Foto di Britta Jaschinski |
Le foto di Britta Jaschinski vanno a guardare gli animali che (a volte ci) guardano. Ma non solo.
Non solo ci guardano. Non solo gli Altrianimali vengono guardati, ma anche gli oggetti che gli umani inventano/escogitano/fabbricano/usano (o non usano più, o smettono di usare, o usano ancora troppe volte), quando con gli Altrianimali hanno a che fare. Ma va a fotografare anche gli umani stessi, in particolare quei certi umani che hanno fatto della loro vita una continua condizione di persecuzione e sfruttamento verso gli Altrianimali. Come ci appaiono questi umani? Di loro, nelle foto, vediamo solo pezzi, le parti di loro che agiscono sugli/contro gli Animali (le braccia, le mani, le gambe); la faccia, se si vede, ha poco di riconoscibile, nel senso di qualcosa che si vorrebbe riconoscere. Mi sembra un umano-altro-da-sé nel più deleterio dei modi, un umano che allo stesso tempo esplica tutto se stesso nelle azioni del dominio - cosa che di fatto per millenni ha saputo e voluto fare. Infatti, anche gli oggetti (le gabbie, le catene) 'vuote', sono come dei 'pezzi', dei prolungamenti, delle protesi di questi umani-dominatori, che usano questi oggetti per porsi ancor più separati dagli Animali, che pure toccano, con cui pure vengono in contatto - ma solo per renderli oggetti da sfruttare, spezzare.
Le foto degli zoo sono una specie di terribile summa e sintesi di come l'umano ha concepito il rapporto con gli altranimali: ci sono gli Animali, coi loro sguardi a cui è stata sottratta a forza la luce della libertà; coi loro corpi, ai quali è stato tolta con la violenza, la possibilità di autodeterminazione e autonomia di espressione; poi ci sono alcuni umani, che a volte sono gli spettatori-clienti paganti-complici dei soggiogatori con cui condividono la specie di appartenenza - e di loro non si vedono sguardi o espressioni, anche quando gli occhi sono visibili: è un vedere-senza-vedere, anche il loro sguardo si è spento, è del tutto introiettato sulla loro condizione di umano-sopra-la-bestia. Gli animali, girano in tondo, sbadigliano, proiettano le loro ombre; le ombre, che mi richiamano l'idea di Giordano Bruno delle ombre come la manifestazone doppia del reale, che continuamente (in)seguono, venendone anche deformate o confuse. Vien da pensare che gli animali diventano ombre - che allora è un altro modo di dire 'referente assente' - deformati e resi altra-cosa dalla continua azione della realtà artificiale escogitata dagli umani per rendereli di fatto oggetti immobili. Tuttavia, pur inscatolati dietro lastre di vetro e sempre visibili a chi passa davanti e li fotografa con il telefonino (aggiungendo, se ce ne fosse bisogno, un ulteriore filtro che si frappone come barriera), questi animali 'protestano', rifiutandosi di lasciarsi vedere in modo passivo, ma guardano con occhi di richiesta, esibiscono la loro noia, la loro frustrazione.
Che cosa dovrebbero-potrebbero cogliere gli umani che li fotografano senza davvero vederli? Per loro, lo scatto col cellulare non è una foto a un Individuo Animale, ma il segno del loro essere (casualmente) passati lì davanti, un tag per appuntare un ricordo che svanisce nell'istante stesso dello scatto, perché non ha profondità, né pazienza, né riflessione, né rispetto.
Meno male allora che loro stessi diventano 'oggetto', nelle foto dell'artista: di loro si vede il gesto - per me - detestabile di chi si fa agire dai suoi stessi oggetti (il cellulare, ma anche le gabbie, le pareti dello zoo tutto intero) e non capisce che una tigre annoiata dietro un vetro, NON è una tigre, ma un prigioniero spezzato.
Infine, mi accorgo che anche gli scatti fatti agli Animali liberi, sono riprese a esseri viventi che sfuggono, che diventano - di nuovo - ombre, o magari frame sfocati o sgranati. E come se - con la tecnica - ci mettessimo sempre nelle condizioni di non 'vedere' mai davvero l'Animale che ci sta di fronte, la cui individualità ci rimarrà sempre in ombra - cosa che purtroppo a molti continuerà a far paura (purtroppo, per gli Animali).
Le foto degli zoo sono una specie di terribile summa e sintesi di come l'umano ha concepito il rapporto con gli altranimali: ci sono gli Animali, coi loro sguardi a cui è stata sottratta a forza la luce della libertà; coi loro corpi, ai quali è stato tolta con la violenza, la possibilità di autodeterminazione e autonomia di espressione; poi ci sono alcuni umani, che a volte sono gli spettatori-clienti paganti-complici dei soggiogatori con cui condividono la specie di appartenenza - e di loro non si vedono sguardi o espressioni, anche quando gli occhi sono visibili: è un vedere-senza-vedere, anche il loro sguardo si è spento, è del tutto introiettato sulla loro condizione di umano-sopra-la-bestia. Gli animali, girano in tondo, sbadigliano, proiettano le loro ombre; le ombre, che mi richiamano l'idea di Giordano Bruno delle ombre come la manifestazone doppia del reale, che continuamente (in)seguono, venendone anche deformate o confuse. Vien da pensare che gli animali diventano ombre - che allora è un altro modo di dire 'referente assente' - deformati e resi altra-cosa dalla continua azione della realtà artificiale escogitata dagli umani per rendereli di fatto oggetti immobili. Tuttavia, pur inscatolati dietro lastre di vetro e sempre visibili a chi passa davanti e li fotografa con il telefonino (aggiungendo, se ce ne fosse bisogno, un ulteriore filtro che si frappone come barriera), questi animali 'protestano', rifiutandosi di lasciarsi vedere in modo passivo, ma guardano con occhi di richiesta, esibiscono la loro noia, la loro frustrazione.
Che cosa dovrebbero-potrebbero cogliere gli umani che li fotografano senza davvero vederli? Per loro, lo scatto col cellulare non è una foto a un Individuo Animale, ma il segno del loro essere (casualmente) passati lì davanti, un tag per appuntare un ricordo che svanisce nell'istante stesso dello scatto, perché non ha profondità, né pazienza, né riflessione, né rispetto.
Meno male allora che loro stessi diventano 'oggetto', nelle foto dell'artista: di loro si vede il gesto - per me - detestabile di chi si fa agire dai suoi stessi oggetti (il cellulare, ma anche le gabbie, le pareti dello zoo tutto intero) e non capisce che una tigre annoiata dietro un vetro, NON è una tigre, ma un prigioniero spezzato.
Infine, mi accorgo che anche gli scatti fatti agli Animali liberi, sono riprese a esseri viventi che sfuggono, che diventano - di nuovo - ombre, o magari frame sfocati o sgranati. E come se - con la tecnica - ci mettessimo sempre nelle condizioni di non 'vedere' mai davvero l'Animale che ci sta di fronte, la cui individualità ci rimarrà sempre in ombra - cosa che purtroppo a molti continuerà a far paura (purtroppo, per gli Animali).
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