Noi animali umani non sappiamo (più) 'vivere (nel)la morte'.
In un certo senso, viviamo come in un eterno presente. Solo dopo la morte di chi ci è stato vicino, il tempo riacquista profondità, insieme con i ricordi, i rimpianti, le omissioni, le imprese.
Grazie alla segnalazione di un amico, Luca S., ti sei procurato questo libriccino, scritto da Raffaele Mantegazza, che - nei suoi studi e attività - compie riflessioni sulla nascita sulla morte nel XXI secolo - però in chiave animalista e antispecista.
Questo libro è un invito a dare un volto a milioni di morti
anonime, a fare della morte un oggetto domestico. L'animale di partenza è il cane. Perché è col cane che soprattutto e più frequentemente facciamo di nuovo esperienza con la morte, del lutto, della scomparsa e - speculare - con la ripresa della vita per chi rimane qui.
Bisogna sapere che i tre quarti dei cani - secondo il libro ci sono 900 milioni di cani sul
pianeta - vivono come ‘free range
dogs’. Solo il quarto rimanente vive nell'Occidente come il nostro e - nel bene e forse soprattutto nel male - viene trasformato in animale domestico e poi in pet.
Ogni discorso sulla morte perciò non può che prtire da lui, dal cane: anzi, dai cani, i cento, mille cani con cui incrociamo la nostra stessa esistenza.
Il libro si articola in un buon numero di capitoli, ciascuno dei quali affronta un problema cruciale nel rapporto cane-umano; la malattia, la disabilità, la vecchiaia; gli animali e la guerra; l'uomo datore di morte; l'uomo e la sofferenza animale; l'uomo davanti alla morte dell'animale; la memoria dell'amico perduto; i bambini; la morte animale e la morte umana.
Un libro breve ma denso, densissimo, sul quale stai pensando di ritornare più avanti nel dettaglio, perché ciascuno di questi aspetti merita di venire approfondito e ti vuoi prendere lo spazio e il tempo necessari.
Qui, ti basta dire i pensieri e le emozioni che il libro ti suscitato. Hai fatto esperienza più volte con la morte, ma anche la malattia e la disabilità e la vecchiaia dei cani - cercando nel frattempo sempre più di imparare a vedere il cane, il 'chi' singolare che sta di fronte a te. Nella nostra società, l'animale malato o disabile, tuttavia, rimane animale 'sbagliato', da usare come termine dispregiativo, dal quale allontanarsi. La disabilità e la vecchiaia sono difficili, i ritmi dei giorni cambiano, tutto si deve riorientare intorno alla sofferenza da sostenere.
Bisognerebbe fare come Don Chisciotte con Ronzinante. Il nobile folle cavaliere non vede i difetti del suo cavallo e seguace del nomen-omen, lo chiama con il nome
che lo rende cospicuo: la deficienza, nel ronzino più cospicuo del mondo, diventa qualità identificativa
assoluta.
Il rapporto con l’animale domestico - che vive in casa, che ha attraversato un adattamento all'umano - dovrebbe essere fatto di rispetto,
spazi, tempi, abituazione reciproca, ridefinizione tramite l’olfatto, senso
spaziotemporale della lentezza e della prossimità.
In realtà, il corpo dell’animale, penetra nella vita umana, così da
rimodularla e toglierle comportamenti ovvi: c'è diversa consapevolezza corporea – nei gesti,
mimica, movimenti.
Infine, il momento della morte dell’animale porta all’inutile
rimorso, a pensare agli istanti finali che potevano essere il compimento di
tutta una vita. I giorni perduti, gli ultimi attimi, la presenza a fianco
dell’animale nel momento dell’invecchiamento. Sai benissimo che cosa sono questi sentimenti, perché li hai attraversati: in qualche modo, pensi che siano (anche) un modo contorto e forse autolesionista per desiderare un ritorno di chi non c'è più, per poter avere un poco più di tempo per stare insieme.
Tutte queste cose Mantegazza le scrive all'inizio, sono dei chiari punti fermi. Da cui poi si prosegue, con anche affermazioni che si possono opinare - ed ecco perché vuoi tornare a parlare dei contenuti, un poco alla volta: i collegamenti sono tantissimi e sarebbe bello che tu riuscissi a meterli in luce.
Per concludere, però vale la pena riportare un altro pensiero cardinale del libro.
Esiste una continuità tra natura e cultura: l’uomo è un
animale che per sua natura genera cultura. La cultura dovrebbe servire all’uomo
per cercare di vivere in modo da credere di essere stato un buon animale (Th.
W. Adorno – Dialettica Negativa).
L'uomo, invece si comporta come Odisseo nei confronti del vecchio Argo. Per l'uomo tutto è più importante del vecchio cane: i viaggi, le esplorazioni, gli intrighi - e così, in questa vuota pienezza dei giorni vissuti, uomo non compie mai il passo verso l'animale, non ne vede l'esistenza, non prova commozione, non si cura di quello.
Questo è l'atteggiamento che dovremo smontare e sostituire - al più presto possibile - se vogliamo che le cose, sul nostro unico pianeta, possano iniziare a essere diverse.
Un commento così bello, ricco e profondo inserito il giorno del mio compleanno...che bel regalo involontario!
RispondiEliminaChiedo scusa, sono Raffaele Mantegazza
EliminaBe', allora auguri, per prima cosa! :) MI fa piacere che il commento sia piaciuto. è davvero un libro che mi tocca nel profondo, oltre ad avere tantissimi agganci e nodi verso altri argomenti. Ci voglio tornare su. Anzi, mi piacerebbe fare una intervista con l'autore! adesso che ci penso :)
EliminaQuando vuole
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