@ keystone |
Da millenni, ormai, homo si è considerato separato dall'interezza degli altri viventi, si è ritagliato uno spazio solipsistico, sterilizzato e chiuso ermeticamente - soprattutto a livello di rappresentazione di se stessi e della realtà circostante. Una delle conseguenze - forse LA conseguenza, di sicuro tra le più gravi e foriere di catastrofi - è la reificazione degli esseri viventi, la cancellazione delle individualità, l'omologazione, livellamento, delle diversità. E, quindi, la loro (s)oppressione, l'aggressione che viene mossa nei loro confronti, quando sono inconsapevoli colpevoli della violazione di regole decise unilateralmente dagli umani, con pesante squilibrio della distribuzione dei vantaggi e delle (non)reciprocità. Tutto questo linguaggio difficile - che hai scoperto leggendo i testi di molti autori che se ne occupano - per dire che troppo spesso gli animali sono marchiati come 'invasori', 'minaccia', da 'eliminare', 'eradicare'. La pena - già di per sé decisione iniqua di inarrivabile prepotenza - è solo una: la morte.
Per esempio...
Questo bel lupo non ha un nome, ma solo una sigla. Non è più un individuo, ma un pezzo intercambiabile del modello astratto lupino. Il suo 'abbattimento' (una esecuzione col nome che le viene dato quando si parla di animali non umani) è stato deciso dalle massime autorità. Il DNA lo ha inchiodato: il lupo M è un 'predatore', che ha ucciso 32 volte. Trentadue vittime, non di un serial killer, ma di un cacciatore naturale che si è procurato cibo nel modo principale che conosce, in un ambiente che gli è ostile e che gli sta sempre più stretto, dove le risorse per lui sono sempre meno accessibili e abbondanti. Chi sono le sue vittime? Per le autorità, sono, in realtà, altre 'cose', a uso e consumo degli umani: sono 'capi di bestiame', sono 'animali da reddito': la loro vita non vale per se stessa o per loro, né è di loro proprietà. La loro vita è stata spossessata dagli umani, che mentre sembrano preoccuparsi della loro incolumità e sicurezza, si stanno in realtà preoccupando dei loro calcoli e profitti economici e commerciali.
In un susseguirsi dettagliatissimo di cifre, statistiche, elenchi e numerazioni (in questo senso, forse, nella burocratizzazione anodina del flusso della vita, del suoi mescolare insieme morte e sopravvivenza, cura e fuga, sta l'intrinseco 'nazismo' bashevis-singeriano delle società umane nei confronti degli alteranimali non umani), scopriamo che il lupo M ha superato la soglia massima consentita a un predatore in un mese, ed è perciò diventato un fuorilegge, un ladro, un rapinatore. Perché abbia compiuto così tante uccisioni, a nessuno interessa, così come interessa a nessuno della vita degli animali che ha ucciso. Quelle vite 'contano', - sono contabilizzate - solo in un bilancio di impresa. Sono dei segni meno, delle perdite, che vanno arginate per non intaccare il profitto.
La sua condanna a morte ha un nome: articolo 9bis dell'Ordinanza federale sulla caccia e la protezione dei mammiferi e uccelli selvatici (OCP) (vedere le parole 'caccia' e 'protezione' nella stessa frase, ti procura sempre una strana sgradevole vertigine, una sorta di labirintite).
Ci sarà la supervisione dei guardiacaccia.
Il lupo M deve riuscire a nascondersi per 60 giorni: dopo i quali, l'autorizzazione allo 'sparate a vista per uccidere' contro di lui, a quanto apre, perderà di validità...
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