Fotocomposit di Alessandro Fugazzi, da una foto @Riccardo Palumbo e una immagine fonte Internet |
di Francesca Fugazzi
Ho fatto una bella chiacchierata con Riccardo Palumbo. E’ un caro amico e voglio parlarvi di lui perché ha un modo insolito di fare attivismo. Prende le cose alla larga, con delicatezza ed originalità. Ha stabilito nel 2011 il record di più lunga permanenza in acqua da fermo, il Biorecord, e l’obiettivo di questo primato era quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla vita dei pesci, dei mammiferi marini e di tutti gli animali acquatici in cattività. E’ arrivata la volta del ProWater, un altro record di galleggiamento in acqua, la cui missione è stata quella di porre attenzione sull’importanza fondamentale della preziosa risorsa. Oggi Riccardo, primastista mondiale, è reporter per Extreme Water Tv e si occupa di educazione ed istruzione in ambienti acquatici.
Ci parli del tuo primo record?
Il Biorecord, che consisteva nello stare nelle acque del lago di Monate (vicino a Varese) per quarantotto ore in uno spazio chiuso e con limitate possibilità di movimento, voleva mostrare come un animale marino viva in cattività. In acqua avevo uno spazio di soli dieci metri quadrati. Il paradosso era ovviamente quello per cui, pur avendo un intero lago a disposizione, non ne godevo. Volevo dare una testimonianza concreta dell’assurdità della libertà violata.
Cosa hai vissuto in quei momenti?
La situazione era completamente distorta. Questa volta era l’uomo, a terra, ad osservare un altro uomo, in acqua, che si trovava appunto nella condizione di un animale in cattività. L’esperienza, anche se bellissima per il sostegno da parte della gente, mi ha fatto sentire davvero come se mi esibissi in un delfinario. Sono diventato una sorta di oggetto. Alla lunga, quando la stanchezza cominciava a farsi sentire e si andava verso il record, sempre più persone venivano a vedermi e a pormi molte domande, che, poi, erano sempre le stesse: “fammi vedere le mani e i piedi”, “come fai a mangiare e a bere?”, “chi te lo fa fare?”. Ripetevo uno spettacolo, esattamente come accade nei delfinari. Era assolutamente stancante e frustrante, ancor più dell’attività stessa. Vivevo stressato. E la stessa cosa è avvenuta anche per il secondo record, in cui sono rimasto in acqua per cinquanta ore. Pensare di stare lì per sempre è atroce, si può davvero diventare pazzi.
Com’è nata l’idea del Biorecord come manifesto in difesa degli animali in cattività?
Desideravo comunicare qualcosa di importante alle persone ma non sapevo come. Quando avevo deciso di stabilire il primo record ho cominciato ad allenarmi tante ore in piscina, dodici ore al giorno in acqua. Una cosa frustrante: una cosa da...acquario! Mi sono sentito come se un delfino mi avesse detto: “ecco, ora capisci cosa significa?”. Lì ho avuto un’intuizione e ho deciso di stabilire il record non più in una piscina ma in acque libere recintate in modo da tentare di rendere evidente la scelleratezza delle azioni umane.
Pensi che il messaggio sia arrivato alle persone che hanno assistito al record?
Il Biorecord è nato per questo e nessuno, almeno non intorno a Varese, aveva mai ricevuto questo messaggio con un linguaggio diverso. Devo riconoscere che la gente non si mostra molto interessata ai discorsi complessi e profondi, in genere rimane sulla superficie, sia dell’acqua sia delle cose. Io non potevo urlare, il messaggio era più sottile ed era rivolto a tutti coloro che avevano già un certo tipo di sensibilità. Mi sono rivolto anche ai bambini promuovendo anche, in concomitanza, la campagna “Let me free” con magliette e gadget sui quali c’era l’immagine di un delfino che ritornava ad essere libero.
Qual è la nostra responsabilità davanti a queste ingiustizie?
Tutti dovrebbero riflettere, almeno tutti coloro che sono andati in un delfinario o in un acquario. Da piccolo sono andato a vedere alcuni spettacoli e non mi accorgevo di nulla, non pensavo che i delfini potessero soffrire così tanto. Quando ho realizzato è stato durissimo e col senno di poi mi sono sentito in colpa. L’informazione è fondamentale: sapere l’inferno che passa un delfino per arrivare in quei luoghi è di fondamentale importanza. Bisogna quindi informare. Se tutti sapessero, l’affluenza ai delfinari crollerebbe. Nel momento in cui viene prelevato dal suo stato selvaggio, un animale subisce il percorso più terribile, viene privato di tutte le sue qualità e spezzato per sempre nello spirito. Non c’è da stupirsi dei casi in cui un’orca attacca l’addestratore perché è assolutamente evidente che un’orca non possa vivere in quegli spazi angusti.
E cosa è successo dopo che hai aperto gli occhi?
