martedì 24 febbraio 2015

L'estate dei morti viventi

La copertina del libro


Un libro a tratti caotico, costipato di questioni cruciali, mescolate in atmosfere horror, con non poco cruento e crudele splatter, grand-guignol.
"Estate dei morti viventi", etichettato come giallo svedese, che tanta fortuna porta agli editori nostrani, è di sicuro un thriller, ma ha una tematica profonda e complessa per le corde che (ci) tocca, difficile da trattare con la parola scritta, col rischio sempre costante di diventare sgradevole, sopra le righe. Perché è una storia che - sotto e oltre le vicende avventurose o macabre vissute dagli eterogenei personaggi -  parla soprattutto del nostro pensare la morte, dei nostri modi di elaborare il distacco,  di vivere e sopravvivere alla separazione estrema - che possiamo accettare o rifiutare, a dispetto della sua irrefutabilità; di convivere con il lutto, con il definitivo.

In breve, la sinossi
Stoccolma è sull'orlo del caos. Dopo un'ondata di caldo torrido, in città si è creato un campo elettrico di grande intensità. Le lampade non si spengono, gli apparecchi elettrici non si fermano, i motori continuano a girare. Poi si scatena un'emicrania collettiva. Si diffonde la notizia che negli obitori i morti si stanno risvegliando. C'è un giornalista, il cui nipote è appena stato seppellito, che si chiede se anche i morti sotto terra stiano riaprendo gli occhi. E un'anziana signora, in attesa del funerale del marito, che sente bussare alla porta in piena notte. E ancora, un uomo disperato che prega Dio di riportare in vita la moglie. Ma poi quando i morti tornano, cosa vogliono? Quello che vogliono tutti: tornare a casa. E riaverli con sé, non è esattamente come ci si aspettava.

Ci accorgiamo che il 'nostro' congiunto non è più lui, che quel corpo di carne in disfacimento è ormai un simulacro. Che la scintilla che lo ha rianimato sembra essere qualcosa di molto diverso dal calore della vita che lo impregnava 'prima'. Il soffio vitale? L'anima? Un 'qualcosa' che è davvero il 'chi' che noi amavamo e che è del tutto diverso dal corpo che abitava? O meglio: che ne era una parte amalgamata e incastrata, ma che ora, rientrata dopo il primo strappo, non combacia più, né potrebbe farlo? I quesiti, i dubbi, anche strazianti, l'amore che sopporta ogni follia e si riplasma alle allucinazioni più estreme, si rincorrono e si riverberano come echi in una stanza, retrocedono e riavanzano come onde sulla spiaggia. Forse è vero che l'istante della morte coincide con la separazione di questo 'spirito' (fluido? essenza?) vitale e vivificante dal corpo di carne, che infatti sussulta e che subito dopo ci appare come un estranea scultura di materia molle. Una cosa che 'assomiglia', che ha il viso di chi amavamo, ma che non è lui, e dalla quale anzi corriamo il rischio di farci raggirare; che corre il rischio di trasformarsi presto in un grottesco.

Fatto sta che i morti sono ritornati, e non mangiano i vivi, se non quelli che accettano di farsi divorare i sentimenti, la speranza, la lucidità mentale, ma anche la prudenza, l'egoismo.
I morti viventi sono la quintessenza dell'estraneo, dell'altro, di un alieno che ci fa paura e contro il quale dobbiamo alzare muri, e verso il quale sentiamo il bisogno di dichiarare guerra. 

Sven-Eric Liedman è un accademico svedese. Esiste realmente e nel libro appare in pagine cruciali, che lasciano il segno.
Questioni del nostro rapporto con l'altro. L'altro più estremo è il morto, il defunto: ha oltrepassato un confine estremo e definitivo, forse il confine di tutti i confini. Ma è un confine? O non piuttosto un passaggio? Un cambio di stato?
Sempre in quelle pagine  la filosofa Rebecca Liljewall- personaggio fittizio - ne parla, con rigoroso pragmatismo e insensibile freddezza e distacco - di chi ha già deciso 'cosa' siano i defunti, e quali siano le barriere 'giuste' da innalzare, e quale sia il destino che sia legittimo infliggere a chi è rimasto al di là della barriera.


La solidarietà deve sempre essere diretta verso ‘uno di noi’, e ‘noi’ non può significare tutti gli esseri umani… ‘noi’ presuppone che qualcuno sia escluso, qualcuno che appartiene agli altri, e questi altri non sono animali o macchine, ma esseri umani.
Sven-Eric Liedman – VEDERE SE STESSI NEGLI ALTRI (p.237)

I MORTI POSSONO AIUTARCI? Di Rebecca Liljewall, professore di filosofia all’università di Lund
… possibilità di rintracciare le condizioni basilari della vita, cosa prima inimmaginabile. Gli stessi criteri etici usati per i pazienti ‘normali’ possono essere applicati ai morti viventi?
La legislazione in vigore dà una risposta chiara a questa domanda: no.  Una persona dichiarata morta è al di fuori dell’ambito della legge, fatta eccezione per la dissacrazione delle tombe. […].
Con tutta probabilità, a breve la legislazione verrà modificata per includere anche i morti viventi. Può essere cinico, ma durante questo intervallo di tempo esiste la possibilità di effettuare esperimenti e test che più tardi saranno proibiti. Io sono del parere che i medici dovrebbero essere incoraggiati a sfruttare questa occasione.
Le eventuali sofferenze  che saranno provocate ai morti viventi devono essere messe in relazione ai vantaggi che si possono ottenere per l’umanità. (p-240,241)

Vera Martinez, infermiera all’ospedale di Danderyd, Svezia, nel reparto dei morti viventi.
“(C’è stato un notevole avvicendamento di personale). Tutti quelli che al momento lavorano lì, sono stati mandati da agenzie. Nessuno di noi ce la fa più. Appena c’è un gruppo di morti viventi in una sala è come se … non ce la facciamo. Per via dei pensieri, di quello che si prova. Cerchiamo di pensare e agire con gentilezza, ma alla fine non reggiamo più. (p.242)


 Alttri personaggi, si interrogano in altre maniere, e lasciano fluire nei loro pensieri il dolore e l'amore fusi insieme dal ricordo di quello che fu.

