronto a giustificarne l'uso, e la pace resterà un'utopia.


immagine di Badger's Burrow


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