Ho assolutamente voluto fare quanto segue. Mi sono recato in un delfinario e ho chiesto, come persona del pubblico, di poter interagire con i delfini. Ho finto questo desiderio per potermi avvicinare a loro. Quando mi sono trovato vicino ad un delfino tanto da poterlo toccare gli ho chiesto scusa perché avevo abusato della loro bontà e che da quel momento mi sentivo pronto a fare il Biorecord per loro. I delfini sono molto empatici e telepatici e spero che il delfino a cui ho chiesto scusa mi abbia ascoltato. E’ stato un momento forte. La differenza fondamentale tra ciò che ho fatto nel record e la vita degli animali in cattività è che io ho scelto di stare dove stavo: un animale non lo sceglie. Dobbiamo metterci nei panni degli animali che vengono presi a forza e sostanzialmente gettati in una vasca da bagno visto che gli spazi in cui essi vivono allo stato brado sono vastissimi anche rispetto alla più grande vasca di un delfinario.
Cosa vuoi dire ai genitori che portano i propri figli nei delfinari e negli acquari?
Quello che voi fate è di far divertire vostro figlio senza informarvi e senza renderlo consapevole. Non vi chiedete perché il delfino stia lì, non vi chiedete se anche voi siete disposti a ripetere ossessivamente e fino alla fine dei vostri giorni esercizi sempre uguali dopo essere stati strappati da un oceano che fino a poco prima vi dava vita e famiglia. Cercate di informarvi ed informare il vostro bambino in modo che capisca fin da subito quanto accade. Andate a guardare i delfini in libertà, è molto più emozionante godere di quei pochi secondi in cui loro decidono di mostrarsi ai vostri occhi.
Intervista a cura di Francesca Fugazzi
Per chi desiderasse mettersi in contatto con Riccardo - primatista mondiale di permanenza in acqua in galleggiamento - per attività educative o sportive sempre in un’ottica di rispetto della natura, lui è presente su Facebook in questo profilo o su Twitter @riccardoH2O
Per chi volesse approfondire la tragica situazione dei delfinari e fare qualcosa in merito può informarsi leggendo
Ho fatto una bella chiacchierata con Riccardo Palumbo. E’ un caro amico e voglio parlarvi di lui perché ha un modo insolito di fare attivismo. Prende le cose alla larga, con delicatezza ed originalità. Ha stabilito nel 2011 il record di più lunga permanenza in acqua da fermo, il Biorecord, e l’obiettivo di questo primato era quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla vita dei pesci, dei mammiferi marini e di tutti gli animali acquatici in cattività. E’ arrivata la volta del ProWater, un altro record di galleggiamento in acqua, la cui missione è stata quella di porre attenzione sull’importanza fondamentale della preziosa risorsa. Oggi Riccardo, primastista mondiale, è reporter per Extreme Water Tv e si occupa di educazione ed istruzione in ambienti acquatici.
Ci parli del tuo primo record?
Il Biorecord, che consisteva nello stare nelle acque del lago di Monate (vicino a Varese) per quarantotto ore in uno spazio chiuso e con limitate possibilità di movimento, voleva mostrare come un animale marino viva in cattività. In acqua avevo uno spazio di soli dieci metri quadrati. Il paradosso era ovviamente quello per cui, pur avendo un intero lago a disposizione, non ne godevo. Volevo dare una testimonianza concreta dell’assurdità della libertà violata.
Cosa hai vissuto in quei momenti?
La situazione era completamente distorta. Questa volta era l’uomo, a terra, ad osservare un altro uomo, in acqua, che si trovava appunto nella condizione di un animale in cattività. L’esperienza, anche se bellissima per il sostegno da parte della gente, mi ha fatto sentire davvero come se mi esibissi in un delfinario. Sono diventato una sorta di oggetto. Alla lunga, quando la stanchezza cominciava a farsi sentire e si andava verso il record, sempre più persone venivano a vedermi e a pormi molte domande, che, poi, erano sempre le stesse: “fammi vedere le mani e i piedi”, “come fai a mangiare e a bere?”, “chi te lo fa fare?”. Ripetevo uno spettacolo, esattamente come accade nei delfinari. Era assolutamente stancante e frustrante, ancor più dell’attività stessa. Vivevo stressato. E la stessa cosa è avvenuta anche per il secondo record, in cui sono rimasto in acqua per cinquanta ore. Pensare di stare lì per sempre è atroce, si può davvero diventare pazzi.
Com’è nata l’idea del Biorecord come manifesto in difesa degli animali in cattività?
Desideravo comunicare qualcosa di importante alle persone ma non sapevo come. Quando avevo deciso di stabilire il primo record ho cominciato ad allenarmi tante ore in piscina, dodici ore al giorno in acqua. Una cosa frustrante: una cosa da...acquario! Mi sono sentito come se un delfino mi avesse detto: “ecco, ora capisci cosa significa?”. Lì ho avuto un’intuizione e ho deciso di stabilire il record non più in una piscina ma in acque libere recintate in modo da tentare di rendere evidente la scelleratezza delle azioni umane.
Pensi che il messaggio sia arrivato alle persone che hanno assistito al record?
