venerdì 13 marzo 2020

Quanto si divertivano




Che sia rispuntato questo raccontino delizioso di Isaac Asimov - direttamente dai ricordi di infanzia - proprio adesso, ti fa venire voglia di rileggertelo e poi di proporlo da leggere a tutti.






 Ti fa anche  ripensare a cose come serendipità e fascino del raccontare - che sembrerebbe, poi una prerogativa degli homo sapiens - la condividiamo probabilmente anche con altranimali -  anche se a volte indulgiamo in narrazioni cupe, opprimenti - quando magari sono 'narrazioni' sociali, ma è un discorso che ci porterebbe altrove e lontano.

Ecco, questa, invece, è una narrazione che ha tutto di ottimista, di positivo. Una paginetta, appena - tanto che la prima volta che lo hai letto andavi alle scuole medie, e il raccontino era nella antologia di italiano! - con pochi personaggi, tratteggiati con poche parole ciascuno - o nessuna, guarda caso i due protagonisti, i bambini. Mentre quello che per un verso potrebbe essere considerato il personaggio negativo - il maestro meccanico - è descritto con dovizia di dettagli, per come è fatto, l'aspetto che ha, le cose che fa e come le fa, le cose che dice. Credi che non sia un caso. E non è importante che - sotto numerosi punti di vista tecnici, Asimov non si sia neanche avvicinato a come è davvero un robot oggi, o come si può studiare a distanza - una cosa che in questi giorni sembra essere diventata importantissima e le prestano attenzione anche persone che prima non la consideravano in alcun modo - persone che dovrebbero amministrarci.

Isaac Asimov stesso, in un suo articolo sulla "fantascienza in generale" ha infatti ben scritto che "Pensare però che questo aspetto profetico della fantascienza, questa facoltà di prevedere certi particolari sia il fatto più notevole di questo genere di narrativa, serve soltanto a svilire il settore" (da 'Il mio punto di vista', nell'antologia Urania Blu 'Guida alla fantacienza. 55 saggi critici' di Isaac Asimov, pubblicata da Mondadori nel 1981. Insomma, non è nella capacità di previsione che sta il valore della fantascienza, ma nella sua capacità di mettere in discussione le cose che noi tutti diamo per scontati, ogni giorno e a livello sia individuale che sociale.


Quello che è il nocciolo del racconto, non ha a che fare quindi con l'esattezza della tecnologia, ma con le implicazioni di questa. Il divertimento dei bambini nel ritrovarsi tutti insieme a scuola, per imparare su libri di carta da un essere umano adulto - come accadeva nel passato della piccola Margie di 11 anni - è la esemplificazione di quello che è vivere insieme, di condividere significati, esperienze, luoghi, tempo, emozioni, conoscenze. Più in esteso, è facile per un antispecista allagare il cerchio, fino ad aprire la condivisione e la comunanza anche ad animali non umani - e con le stesse modalità, per lo meno dal punto di vista del rispetto, quando non dell'amicizia e della collaborazione - ma di sicuro non come le attuali, basate su prepotenza, violenza, sistematica distruzione.

Comunque, tu lo hai messo anche come passatempo, in questi lunghi 'pesanti' giorni di quarantena.
Quindi, leggetevi il racconto, speri che vi piaccia.