[il cuore] Solo un muscolo nel corpo di un essere umano. Un granello di sabbia nel tempo. E il mondo era morto. […] . Davanti a lui era steso il suo futuro, tutte le cose che aveva immaginato non esistevano più. Lì c’erano gli ultimi (12) anni del suo passato. Era tutto svanito e il tempo si era trasformato in un’entità insopportabile.
[…] “…Non è giusto. Non può essere vero. Ti amo […] Non posso vivere senza di te. […] Nulla è possibile senza di te. Ti amo talmente che tutto questo non può essere vero”.
(p.32)

[…] inizio a urlare. Un urlo senza fine, finché non ci fu più aria nei suoi polmoni. (p.33)

Ogni volta che guardava (i suoi oggetti) provava una fitta di dolore, ogni volta pensava che … .  (p.40)

Non giocheremo mai più.
…] aveva continuato a ripetersi l’elenco delle cose che non sarebbero mai più avvenute […] Ma eccone un’altra. Più crudele. […] era scomparsa la sua voglia di giocare.
Era per questo che non riusciva  a scrivere, era per questo che la pornografia non lo eccitava, ed era per questo che i minuti passavano così lentamente. Non riusciva più a fantasticare, a inventarsi cose. Doveva essere uno stato di grazia riuscire a vivere solo con quello che c’è e che si ha davanti agli occhi, senza voler dare al mondo un’altra forma. Avrebbe dovuto essere così. Ma non lo era. Aveva perso l’iniziativa … senza alcuna gioia. (p.41)

Secondi, minuti … in un secondo nasciamo, in un secondo siamo morti .  (p.43)

La capacità sensitiva è difficile da descrivere, da captare, tanto quanto la percezione di un profumo. (p.49)

“Cosa succede quando si muore?”
“Si va da qualche parte”
“Da qualche parte dove? In cielo?”
“Il cielo è soltanto un nome che abbiamo dato a qualcosa che non conosciamo affatto. È soltanto … un luogo diverso”
“… un’anima. Dobbiamo averla. Non è possibile che tutto quello che siamo, tutta la consapevolezza … possa dipendere soltanto da …. Dall’esistenza di questa massa di carne e ossa … no, no e poi no. Non posso accettarlo”. (/p.69,70)

Molte volte aveva immaginato (Eva) morta. Aveva cercato di immaginarla. No, non proprio così.  Molte volte il pensiero di (Eva) morta lo coglieva d’improvviso
 Così.  Perché queste cose succedono, i giornali le scrivono tutti i giorni. […] . E D aveva pensato. Una vita che gira a vuoto: abitudini, obblighi, forse a poco  a poco una briciola di luce proveniente da qualche parte. Ma ora che era successo, provava il peggior dolore che avesse mai potuto immaginare.. (p.220,221)

Esiste  il… pensiero?
Anche se (Elias) era morto … […]
Un seme può rimanere inerte per centinaia, migliaia di anni. Essiccato o congelato in un ghiacciaio. Mettetelo nella terra umida e germoglierà. C’è una forza. La forza verde che porterà al fiore. Qual è la forza che agisce nell’essere umano? […]
La forza verde che porterà al fiore. Non è così ovvio. Tutto è uno sforzo, un lavoro. Un dono. Non può esserci tolto. Non può esserci restituito.. (p.235


Quasi in controcanto alla filosofa, alcune persone comuni, ma in realtà speciali e notevoli per altre caratteristiche - non eccellono nella speculazione razionale, ma hanno elevate doti di empatia - elaborano altre riflessioni. Che non possono non far correre il pensiero a quello che sono gli (asltri) animali nella nostra società.

(La società può essere giudicata soltanto dal modo in cui tratta i più deboli”, Flora).
 Maja: “è forse mai esistito un gruppo più debole dei morti? Quando è stata l’ultima volta che hai sentito dire che i morti hanno rivendicato i propri diritti? I  morti non hanno diritti e il governo può fare esattamente quello che vuole con loro. Hai letto l’articolo di quella specie di filosofa?” (p.258) […] “Una volta identificato lo sbaglio, si deve fare qualcosa per rimediare. Non appena si verifica qualcosa di nuovo, si tratta di capire chi ha il potere e come lo usa”.

I morti vengono segregati in un ghetto, e qui, al riparo dagli sguardi della popolazione civile, vengono definitivamente rimossi, diventano cose, oggetti, del tutto assoggettati al potere di chi ha deciso per loro la nuova sorte del dopo-morte. Un Nulla, un'attesa, e poi, raptus di violenza subita e in seguito lunghissimi momenti di esistenza da 'animali da esperimento', cavie, da sottoporre a resezioni e mutilazioni.

Quel quartiere … ogni granello di sporco era stato rimosso intorno alle case e nell’aria aleggiava un intenso odore di disinfettante. Gli appartamenti erano stati rimessi in ordine, ripuliti, ai morti viventi erano stati preparati luoghi dove abitare, ma non erano altro che nuove tombe. Rimanere seduti immobili e fissare i movimenti meccanici per l’eternità. L’inferno.  (p.299)

Contro tutto questo, avverranno delle azioni, si verificheranno degli eventi - l'etica: tutto quel che si può fare non è detto che debba anche necessariamente e obbligatoriamente venire fatto.

Il ricordo (la metafisica?):

La somma dei ricordi, quando tutto il resto svanisce nell’istante della morte.

Capì il perché della sepoltura. La preparazione […] quel conforto che le sole parole non avrebbero potuto dargli.  (p.326,327)

“è stata colpa mia. Sì, perché ho pensato …. Quello che ho pensato…… e quando l’ho pensato lei…” (p.328)


Infine, qualcosa che assomiglia a una aspirazione - speranza - visione  spirituale, afflitta da una dose invincibile di dolore e senso di vuoto.


… la fiamma di una coscienza tremolò … e scomparve.
“sì, sì. Ma adesso devo andare”
“no, no. Non puoi andartene”
“Ci rivedremo. È soltanto questione di qualche anno. Non aver paura”
(p.369)

(tutti i ricordi e le realtà) divennero un puntino.
Se mi ami… lasciami andare
(p.370)

Non avere paura. Amore. Io sono qui
Ci rivedremo, amore mio, presto.
Ti penserò sempre

Poi lo lasciò andare
(p.377)


L’ESTATE DEI MORTI VIVENTI
JOHN AJVIDE LINDQVIST 
2008
MARSILIO, VE – P .380

venerdì 20 febbraio 2015

NOmattatoio

Fonte: NOMattatoio. Le foto nel sito sono di Marco Cioffi e Andrea Cavalletti

Dopo due presidi (il primo il 20 dicembre 2014, il secondo il 31 gennaio 2015), a pochi giorni dal terzo presidio, 
sabato 28 febbraio 2015
sempre davanti al mattatoio di Roma, nasce il sito ufficiale NOmattatoio, di questa iniziativa di singoli attivisti.

Avrò l'occasione per riparlarne, molto presto.



Mattatoio: sostantivo, maschile - luogo in cui vengono macellati gli animali: mattatoio comunale.
Etimologia: deriva da 'mattare'

MATTATOIO . ABATTOIR. MATADEROS. SCHLACHTHAUS. MATADOUROS. SCLACHTERIJ. SLAUGHTERHOUSE. SLAGTESTED. TEURASTAMO. SLAKTERI. 

MACELLO. SCANNATOIO. AMMAZZATOIO.

martedì 17 febbraio 2015

D sta per...







Pubblicazione di Blogo.


Un post davvero breve, il video, che gira tanto sul social effe, parla da sé. Il link manda alla pagina, dovrebbero essere visibili anche tutti i commenti.
Per continuare a parlare di disabilità - animale.