Il Biorecord è nato per questo e nessuno, almeno non intorno a Varese, aveva mai ricevuto questo messaggio con un linguaggio diverso. Devo riconoscere che la gente non si mostra molto interessata ai discorsi complessi e profondi, in genere rimane sulla superficie, sia dell’acqua sia delle cose. Io non potevo urlare, il messaggio era più sottile ed era rivolto a tutti coloro che avevano già un certo tipo di sensibilità. Mi sono rivolto anche ai bambini promuovendo anche, in concomitanza, la campagna “Let me free” con magliette e gadget sui quali c’era l’immagine di un delfino che ritornava ad essere libero.
Qual è la nostra responsabilità davanti a queste ingiustizie?
Tutti dovrebbero riflettere, almeno tutti coloro che sono andati in un delfinario o in un acquario. Da piccolo sono andato a vedere alcuni spettacoli e non mi accorgevo di nulla, non pensavo che i delfini potessero soffrire così tanto. Quando ho realizzato è stato durissimo e col senno di poi mi sono sentito in colpa. L’informazione è fondamentale: sapere l’inferno che passa un delfino per arrivare in quei luoghi è di fondamentale importanza. Bisogna quindi informare. Se tutti sapessero, l’affluenza ai delfinari crollerebbe. Nel momento in cui viene prelevato dal suo stato selvaggio, un animale subisce il percorso più terribile, viene privato di tutte le sue qualità e spezzato per sempre nello spirito. Non c’è da stupirsi dei casi in cui un’orca attacca l’addestratore perché è assolutamente evidente che un’orca non possa vivere in quegli spazi angusti.
E cosa è successo dopo che hai aperto gli occhi?
Ho assolutamente voluto fare quanto segue. Mi sono recato in un delfinario e ho chiesto, come persona del pubblico, di poter interagire con i delfini. Ho finto questo desiderio per potermi avvicinare a loro. Quando mi sono trovato vicino ad un delfino tanto da poterlo toccare gli ho chiesto scusa perché avevo abusato della loro bontà e che da quel momento mi sentivo pronto a fare il Biorecord per loro. I delfini sono molto empatici e telepatici e spero che il delfino a cui ho chiesto scusa mi abbia ascoltato. E’ stato un momento forte. La differenza fondamentale tra ciò che ho fatto nel record e la vita degli animali in cattività è che io ho scelto di stare dove stavo: un animale non lo sceglie. Dobbiamo metterci nei panni degli animali che vengono presi a forza e sostanzialmente gettati in una vasca da bagno visto che gli spazi in cui essi vivono allo stato brado sono vastissimi anche rispetto alla più grande vasca di un delfinario.
Cosa vuoi dire ai genitori che portano i propri figli nei delfinari e negli acquari?
Quello che voi fate è di far divertire vostro figlio senza informarvi e senza renderlo consapevole. Non vi chiedete perché il delfino stia lì, non vi chiedete se anche voi siete disposti a ripetere ossessivamente e fino alla fine dei vostri giorni esercizi sempre uguali dopo essere stati strappati da un oceano che fino a poco prima vi dava vita e famiglia. Cercate di informarvi ed informare il vostro bambino in modo che capisca fin da subito quanto accade. Andate a guardare i delfini in libertà, è molto più emozionante godere di quei pochi secondi in cui loro decidono di mostrarsi ai vostri occhi.
Intervista a cura di Francesca Fugazzi
Per chi desiderasse mettersi in contatto con Riccardo - primatista mondiale di permanenza in acqua in galleggiamento - per attività educative o sportive sempre in un’ottica di rispetto della natura, lui è presente su Facebook in questo profilo o su Twitter @riccardoH2O
Per chi volesse approfondire la tragica situazione dei delfinari e fare qualcosa in merito può informarsi leggendo
Non c'è niente, da fare, ogni volta che leggo un articolo scritto da Francesca, mi emoziono, e inizio a sognare a occhi aperti, perché le verità che dice - e il come le dice - rendono tutto così apparentemente facile da raggiungere, che l'entusiasmo e la voglia di farle sapere in giro, a quante più persone possibile, a tutti, è davvero tanta. Perciò, ecco che ho colto al volo l'occasione di postare un'altra stupenda intervista fatta da Francesca a un personaggio eccezionale, che ha detto cose che non possono lasciare indifferenti (le sottolineature sono mie). Grazie Francesca. Grazie Riccardo.
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TUTTI POSSONO COMMENTARE, ANCHE IN FORMA ANONIMA! (EDIT 2018: HO CAMBIATO IDEA: ALMENO UN NOME IN FONDO AL COMMENTO E' GRADITO, PER NON DOVER RISPONDERE CON UN EHI, TU!). PER ANONIMO, SI INTENDE CHI NON E' ISCRITTO - PER QUALSIASI MOTIVO - AI FOLLOWER. Ma visto che è possibile il commento anche non iscritti, considero una forma di gentilezza scrivere almeno un proprio nome :) )
(EDIT 2 2018: qualsiasi messaggio che contenga pubblcità, promozioni, contenuti promozionali di carattere commerciale o finanziario, di qualsiasi tipo e genere, verrà immediatamente e automaticamente cancellato e gettato nel cestino dell'oblio. promoter avvisato...)
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