Quanto si divertivano  - Isaac Asimov
Margie lo scrisse perfino nel suo diario, quella sera. Sulla pagina che portava la data 17 maggio 2157, scrisse: “Oggi Tommy ha trovato un vero libro!” Era un libro antichissimo. Il nonno di Margie aveva detto una volta che, quand’era bambino lui, suo nonno gli aveva detto che c’era stata un’epoca in cui tutte le storie e i racconti erano stampati su carta. Si voltavano le pagine, che erano gialle e fruscianti, ed era buffissimo leggere parole che se ne stavano ferme invece di muoversi, com’era previsto che facessero: su uno schermo, è logico. E poi, quando si tornava alla pagina precedente, sopra c’erano le stesse parole che loro avevano già letto la prima volta 
– Mamma mia, che spreco – disse Tommy. – Quando uno è arrivato in fondo al libro, che cosa fa? Lo butta via, immagino. Il nostro schermo televisivo deve avere avuto un milione di libri, sopra, ed è ancora buono per chissà quanti altri. Chi si sognerebbe di buttarlo via? 
– Lo stesso vale per il mio – disse Margie. Aveva undici anni, lei, e non aveva visto tanti telelibri quanti ne aveva visti Tommy. Lui di anni ne aveva tredici. 
– Dove l’hai trovato? – gli domandò, 
– In casa. – Indicò lui senza guardare, perché era occupatissimo a leggere. – In solaio. 
– Di cosa parla? 
– Di scuola. 
– Di scuola? – Il tono di Margie era sprezzante. 
– Cosa c'è da scrivere, sulla scuola? Io la scuola la odio. 
Margie aveva sempre odiato la scuola, ma ora la odiava più che mai. L’insegnante meccanico le aveva assegnato un test dopo l’altro di geografia, e lei aveva risposto sempre peggio, finché la madre aveva scosso la testa, avvilita, e aveva mandato a chiamare l’Ispettore della Contea. Era un omino tondo tondo, l’Ispettore, con una faccia rossa e uno scatolone di arnesi con fili e con quadranti. Aveva sorriso a Margie e le aveva offerto una mela, poi aveva smontato l’insegnante in tanti pezzi. Margie aveva sperato che poi non sapesse più come rimetterli insieme, ma lui lo sapeva e, in poco più di un’ora, l’insegnante era di nuovo tutto intero, largo, nero e brutto, con un grosso schermo sul quale erano illustrate tutte le lezioni e venivano scritte tutte le domande. Ma non era quello il peggio. La cosa che Margie odiava soprattutto era la fessura dove lei doveva infilare i compiti e i testi compilati. Le toccava scriverli in un codice perforato che le avevano fatto imparare quando aveva sei anni, e il maestro meccanico calcolava i voti a una velocità spaventosa. L’ispettore aveva sorriso una volta finito il lavoro, e aveva accarezzato la testa di Margie. Alla mamma aveva detto: 
– Non è colpa della bambina, signora Jones. Secondo me, il settore geografia era regolato male. Sa, sono inconvenienti che capitano, a volte. L’ho rallentato. Ora è su un livello medio per alunni di dieci anni. Anzi, direi che l’andamento generale dei progressi della scolara sia piuttosto soddisfacente. – E aveva fatto un’altra carezza sulla testa a Margie.
Margie era delusa. Aveva sperato che si portassero via l’insegnante, per ripararlo in officina. Una volta s’erano tenuti quello di Tommy per circa un mese, perché il settore storia era andato completamente a pallino. Così, disse a Tommy: – Ma come gli viene in mente, a uno, di scrivere un libro sulla scuola? 
Tommy la squadrò con aria di superiorità. – Ma non è una scuola come la nostra, stupida! Questo è un tipo di scuola molto antico, come l’avevano centinaia e centinaia di anni fa. – Poi aggiunse altezzosamente, pronunciando la parola con cura. – Secoli fa. 
Margie era offesa. – Be’ io non so che specie di scuola avessero, tutto quel tempo fa. – Per un po’ continuò a sbirciare il libro, china sopra la spalla di lui, poi disse: – In ogni modo, avevano un maestro? 
– Certo che avevano un maestro, ma non era un maestro regolare. Era un uomo. 
– Un uomo? Come faceva un uomo a fare il maestro? 
– Be’, spiegava le cose ai ragazzi e alle ragazze, dava da fare dei compiti a casa e faceva delle domande. 
– Un uomo non è abbastanza in gamba. 
– Sì che lo è. Mio papà ne sa quanto il mio maestro. 
– Ma va’! Un uomo non può saperne quanto un maestro. 
– Ne sa quasi quanto il maestro, ci scommetto. Margie non era preparata a mettere in dubbio quell’affermazione. Disse. – Io non ce lo vorrei un estraneo in casa mia, a insegnarmi. Tommy rise a più non posso. – Non sai proprio niente, Margie. Gli insegnanti non vivevano in casa. Avevano un edificio speciale e tutti i ragazzi andavano là. 
– E imparavano tutti la stessa cosa? 
– Certo, se avevano la stessa età. 
– Ma la mia mamma dice che un insegnante dev’essere regolato perché si adatti alla mente di uno scolaro o di una scolara, e che ogni bambino deve essere istruito in modo diverso. 
– Sì, però loro a quei tempi non facevano così. Se non ti va, fai a meno di leggere il libro. 
 – Non ho detto che non mi va, io – sì affrettò a precisare Margie. Certo che voleva leggere di quelle buffe scuole. Non erano nemmeno a metà del libro quando la signora Jones chiamò: – Margie! A scuola! 
Margie guardò in su. – Non ancora, mamma. 
– Subito! – disse la signora Jones. – E sarà ora di scuola anche per Tommy, probabilmente. Margie disse a Tommy: – Posso leggere ancora un po’ il libro con te, dopo la scuola? 
– Vedremo – rispose lui con noncuranza. Si allontanò fischiettando, il vecchio libro polveroso stretto sotto il braccio. Margie se ne andò in classe. L’aula era proprio accanto alla sua cameretta, e l’insegnante meccanico, già in funzione, la stava aspettando.
Era in funzione sempre alla stessa ora, tutti i giorni tranne il sabato e la domenica, perché la mamma diceva che le bambine imparavano meglio se imparavano a orari regolari. Lo schermo era illuminato e stava dicendo – Oggi la lezione di aritmetica è sull’addizione delle frazioni proprie. Prego inserire il compito di ieri nell’apposita fessura. 
Margie obbedì con un sospiro. Stava pensando alle vecchie scuole che c’erano quando il nonno di suo nonno era bambino. Ci andavano i ragazzi di tutto il vicinato, ridevano e vociavano nel cortile, sedevano insieme in classe, tornavano a casa insieme alla fine della giornata. Imparavano le stesse cose, così potevano darsi una mano a fare i compiti e parlare di quello che avevano da studiare. E i maestri erano persone... 
L’insegnante meccanico stava facendo lampeggiare sullo schermo: – Quando addizioniamo le frazioni 1/2 + 1/4... 
Margie stava pensando ai bambini di quei tempi, e a come dovevano amare la scuola. Chissà come si divertivano!, pensò.


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