Propongo di mandare avanti ilo post coi commenti, di costruircelo lì - che è lo spazio fatto apposta.

lunedì 16 febbraio 2015

Portare le coperte al rifugio dei cani anziani


Quando occhi così ti guardano, nasi così ti scrutano, puoi scoprire di sentirti vacillare e allo stesso tempo di provare una capacità quasi smisurata di poter ricambiare, non solo per un istante, non solo con un altro sguardo, ma per momenti che diventano giorni e anche periodi più lunghi, in una continuità di 'buone pratiche' che finiscono col diventare continuità di vita.


Credo che si potrebbe parlare così della costanza di molti cosiddetti "volontari del canile" - un'espressione per molti aspetti abbastanza riduttiva e superficiale.
La costanza dell'avere pensieri animali sempre in testa, non è esclusiva di chi frequenta canili e rifugi per prestare la sua opera di lavoro e di assistenza (si può fare in vari modi, con varie competenze, ci sono dei corsi che aiutano a imparare come muoversi e agire in canile, a tutto vantaggio dei cani;  per chi vuole fare questo responsabilmente, è ovvio).

In questo post, però si parla - anche, soprattutto - di loro. Loro in quanto 'liberatori degli animali'.
Tra le forme di liberazione, c'è sicuramente l'azione, o la serie continuata e costante di azioni, che libera l'animale non umano dall'angoscia, dalla vergogna di essere debole o malato o anziano o ferito e quindi repellente, disgustoso, indesiderato, esposto, espulso. Le azioni che liberano dalla paura che paralizza, dal dolore che attanaglia, dall'insicurezza che inibisce e che fa svanire il cuore, la mente, le idee, la personalità, il sorriso e la voglia di giocare, di incontrare, di vivere, che molti animali hanno in somma misura - e che di sicuro i cani hanno in misura altissima.

I volontari - operatori di canile che si comportano in questo modo - che sanno e possono e vogliono compiere queste azioni - sono dei liberatori. E lo sono nel modo più diretto e consequenziale che si possa immaginare, lo sono nel quotidiano aprire i box, togliere le coperte, le lenzuola, le cucce, i materassi sporchi di fango, di polvere, di feci, di urina, lavare i pavimenti e risistemare panni puliti, lavati, asciutti; riempire le ciotole dell'acqua.
Lo sono quando fanno le coccole e salutano i cani e gli fanno i complimenti e sorridono rispondendo ai loro sorrisi fatti di sguardi e code e nasi presentati. Lo sono quando aiutano un cane anziano a ritornare nel suo box, dove lo aspettano materassi morbidi e asciutti e la lampada infrarossa che scalda, e la cuccia e un biscotto - e in questo aiuto se ne fregano di sporcarsi gli abiti di fango e le mani di cacca, perché han dovuto appoggiarle sotto il sedere dell'infermo.

Non c'è fatica morale nel far queste cose, a dispetto dell'impegno fisico pesante e protratto, al contrario: c'è una forza che risorge dentro, che riapre i sentimenti alla serenità e alla capacità di ridere e sorridere; che ricarica la determinazione nel continuare a far quello che si è appena concluso. Si può risentire questa forza serena perché si sta accarezzando una anziana cagnona, che dorme e respira rilassata, gli occhi chiusi e la nuca spinta contro la tua mano, che dorme come una bambina e si sente al sicuro, con le sue unghie lunghe, lucide e nere, e i suoi denti canini lunghi e doppi, e un passato ormai lontano di catena, botte, paura, che avevano fatto emergere solo abbai, latrati, ringhi. Il sorriso fiorisce, quando questa cagnona apre gli occhi, gira la testa quel tanto per guardarmi, senza perdere la posizione comoda al caldo sul palmo della mia mano che odora di carezze
In questi momenti, penso ai cani che ho amato e che non ci sono più; ma penso anche che questa cagnona e tutti i suoi compagni nel rifugio, in quel rifugio, dove ho potuto imparare tantissime cose sulla cura e l'accudimento (cose che fanno la fortuna e il significato di una vita), sono liberi, perché hanno la dignità, hanno la sicurezza, hanno la fiducia: tutti loro, ciascuno a modo suo, non mancano mai di notarti, di salutarti, di raggiungerti o di seguirti, di chiamarti. Non è come se fossero davvero in una casa, però hanno - è ciò che spero - ritrovato un branco.

Io (come Cicerone) ho i miei 'delenda Cartago': uno è 'i cani non si comprano, ma si adottano in canile'. Ne sono convinto con tenacia, l'esperienza ha rinforzato questa idea ferma e salda. 
Perciò, è chiaro che per un cane, il ritorno in una famiglia, sia la fortuna più bella che possa capitare - se la famiglia è quella giusta, concetto che occuperebbe un post intero. Specie se è un cane specialmente sensibile, o emotivo, o magari anziano o disabile, o disadattato. 
Ciò non toglie che se i rifugi fossero come quello dove oggi sono tornato a portare coperte, lenzuola, cuscini e copriletti per aiutare i cani anziani a superare anche questo inverno, nei loro box con la lampada infrarossa e il telo schermo paravento - se fossero come questo bel giardino per cani anziani e disabili, anche lo stare 'in canile', sarebbe qualcosa dal diverso significato rispetto all'oggi, e la prospettiva di trascorrere il resto della vita in un rifugio, equivarebbe semplicemente allo stare in una famiglia allargata e alternativa, una co-family, una co-house. Una situazione ideale quasi più unica che rara, per lo meno in molti contesti variamente locali in Italia. In questo luogo sempre più speciale c'è spazio e tempo per ciascuno e ciascuno può viversi i suoi tempi; e oggi ho scoperto che dopo il Ponte dell'Arcobaleno, per ciascuno di loro c'è lo spazio e il luogo per il ricordo, il rispetto oltre la vita coglibile coi nostri sensi e le niostre vibrazioni. L'ho scoperto oggi e mi ha commosso, ma ripensandoci, è semplicemente un logico e ulteriore passo avanti - e un passo in anticipo rispetto alla realtà locale di riferimento - che da quando è stato concepito, viene fatto in questo rifugio, lungo la strada del rispetto verso gli altri animali, un concetto che è molto chiaro alla persona che ha dato inizio a tutto questo, un pezzo alla volta.

In un quando che è un oggi in cui ancora troppe strutture sono paragonabili a lazzaretti, a ospedali.
(Per non parlare del carcere, per tacere dei canili lager, coperti da omertà e interessi, per non dire degli allevamenti abusivi, con le fattrici, perché così gli irresponsabili possono comprarsi il cucciolo di razza ma senza pagarlo troppo, ché un cane è pur sempre un cane e non bisogna esagerare).

venerdì 6 febbraio 2015

Il recinto dei cuccioli






tutte le foto di Grazia Lampugnani Arnz e Giovanni



Nota: questo pezzo ho pensato di metterlo in questa giornata della 'mungitura in piazza', le cui motivazioni sono interamente economiche, pur se ben occultate con un alibi 'educativo' (! sic). il pezzo risale a diversi anni fa, 2009, e doveva uscire per un giornale locale novarese, che lo rifiutò. Uscì poi, pochi mesi dopo, sul blog AMICI DI GRETA. Oggi lo ripropongo tale e quale: è la prova che certi metodi di sfruttamento totale degli altri animali non sono per nulla scomparsi. 

