Isaac Asimov, nato Isaak Judovič Azimov Исаáк Ю́дович Ази́мов |
Cento anni fa l'altro giorno (il 2 gennaio), nasceva lo scrittore di fantascienza più famoso di sempre: anche chi non legge (o non leggeva fantascienza), conosce Isaac Asimov. Tu lo leggevi, con grande divertimento e anche grande ammirazione, avidamente, da ragazzino. I suoi libri erano finestre senza tempo - o in un tempo relativistico, quando tutto è vicino a tutto e il passato remoto è una prospettiva impensabile, specialmente perché sei un ragazzino che ha pochi anni alle spalle e non conosce nulla del mondo.
Il ciclo della Fondazione, dal respiro millenario, era un affresco di proporzioni galattiche, dove le azioni di alcuni individui si stagliavano sui movimenti tellurici di miliardi di abitanti, che - come correnti e turbolenze in un'atmosfera - 'causano' la storia degli eventi collettivi.
Il ciclo dei Robot, due libri di racconti per esplorare tutte le implicazioni e tutte le aporie delle Tre Leggi della Robotica. Erano un escamotage letterario, di fatto concepito come generatore di spunti da sviluppare in altrettanti racconti; sono diventate un vero e proprio concetto filosofico, una epistemologia della robotica, un guida operativa per progettare, oggi, i 'veri' robot - soprattutto la loro parte elaborativa-esplorativa.
Anche se, al momento, le tre leggi non riescono a essere efficaci. Il loro maggior valore investe piuttosto l'istanza di un uso etico della tecnologia. Il che, diresti, non è poco, ma è sempre più cruciale. Come scrivevi in un post recente: "
le tre leggi contengono molta più filosofia ed etica di quel che sembrerebbe a prima vista; e quell'etica, ti piacerebbe vederla allargata anche ad animali che non siano per forza umani)...".
Quel che manca, infatti, è una prospettiva che potresti chiamare 'oltre umana', cioè, letteralmente, oltre-gli-esseri-umani; quindi, una prospettiva non specista. Se costruiremo robot attenti solamente agli esseri umani, perderemo l'ennesima occasione di cambiare il nostro modo di vedere gli altri animali e il pianeta e di agire di conseguenza - con l'idea, cioè, di essere soli, o - almeno - di essere i soli che hanno importanza. Questa smemoratezza antropocentrica è fallace sotto molti aspetti ed è soprattutto dannosa nei confronti degli individui nonumani che insieme a noi sono gli abitanti dell'unico pianeta davvero ospitale per la vita - per quel che ne sappiamo, e comunque di sicuro a livello pratico entro l'orizzonte delle concrete possibilità - nell'intero universo.
Sono proprio i robot asimoviani - specialmente quello presente nel famoso racconto "L'uomo bicentenario" - da cui è stato tratto un film a tuo parere riuscito - che portano l'uomo oltre la soglia del solipsismo antropocentrico, nel momento in cui carne e tecnologia si mescolano, si incastrano e si ibridano, sfocando il confine netto - una illusione - tra umano e robot. Manca un salto, da questa posizione, giocato su molti elementi che - in onestà intellettuale - si devono considerare condivisi anche con gli animali nonumani. Il modo di convivere, perciò, deve essere trovato.
Il ciclo dei Robot, due libri di racconti per esplorare tutte le implicazioni e tutte le aporie delle Tre Leggi della Robotica. Erano un escamotage letterario, di fatto concepito come generatore di spunti da sviluppare in altrettanti racconti; sono diventate un vero e proprio concetto filosofico, una epistemologia della robotica, un guida operativa per progettare, oggi, i 'veri' robot - soprattutto la loro parte elaborativa-esplorativa.
Anche se, al momento, le tre leggi non riescono a essere efficaci. Il loro maggior valore investe piuttosto l'istanza di un uso etico della tecnologia. Il che, diresti, non è poco, ma è sempre più cruciale. Come scrivevi in un post recente: "
le tre leggi contengono molta più filosofia ed etica di quel che sembrerebbe a prima vista; e quell'etica, ti piacerebbe vederla allargata anche ad animali che non siano per forza umani)...".
Quel che manca, infatti, è una prospettiva che potresti chiamare 'oltre umana', cioè, letteralmente, oltre-gli-esseri-umani; quindi, una prospettiva non specista. Se costruiremo robot attenti solamente agli esseri umani, perderemo l'ennesima occasione di cambiare il nostro modo di vedere gli altri animali e il pianeta e di agire di conseguenza - con l'idea, cioè, di essere soli, o - almeno - di essere i soli che hanno importanza. Questa smemoratezza antropocentrica è fallace sotto molti aspetti ed è soprattutto dannosa nei confronti degli individui nonumani che insieme a noi sono gli abitanti dell'unico pianeta davvero ospitale per la vita - per quel che ne sappiamo, e comunque di sicuro a livello pratico entro l'orizzonte delle concrete possibilità - nell'intero universo.
Sono proprio i robot asimoviani - specialmente quello presente nel famoso racconto "L'uomo bicentenario" - da cui è stato tratto un film a tuo parere riuscito - che portano l'uomo oltre la soglia del solipsismo antropocentrico, nel momento in cui carne e tecnologia si mescolano, si incastrano e si ibridano, sfocando il confine netto - una illusione - tra umano e robot. Manca un salto, da questa posizione, giocato su molti elementi che - in onestà intellettuale - si devono considerare condivisi anche con gli animali nonumani. Il modo di convivere, perciò, deve essere trovato.
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