sabato 16 marzo 2019

La vita a un certo punto finisce



In queste due settimane dalla dipartita di Lisa, non riesci a fare a meno di continuare a pensare alle questioni legate alla fine vita.
Una tua amica, Elena Vanin, ha trovato sul web un post, che ha così introdotto:

"Quanto lo trovo vero, nel suo cinismo e nella sua dolcezza.
La vita a un certo punto finisce.
Un conto è se rischia di finire troppo presto, per qualche malattia curabile, per qualcosa che altera la curva naturale della vita, allora ha senso cercare la cura, il rimedio, ma tante volte questa società sembra avere rifiutato la naturalità della morte in vecchiaia, e la cura è solo un accanimento, doloroso, faticoso, stremante e in definitiva inutile (o forse dannoso).
Abbiamo bisogno, credo, di recuperare il senso, dove il senso non è quanti giorni in più riesci a resistere, anche se sfinito, ma quanto riesci a godere del tempo che hai, con amore
".




Il testo è questo di seguito. Funziona molto bene, come racconto di una parte per il tutto: dai ricoveri ospedalieri lunghi, prolungati, fino al fine vita degli animali non umani.


"COME MUOIONO OGGI GLI ANZIANI?
Muoiono in OSPEDALE.
Perché quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata deve essere ricoverata. Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto ciecamente tutte le sue armi di tortura umanitaria. Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili fleboclisi, le radiografie.
“Come va la nonna, dottore?”. “E’ molto debole, è anemica!”.
Il giorno dopo della nonna ai nipoti già non gliene frega più niente! Esattamente lo stesso motivo per il quale da diversi anni è rinchiusa in casa di riposo.
“Come va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile dire come potrà evolvere la situazione”.
“Ma voi cosa pensate?”. “Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare un’ endoscopia”.
Chi lavora in ospedale si è trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo.

Che senso ha sottoporre una attempata signora di 92 anni ad una gastroscopia? Che mi frega sapere se ha l’ulcera o il cancro? Perché deve morire con una diagnosi precisa? Ed inevitabilmente la gastroscopia viene fatta perché i nipoti vogliono poter dire a se stessi e a chiunque chieda notizie, di aver fatto di tutto per la nonna.
Certe volte comprendo la difficoltà e il disagio in certi ragionamenti. Talvolta no.
Dopo la gastroscopia finalmente sappiamo che la Signora ha solamente una piccola ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato fagioli con le cotiche e broccoli fritti, “…sa, è tanto golosa”.
A questo punto ormai l’ ospedale sta facendo la sua opera di devastazione. La vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce sempre diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, non è abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere. Le notti diventano un incubo.

La vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata, rinvigorita dalle trasfusioni e rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia come un cocainomane. Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della figlia, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore dell’albergo, chiede un avvocato perché detenuta senza motivo.
All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”. Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente messa a dormire.
“Come va la nonna, dottore? La vediamo molto giù, dorme sempre”.
Tutto questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi muoiono quasi sempre di notte :/ ) la nonna dorme senza la puntura di Talofen per rincoglionirla…

“Dottore, la vecchina del 12 non respira più”.
Inizia la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante (spesso il Rianimatore sollecitato di corsa per “fare di tutto”) scrive in cartella la consueta litania “assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”.
La cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi. L’ospedale ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di emocromo, azotemia ed elettroliti.
Cerco spesso di far capire ai familiari di questi poveri anziani che il ricovero in ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente, che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine della vita. Che serve amore, vicinanza e dolcezza.

Vengo preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è anziana. “E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”.
Ma perché? Perché i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, stupri, “carrambe” e non possono vedere morire la nonna? Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina di letto.

In ultimo, per noi medici: ok, hanno sbagliato, ce l’hanno portata in ospedale, non ci sono posti letto, magari resterà in barella o in sedia per chissà quanto tempo. Ma le nonnine e i pazienti, anche quelli terminali, moribondi, non sono “rotture di scatole” delle 3 del mattino.
O forse lo sono. Ma è il nostro compito, la nostra missione portare rispetto e compassione verso il “fine vita”. Perché curare è anche questo, prendersi cura di qualcuno. Anche e soprattutto quando questo avviene in un freddo reparto nosocomiale e non sul letto di casa.

(Antonio Pace - Tratto dal web)"

Ecco,  per questo non ti fa paura la morte, ma l'agonia, la malattia chiamata vecchiaia che ti fa rendere debole ed esposto. per questo e in questi casi ti fan paura gli ospedali, che diventan prigioni, e che già sono istituzioni concentrazionarie, dalle quali - se ci entri - non ne esci più. 
Per questo, vuoi dire a chiare lettere: IO NON VOGLIO MORIRE IN OSPEDALE, ma piuttosto, preferirai, se riuscirai, anche da solo, ma tra le pareti e le cose che conosci e che non ti fanno paura, allo stesso modo dei cani che vivono con te - che poi, quindi, tutto solo non sarai, chi saranno dei cani insieme a te, chissà.

Elena Vanin, ti ha raccontato:
"Anni fa sono svenuta, unica volta in vita mia in cui mi è capitato. Non ho capito esattamente per quale motivo, comunque sia niente di grave, però è successo ed ero ad un seminario: ho fatto in tempo ad appoggiare il quaderno che avevo in mano sulla sedia vuota di fianco a me, perché mi sentivo strana, e dopo quello non mi ricordo niente, fino al momento in cui ero sdraiata per terra con la gente intorno che diceva di tenermi le gambe sollevate e di farmi spazio per lasciarmi aria da respirare.

In quel momento mi ricordo che non ho assolutamente avuto paura (in effetti la concitazione intorno a me mi aveva fatto ridere, cosa che aveva molto alleviato la preoccupazione di tutti gli altri!) e che ho realizzato che nel tempo in cui ero stata "off" non c'era stato il minimo problema, non stavo male, non c'ero ma questo non rappresentava assolutamente un problema, mentre perdurava il non esserci (e nemmeno dopo).
Insomma, tolta la sofferenza e la paura, morire in sé non è proprio un problema. Per questo voglio evitare queste due cose, a me e ai miei cari, ma la morte in sé, alla fine di una vita piena e bella, mi sta bene."

Elea tocca questioni davvero cruciali e sensibili e lo fa in un modo comunque molto equilibrato, a parere tuo.
Il dolore, ecco: è una parte cospicua del cammino verso la morte. è proprio quella parte che temi di più, ma forse, almeno nei momenti estremi, sarà inevitabile. Quello che si può evitare, è tutto - o quasi - il dolore che precede, derivato anche dagli atti medici stessi.







Non sei sicuro di aver trovato Antonio Pace: ci sono diversi profili con questo nome, ma dai contenuti visibili non si riesce a capire chi potrebbe essere quello giusto.

Il testo che c'è nel link riporta questa firma, che però da come è scritto sembra essere a sua volta qualcuno che cita un non meglio identificato "web".


 

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