 
IL RECINTO DEI CUCCIOLI----
NOVARA, 9 DIC 2009 - Domenica 6 dicembre, primo ponte dicembrino, il Natale si avvicina. Ci sono: il trenino colorato, i mercatini, il tendone equosolidale, la pista di pattinaggio, le bancarelle. Fin dalla mattinata, le vie del centro, tra il Castello, il Broletto, le piazze, l’Allea, il parco si popolano di persone, sempre di più, a passeggiare, guardare, mangiare, e chissà quante altre cose ancora. Il traffico si congestiona.

Si congestiona anche la folla intorno a un punto molto particolare della grande ‘fiera’ natalizia: il recinto dei cuccioli. È un recinto basso, di legno pitturato di bianco, coperto da un gazebo pure bianco. Il recinto è piccolino, a occhio misurerà una decina di metri quadri. Il ‘pavimento’ del recinto è fatto da un telo di plastica, su cui è distesa della segatura e trucioli di legno; lungo i bordi, un po’ di paglia. Dentro il recinto, una capra nocciola, legata con una catena alla palizzata, un asino adulto e un cucciolo, spesso accucciato e immobile e – infine – un vitello, nero e bianco –
un altro cucciolo. In un secondo recinto più piccolo, c’è una gabbia con dentro quattro conigli, che zampettano piano e più volentieri, rimangono fermi e vicini gli uni agli altri. Il recinto è collocato di fronte alla Sala Borsa, dove è in corso una fiera della Confagricoltura. Siamo proprio vicino alla pista di pattinaggio, quasi di fronte alle casse che trasmettono musica ad altissimo volume, per lo svago dei pattinatori.

Facciamo un giro tra la gente. Ci intromettiamo nella loro curiosità,
parliamo, facciamo domande in relazione al destino di questi animali: la padella...

“Io mangio pochissima carne, non riesco di più. Mangio solo il pollo!” dice una signora.
“Non darei i permessi di mettere in esposizione questi animali in questo  modo. Non ne capisco l’utilità”, dice un'altra signora.
“Non li metterei qui, in mezzo alla gente. Devono stare a casa loro, nel loro ambiente”, dice una terza signora. Sì, ma quale dovrebbe essere il 'loro ambiente', dal momento che provengono tutti da qualche allevamento?

“È giusto per i bambini, così vedono gli animali. E già, ma se sapessero che questi stessi animali vengono uccisi per diventare la bistecca nel loro piatto, non la mangerebbero più, forse diventerebbero vegetariani”, dice un’altra signora, anche lei non vuol dire il suo nome.

“Interessante vedere questi animali. Si sapeva già, che questi vengono macellati. … comunque mi piace mangiare carne. Certo, a vederli così, se dovessi ucciderli io per mangiarli, non lo farei mai. Al supermercato, nel piatto, non ti accorgi che sono questi animali, la bistecca non si capisce che viene da questi animali”, dicono Davide e Daniele.

Una bimba dice: “Sta piangendo!”, mentre ascolta i muggiti del vitello. I suoi occhi non si abbassano quando le diciamo che presto verrà ucciso per essere mangiato, è coraggiosa, prova dispiacere. I muggiti si fanno sempre più alti, sempre più frequenti. Il vitello è un cucciolo, che non può sottrarsi nemmeno per un secondo alle manine dei bambini, ai flash delle macchine fotografiche, alle persone adulte che lo guardano con occhi assenti, o ridono quando muggisce, gli fanno il verso. Chiama la sua mamma, che non arriva, che non c’è. Ha fame, perché cerca ancora la paglia o prova a poppare dalle dita delle mani che si sporgono (quanto è morbido e umido il suo naso grigio!), ma quando non riceve nutrimento, cerca di scostarsi, solo per incappare in altre mani; prova a correre, ma la ‘fuga’ finisce subito, quasi contro la palizzata, dove rischia di scivolare e sbattere, rompendosi le zampe. Intanto, l’asinello  è accucciato, e rimane immobile a lungo, poi cerca di poppare. A un certo punto, il vitello si avvicina al piccolo asino, lo annusa da cima a fondo: cerca odori rassicuranti? Vuole fare conoscenza con l'altro cucciolo insieme a lui in questo recinto senza uscita? I conigli si stringono tra loro, il vitello cerca la ‘ciuccia’, la capra si guarda in giro.  Una bambina spalanca gli occhi, quando sente che quel vitellino che la fa sorridere, sarà ucciso per essere mangiato, molto presto. Esclama: “Nooo!”. E si allontana, il sorriso sparisce.




giovedì 5 febbraio 2015

Occhi immensi nel vento - I vitelli di Ylenia




foto di Ylenia


di Ylenia Twist

LE MUCCHE DA LATTE E I VITELLI
(25 luglio 2009)

LE MUCCHE, IN ITALIANO VACCHE, DENOMINATE DA LATTE, ALTRO NON SONO CHE LE MADRI DEI POVERI VITELLI CHE SOLO IN POCHI RICONOSCONO E CONOSCONO.

ECCO, VI PRESENTO LA MUCCA DA LATTE, RIUSCITE A VEDERLA? E’ NASCOSTA MA SI VEDE, è INCASTRATA SI, perché NON SA DA CHE PARTE GUARDARE, SPAVENTATA A TESTA BASSA, CERCA DI SPINGERSI E TIRARSI ALL’INDIETRO, SE NE VUOLE ANDARE, NON VUOLE PIU’ RESTARE, SA CH’E' L’ULTIMA RIMASTA, SA CHE TRA POCO DIVENTERA’ MERCE A PEZZI SU UNO SCAFFALE, UNO SCAFFALE INTERO DI CUORI FATTI A PEZZI.

CERCA DI ANDARE, QUASI CADE E SCIVOLA, IN UN ATTIMO SOLLEVA TERRA E TERRA, FORSE PER NASCONDERSI? IN REALTA’ LA MUCCA SA’ CHE IL RUMORE ATTIRA L’’UOMO, QUELLA MUCCA ...CERCA SOLO DI SCAPPARE, SCAPPARE DA UN MONDO INGRATO E ASSASSINO CHE NON LE APPARTIENE.

LEI, COSI’ MADRE, COSI’ GRAZIA, COSI’ BUONA, DI QUEL BUONO VERO CHE SOLO IN POCHI SANNO APPREZZARE,


GUARDALA LA VEDI BENE ORA? QUASI SI STRAPPA LA BOCCA E IL MUSO PER VOLARE, VOLARE DOVE NON LO SA…MA DI CERTO..LONTANO DA QUA’..LONTANO DA ME, poiché LEI VEDE QUANTA SFORTUNA IO ABBIA AD ASSOMIGLIARE A TUTTI QUEGLI INFAMI PAZZI ASSASSINI CHE LA VOGLIONO VIOLARE..

IN FONDO DALLE TORTO, OGNI MARTEDI’ MATTINA POCO PRIMA DI PRANZO, DA ANNI RIVIVE LE STESSE SCENE, GLI STESSI PASSI IMPAVIDI DI UN UOMO, AVVICINARSI PER RUBARE PRIMA I SUOI FIGLI, POI LE SUE SORELLE ED ORA LEI..

E L’HAI SENTITA PIANGERE TUTTA LA NOTTE SCORSA? NO, NON ERA LA MASTITE, PREGAVA DIO DI AVERE LATTE, LITRI DI LATTE CHE L’UOMO TRASCINA ORA DALLE SUE MAMMELLE, ORA NELLA TINOZZA, POCO IMPORTA SE SPORCA DI SANGUE.

L’ASSASSINO TIRA E TIRA LITRI DI LATTE..PERCHè QUANCUNO COME TE TIRA E TIRA PER COMPRARE!!!


Che ne sai di quella mucca, quanti baci, quante giocate
Della sua vitalità, delgli amori trovati, le amicizie perdute
Non si fida più dell’amica, persino l’unica da lei a venire..
Guardala Accasciata a terra, quella mucca sembra voglia morire
E non perché sia pronta al mattatoio,
ma perché della vita ha visto solo un corridoio,
Un corridoio fatto del suo soffrire
Dove l’amore nasce e finisce per morire

Morire sempre per mano dell’uomo spietato infame che mi somiglia
Ma oggi Margy, ho deciso ti vendico, in fondo sono ancora tua figlia

Che come allora corre per i nostri campi bui
Ora libera, scappa Margy prima che arrivi lui

E non ti preoccupare adesso puoi scappare
Rimango io al tuo posto
Lo faccio ad ogni costo

E adesso cosa? Perché non vai?
Ti prego Margy qui sono guai

E adesso cosa? Mi vieni ad abbracciare?
Su forza Margy, te ne devi andare

Ok tesoro giochiamo ancora
In fondo è notte, nessuno lavora

Ahah la maglia lasciami che mi fai ridere
Che bello Margy saperti vivere!

E chi è quell’uomo che sta arrivando?
Non dirmi amore che ti sta cercando

Ora lo vedo è l’allevatore
Si è quel bastardo che non conosce amore

Allora Margy lo carichiamo
Zampate e schiaffi e dopo scappiamo

Aspetta mamma, ha una pistola
Un colpo al braccio, ti abbraccio e il sangue cola..

E no Bastardo, non lo dovevi fare
Potevi ferire Margy, fermati e non scappare!

Prenditi questo per tutti i vitelli che hai guardato negli occhi
Questo per i litri di sangue latte che ti succhi

E poi questo per tutte le mucche violentate
E quest’altro per tutte le vite massacrate

E adesso fermo legato inerme
Cosa si prova vecchio di un verme?
Se fossi un verme avresti molto più cuore
Perché tra i vermi non si decide chi muore

Non ti finisco
No non ancora
Adesso mi servi, decido io l’ora

Che dici Margy ci divertiamo?
Lo facciamo a pezzi e poi lo vendiamo?
Infondo per le mammine che tirano e tirano litri di latte
Ne sono sicura, dei fegati umani ne andranno ghiotte

E ancora che interrompe persino da incastrato
:- son scomodo e son stanco di starmene chinato-:

Vi prego dai scioglietemi giuro non scapperò Vi do la mia parola
Da domani cambierò

E via con le risate di quelle forti a non finire
Ma come può imparare se ci specula sul morire

E lui che si lamenta mi chiede se è essenziale
La mia risposta è che gli umani lo dovrebbero imparare! TRISKAL


foto di Ylenia


OCCHI IMMENSI NEL VENTO
(10 aprile 2012 )

Ho fatto un sogno assurdo e mi sènto morire, era tutto nitido, l'insegna bordeaux macell...la via, il civico, il locale...il banco, i clienti e quèsta tipa sporca di dietro, che cercava anche una raffinatezza oh.. com'era cortese col cliente..
il cliènte che chiedeva qualche fetta di vitello..così, da dietro il vetro, prendeva a spintoni il cucciolo che stanco scendeva, saltellava le faceva le coccole, le feste, le faceva l'amore, tutto... e lèi ordinava di accucciarsi così, affettava lembi di pelle e pèzzi della sua carne nella sua carne,

il piccolo, infastidito e dolènte, che invece guardava con occhi di rassegno e ubbidienza, così, ritornava al suo posto, ancora più stanco e dolente, nella speranza di essere visto per quello che era,

non importava una coppa o medaglia , franchezza, dal sospiro arguto, importava solo essere riconosciuto,
o forse abbracciato, senza dubbio amato..

ed io che a testa scossa urlavo e piangèvo,
muta come i suoi occhi, i più grandi al mondo che potessero parlare,
nelle sue ferite le mie ginocchie spoglie ,

calici e rivali,
nudi di zoccoli o stivali,
così piangemmo, piangemmo per molto,
perchè non rinasce un pezzo d'anima tolto,
e noi gridammo ma non ci sentìì nèssuno,
ognuno nascosto dentro una testa di fumo,
e ridevano, si stringevano mani,
per un etto corroso da questi sporchi umani,
i soldi che frusciavano, flash di mammme che cercavano,
impazzite dalle gabbie spoglie, di chi ruba la vita , ma l'amore non lo togliè,..

indelebile come nello sguardo di chi ha vissuto,
il bimbo capisce ora di essere riconosciuto,
ed io che immagino quel sangue impregno sulla carta straccia,
corroso tra giugola, nel naso su per la faccia,
di chi mastica o beve, la sua vita breve..

e ORA MI GUARDA, MI SORRIDe DA SPeNTO,
CUCCIOLO DI MUCCA,
OCCHI IMMeNSI NeL VeNTO..

ed io alzo il capo e prendo colore,
le dico signora ma non sente dolore?,
e lei mi risponde ma taci villana,
sei proprio ingenua la sua vita è vana,
tanto non urla e non prova dolore,
è qui pèr servire fino a quando muore..

ed io alzo la voce e lo grido a tutti,
avete i cuori affogati dai lutti,
comè fate a non sentire, come fate a non vedere..
c'è un vitèllino che trema e che rantola preghière,

lo vedete adèsso? mi sta guardando,
io cado ai suoi occhi, voi ridete ingoiando,

gli dico tesoro ci abbracciamo azzittiti,
sono loro chè sono impazziti, 
eppure due orecchie e un cuore lo hanno,
sospiro più forte dentro ogni tuo affanno,
ora mi segui e mi vieni a leccare,
ferite che nel tempo fanno ancora male,
vedi Dugly, Fiona e tutti i fratèlli,
sono un criminale se apro i cancelli,

se tolgo quell'asta e lo faccio cadere,
se vengo e ti amo di carezze vere,
se ti mèdico lenta, le costole scarnite,
se ti lascio correre pèr valli infinite...

ho sognato mura nere, un mare di catene,
secchi vuoti, corni svuoti,
bimbi che non riuscivano a correre ma solo a cadere,
madri stanche di quèsto sporco mestière,
formaggi e grigliate nelle pance altrui, 
e poi..poi ho visto LUI...

non so se fosse un sogno, o pare troppo irrèale,
ma di vèro c'è che tutto è reale,
lasciate cadere coltelli e cancelli,
aprite e guardate quanto sono belli,

zittite e sentite le loro voci nel vuoto,
vivete dolce la viscera e scattate una foto,
portatela ovunque portiate voi...

intenda chi legge,
fa quèllo che puoi. 

ed io che trista lacrimo sui loro musi vividi,
scatenate catene e portatevi i lividi.
oppure può essere rimanga incastrato
come il serbatoio di un cuore spezzato,

ognuno decide sè crimina o meno,
o che sognate ma nel mentre io tremo...

non sono parole cadute come pioggia,
ma scolpite e scalfite nel cuore come roccia.

Ho sognato un mondo che non ci appartiene..e poi una rivolta di musi e catene.

Ho sognato corse, affanni, e canti innocenti.
chiunque di voi abbia sentimènti....

che faccia qualunque, qualunque cosa possa.

ma accarezzalo lento,contro ogni scossa.

accarezzalo lento, contro ogni scossa..

ACCAReZZALO LeNTO ..CONTRO OGNI SCOSSA



 Ylenia è una animalista molto attiva e molto coraggiosa. Ha fatto quello che bisogna fare se davvero si vuole conoscere e agire, è andata a vedere di persona. A vedere la realtà vera e cruda, di violenza nascosta dietro l'industria casearia, ed è tornata per raccontarla. Perciò pubblico , su sua gentile concessione, una parte dei suoi post. Solo una parte, tra le più poetiche. 
Le parole di Ylenia sono il sentimento e l'azione prima di ogni riflessione, prima di ogni razionalizzazione. Ma non sono parole sprovvedute, né ingenue: la loro consapevolezza deriva tutta dall'esperienza diretta, e perciò sono così dirette e forti e piene di passione.

Ylenia ha intenzione di fare una conferenza su questa sua espreienza, dunque tornerò a parlarne di sicuro, e  ci saranno altre occasioni per poterla leggere.
GRAZIE, YLENIA

martedì 3 febbraio 2015

I nostri due giorni di Do as I do

Maika e Chicco - Foto Lorenzo LoFoto In Collina

Siamo tornati dal fine settimana intenso del seminario di "Do as I do".
Lisa, Maika e Chicco sono molto stanchi, molto più di me, hanno trascorso una notte di completo riposo.

I miei tre cani non conoscono nessun 'comando' sotto controllo vocale (i classici 'seduto', 'resta', 'terra', più altri ulteriori addestramenti). Perciò,  ci mancavano delle precondizioni per assistere al corso come allievi. Abbiamo assistito come semplici osservatori, ma questo non ha reso le due giornate meno interessanti, anzi!

al campo con Cristiana e Elena di PEC




Claudia Fugazza


La dottoressa Claudia Fugazza, è una scienziata, etologa, che ha elaborato questo protocollo dopo anni di studi e di osservazioni.
Dal momento che ho potuto assistere alle lezioni e alle pratiche, ma non ho partecipato in qualità di vero e proprio allievo, posso però raccontare le mie impressioni, come se ve le stessi raccontando - per esempio -  al telefono, mentre passeggio. Mi sono accorto che in questo modo riesco a chiarire meglio i concetti a me per primo - visto che ve li voglio raccontare, devo almeno provare a farlo in modo comprensibile! - e che, per così dire, le idee vengon parlando - e molte considerazioni son spuntate propri così, mentre provo a far ordine nell'esposizione. Si tratta di considerazioni 'a memoria' su quanto ascoltato, si tratta anche di domande che potrebbero far diventare questo post una specie di lettera aperta che mi piacerebbe che Claudia Fugazza leggesse, per rispondermi alle domande e curiosità, sollecitate dall'esperienza molto ricca ed elaborata di questi due giorni.

Perciò, è chiaro come tutti gli errori, i fraintendimenti e le banalizzazioni che potranno di sicuro essere presenti, sono del tutto 'merito' mio e non della relatrice. Questo vale anche per gli appunti, pubblicati nero su bianco più sotto, sempre in questo post.

A lezione


La lezione di sabato ha affrontato le questioni teoriche che stanno all'origine del metodo pratico del 'do as I do' (traducibile, direi, come un fai come faccio io - copiami).
Le questioni e i concetti scientifici che sostengono il tutto sono tra i più cruciali e anche controversi persino tra gli scienziati, perché hanno a che fare direttamente con 'cose' come intelligenza e - addirittura! - intelligenza animale (!), e dunque non di rado entrano in territori più spesso esplorati dalla filosofia, per non dire dalla religione.

Va da sé che questa parte mi ha appassionato moltissimo.

La prima cosa che mi piace dire e che è secondo me tra le più importanti è che gli (altri) animali - i cani nello specifico - sono intelligenti. Lo sono, al di là di ogni dubbio che non sia specista e specioso e antropocentrico - sono intelligenti e lo sono in molti modi differenti e le prove sono molte e differenti anche queste, raccolte in anni e anni di ricerche, test, prove, aneddoti, secondo la prassi metodologica scientifica, che si sente sicura solo dopo aver ripetuto n-volte la stessa prova.

Quando però la prova provata riguarda l'intelligenza degli animali, quando si scopre che un animale è capace di fare un qualcosa che era stato classificato tra le caratteristiche dell'intelligenza - così come viene intesa, una peculiarità solo umana - qualcuno decide di cambiare l'elenco delle caratteristiche, di mutare le regole e i criteri di classificazione, in modo che proprio quel nuovo 'qualcosa', scoperto peculiare anche per altri animali, viene a ritrovarsi escluso dai criteri per detrerminare l'intelligenza - e si ricomincia da capo, con gli animali sempre esclusi dal club degli intelligenti, un club fondato dall'uomo e che ammette un solo e unico socio, l'uomo stesso - e a volte nemmeno quello...
Questo modo di fare - che di scientifico ha poco e molto ha di ideologico - che sovverte e le regole - a beneficio solo umano  - è stato discorsivamente e criticamente esposto da Claudia Fugazza, quando ha parlato della 'scala naturae', che pone al vertice l'umano e giù giù tutti gli altri animali - dallo scimpanze, via via fino a insetti e l'oltre quasi invisibile verso il microscopico, in un crescendo di indistinzioni.

La 'scala naturae', però, è un malinteso per niente innocente o inesperto del concetto darwiniano dell'evoluzione - che andrebbe meglio intendere come adattamento alla pressione dell'ambiente sugli organismi viventi. Alla fine, ciascuno di noi si trova alle prese sia con la filogenesi - il percorso di antenati che arriva fino a noi, a cominciare dalla comparsa della vita sul pianeta - che  con l'ontogenesi - il suo percorso individuale, da embrione a organismo adulto. Sono i frutti della pressione ambientali, alla quale gli organismi rispondono con varie strategie - in questo consiste, più o meno, il cosiddetto adattamento.
Così è che, ciascun individuo, per quanto fa parte di un certo gruppo più o meno ampio di individui che condividono molte peculiarità fisiologiche, e che vengono concettualizzati come specie, porta con sé uno specifico bagaglio di caratteristiche - appunto - di specie, specifiche.

Cani e umani hanno ciascuno il proprio bagaglio specie-specifico, e molte delle cose sono comuni.

Uomo e cane nascono insieme, dall'incontro con lupi individualmente più propensi all'interazione sociale con individui di altra specie - il che li ha portati a inserirsi vantaggiosamente nella nicchia umana, proponendo a loro volta vantaggi in dote dalla nicchia lupina da cui provenivano.

L'imitazione - che presuppone empatia e capacità di mettersi dal punto di vista dell'altro - è molto presente nei cani discendenti di quei lupi - che hanno quindi una intelligenza sociale collaborativa spiccatissima. Imparano imitando grazie all'osservazione, e su questo si basa il protocollo 'Do as i do'.

Si tratta di addestramento, e pertanto ho la sensazione che sia soggetto alla propensione al controllo, da parte degli umani, i quali infatti del tutto automaticamente stabiliscono una soglia di accettazione per i comportamenti sociali dei cani - alcuni comportamenti sono al di sotto della soglia e non sono graditi (vanno minimizzati); altri sono al di sopra della soglia, quindi sono graditi e vanno incoraggiati. La comunicazione rischia di rimanere a senso unico, perché ci si aspetta sempre che sia il cane ad accogliere le richieste umane e difficilmente si ha il caso che gli umani comincino a prestare attenzione alle proposte canine, tanto meno assecondarle - o quanto meno, questo è il rischio maggiore, influenzato da ideologie e teologie antropocentriche. Le proposte canine rischiano l'invisibilità, o la sottovalutazione - anche se il cane ne fa moltissime. Insomma, l'umano non si chiede, tende a non chiedersi: che cosa è gradito al cane? Non si prova a immaginare una soglia di comportamenti socialmente graditi dal lato canino. Se ci fosse questa soglia, ho l'impressione che almeno della metà dei comportamenti che l'umano fa in presenza del cane, rimarrebbero molto al di sotto della soglia. In un rapporto di relazione, tutti e due possono proporre alternativamente, ma non vedo molti uomini seguire l'esempio di azioni proposte dai loro cani.

Vero è che comunque l'ambiente antropico è per definizione misurato sull'umano - che poi le misure stiano strette, questo è un altro discorso - e che il cane che ci vive ha necessità e utilità a conoscere certe regole umane - comunque un poco idiosincratiche - per la sua stessa sicurezza (per esempio, per evitare di essere investito da un'auto); poi, probabilmente, il cane con maggior serenità e più volentieri che se fosse un umano, si lascia guidare. ma tuttavia anche lui ha dei desideri, delle richieste, che sono sue e solo sue e che passano misconosciute - poiché accennate - nella cacofonia umansferica. Proprio l'antroposfera, concretizzata dalle nostre città, si sta rivelando paradossalmente invivibile e pericolosa per gli umani stessi. C'è chi pensa (per esempio, Luca Spennacchio)  che l'indicatore di questa accresciuta invivibilità sia proprio la diminuita presenza e frequentazione del cane, e i molti divieti, obblighi e recinti che il cane - e gli umani che ci convivono - devono sopportare. Nelle nostre città viviamo male, e non è un caso che questo malessere lo vediamo nei nostri cani, in modo evidente: siamo due specie 'cresciute' insieme, non potrebbe essere diversamente. E si potrebbe iniziare anche un discorso sul maltrattamento - altro concetto sfaccettato, perché al giorno d'oggi comprende anche maltrattamenti apparentemente mascherati da cura, ma che sono invece abuso o incuria: di tipo sociale (isolamento), alimentare, fisico, sessuale (zooerastia), genetico (malattie e deformazioni ereditarie) (mi sono ispirato a idee e concetti di Cristiana di PEC e al libro di Barbara Gallicchio).

Vero è che nel do as I do, l'ordine - la richiesta, la proposta, l'esempio - non va dato con un comando vocale, ma va mostrato eseguendolo in prima persona, col proprio corpo. Questo potrebbe incoraggiarci ad auspicare una maggior consapevolezza da parte degli umani - circa quel che stanno chiedendo, circa le sensazioni che suscita e le capacità fisiche e sensoriali che richiama in gioco e in uso. Potrebbe succedere - se l'umano non fosse univocamente orientato al risultato performante, invece che alla relazione. E se succedesse, allora, magari l'umano ci penserebbe due volte a ordinare al cane una cosa che constata che suscita disagio o difficoltà a lui per primo - fatto salvo il fatto che comunque affrontare e superare le sfide, aumenta 'cose' come autostima, autopercezione, ecc.
La zoonatropologia, arrivata in Italia con Roberto Marchesini, ha messo a frutto proprio le istanze della relazione.

GLI APPUNTI
L'apprendimento sociale ha dei vantaggi peculiari molto interessanti. Intanto, vediamo gli altri tipi di risposta alla pressione ambientale.  

C'è il comportamento specie specifico, adl alto determinismo genetico; i suoi vantaggi sono l'alta affidabilità, la risposta rapida e irriflessiva, sempre ripetuta. La sua efficacia è pressoché totale in un ambiente  che non ha grossi cambiamenti e risulta quindi essere un contesto prevedibile. Come grosso modo è accaduto per centinaia di milioni di anni sulla Terra.
C'è l'apprendimento individuale, che è molto flessibile, avviene per prove ed errori e quindi puà avere conseguenze negative per l'individuo, può anzi rivelarsi come letale, o fatale, se il tentativo è clamorosamente sbagliato o inadeguato alla situazione. Funziona in un ambiente in trasformazione o mutamento.

Infine, l'apprendimento sociale, che qui ci interessa, ha una alta flessibilità e non comporta conseguenze pericolose o letali per l'individuo, che impara osservando le esperienze altrui, ripetendole e ricordandole. Anche questo è molto utile in ambienti che si stanno trasformando.
L'ambiente antropico è tipicamente un ambiente in rapida e costante trasformazione.

Claudia Fugazza precisa che questo è comunque uno schema didattico: in realtà, i tre tipi di comportamento convivono all'interno di un medesimo individuo, e sono correlati, ogni volta entrano in gioco simultaneamente, anche se con 'pesi' differenti a seconda del contesto. Perché ci possono essere casi in cui il comportamento migliore, addirittura 'salva vita', sia quello del repertorio specie-specifico; e sono casi numerosissimi, solo che non ce ne accorgiamo, proprio perché ... lo facciamo senza pensarci!

In passato, questa situazione ha portato a polemiche tra varie e diverse scuole di ricercatori. Gli psicologi deterministi in USA hannio affermato che il condizionamento è tutto. Valga per tutti Burrhus Skinner, l'inventore della 'skinner box', paladino del condizionamento operante e dei processi di apprendimento individuale.  Che poi avesse fatto affermazioni tipo: datemi un neonato e io col mio metodo lo farò diventare indifferentemente un avvocato o un ladro, un medico o un killer (sembra di stare nella Brave New World, distopia di Aldous Huxley); e che la sua scatola con scosse elettriche non fosse esattamente confortevole per i poveri individui (animali) sottoposti ai suoi test, forse, fa un poco riflette. Per lo meno meno, io non posso fare a meno di pensare a questioni etiche legate al nostro rapporto con gli altri animali.

Gli psicologi europei, tra cui Konrad Lorenz, invece sostenevano il valore e la basilarità degli istinti, con concetti come l'imprinting. Per cui se un bambino umano verrà cresciuto 'in compagnia dei lupi', o dalle scimmie, da adulto vedrà il mondo come i suoi genitori adottivi e si comporterà come un gorilla o come un lupo.
Non mancano le storie riportate di casi simili realmente accaduti.

Queste alcune premesse.
Nell'ambito dell'apprendimento sociale, rientra l'imitazione, che è quindi uno dei processi di apprendimento sociale. L'imitazione, in etologia, non è quell'atto banale e considerato inferiore che viene inteso nel senso comune. Imitazione è invece un comportamento complesso, che richiede un grado di empatia, il sapersi mettere nei panni dell'altro, la capacità di adottarne il punto di vista.
Dunque, è sicuramente una manifestazione di intelligenza. Per inciso, anche l'intelligenza è un concetto tutt'altro che univoco: di intelligenze ne esistono di vari tipi, che il metodo scientifico ha cercato di rendere misurabile. Non esiste - per la scienza - una 'intelligenza' unica e astratta. Quest'ultima, piuttosto rientrerebbe nell'ambito filosofico umanista, che usa strumenti come la 'scala naturae', chiaramente antropocentrica e scientificamente priva di un senso.

La scienza che si occupa dellE intelligenzE è l'etologia cognitiva.
A partire dal famoso studio sui macachi giapponesi che sulle isole lavano le patate dolci nell'acqua del mare, per pulirle dalla sabbia, l'etologia cognitiva ha raccolto tantissimi dati sull'apprendimento sociale, che tra le sue caratteristiche ha anche quella di essere estremamente rapido nel diffondere la conoscenza acquisita.

L'apprendimento sociale trova cause favorevoli quando il livello di socialità generale tra i gruppi è alto; quando si ha la presenza di importanti cure parentali; quando c'è forte tendenza al gioco e all'esplorazione. La specie umana condivide queste tre caratteristiche con il cane, e sono questi molto probabilmente i motivi del legame che si è creato.
Pur essendo un legame antichissimo - si potrebbe dire addirittura causativo dell'evoluzione di homo così come è diventato - fino a pochi anni fa è stato poco studiato. L'etologia studia il comportamento degli animali nel loro ambiente; ma, qual'è l'ambiente del camne^ Il medesimo di quello umano va da sé che studiare il comportamento del cane nel suo ambiente naturale significa studiarlo nelle città, negli agglomerati di umani, perché ovunque ci siano umani ci sono anche cani. Non si pensa più che l'ambiente domestico umano sia un ambiente artificiale, ma un espressione del comportamento specie specifico umano, un contesto all'interno del quale il cane si è inserito fin dagli inizi. Il cane - i suoi antenati lupini - si è (auto)domesticato.
Alcuni lupi, ai primordi di homo, usarono la nicchia umana, vi si inserirono, cogliendone i vantaggi collaborativi. Si è creata una relazione naturale, giocata tra filogenesi e ontogenesi, tra caratteristiche specie specifiche e la loro interpretazione individuale. Non tutti i lupi sono socievoli verso gli umani, pur essendo socievoli con gli altri lupi. Solo i lupi prosociali anche nei confronti degli umani, li hanno avvicinandosi, scegliendoli come compagni co-evolutivi. La relazione cinantropica è un evento unico in etologia: umani e cani condividono lo stesso ambiente.

Il cane, quindi deriva da un lupo con maggiori propensioni verso un certo tipo di comportamento. Si è ipotizzato che il cane, rispetto al lupo, sia andato a perdere la capacità di problem solving. In realtà, le motivazioni comportamentali sono differenti in cani e lupi: i secondi sono più indipendenti, non cercano collaborazione con individui di altre specie, mentre i cani privilegiano proprio i comportamenti relazionali e collaborativi, specialmente con individui umani.

Con dei test molto lunghi, che hanno coinvolto nell'arco di molti anni due gruppi - uno di cani e uno di lupi, si è potuto fare delle distinzioni concrete, operative documentate sui diversi tipi di intelligenza canina o lupina. Emerge che il cane, nelle soluzioni per lui insolubili, guarda l'umano, fa riferimento a lui, il lupo invece no; questa differenza è retaggio genetico e non è legata alle esperienze individuali.

Il cane, cioè, ha un'altissima predisposizione allo sguardo, che è il segnale tipico di ingaggio di relazione; proprio la relazione speciale che esiste tra cani e umani, fin da quando gli umani son diventati tali. Si parla di evoluzione convergente, che ha reso simili due specie (homo e canis), filogeneticamente lontane, ma cresciute nel medesimo ambiente, e dunque sottoposte alle stesse sfide e pressioni. Il cane è altamente predisposto a seguire l'indicazione sociale, sia che i membri del gruppo siano cani o umani.
Gli individui che sono messi nelle condizioni di osservare una dimostrazione pratica svolta da un esecutore abile, imparano più velocemente. Possono abituarsi a diversi contesti e in questo modo migliora la loro abilità.

Il detour, o deviazione, riguarda una serie di test che hanno reso ecvidente un fatto che rafforza la validità dell'affermazione circa il particolare tipo di intelligenza sociale dei cani. Si è visto che il cane arriva a privilegiare una strategia meno efficiente e più lunga - se indicata e proposta dal partner umano - piuttosto che una strategia più efficiente per lui stesso, ma che non viene indicata dal partner umano.

Il Do as I do si basa sull'imitazione e sulla predisposizione sociale e collaborativa del cane. Come protocollo è nato negli anni '50, con Hayes e i suoi studi con gli scimpanzè. Del 2006 è il primo studio col cane 

Nel do asi i do, il cane prima apprende la regola, poi la generalizza. Il concetto di 'copia' si generalizza a diversi contesti e situazioni. 



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