sabato 22 febbraio 2020

Il richiamo della foresta, il film del 2020



Sei andato a vederlo, venerdì pomeriggio -l'ora dei film per bambini, pensavi, invece in sala c'eri solamente tu, incredibile! - eri sinceramente attratto e incuriosito da questa ennesima trasposizione del racconto lungo di Jack London, che ha lo stesso titolo: Il richiamo della Foresta. Anzi, The call of the wild.




 La storia raccontata da London filava dritta come una slitta su una pista ben battuta e su questa pista - che poi era la vita - si susseguivano umani, cani, situazioni, pericoli, occasioni, gioie, dolori, morti, fino al traguardo finale, dove la libertà per se stessi, l'inebriante respiro selvaggio esplode finalmente nel petto di Buck, che ha il coraggio - però - di seguirlo e di assecondarlo, senza più voltarsi indietro.
Questo film, che ne è secondo te fedele nella sostanza, si costruisce però su diversi significativi cambiamenti: la pista non è più dritta, ma fa delle deviazioni, delle soste, dispiega mappe delle relazioni tra le persone e del passato, forse non sempre indispensabili - il racconto di London dimostra anche che il caso sovrasta tutte le vite, mentre in questa versione filmica esistono correlazioni, rimandi, ritorni e morali, tra i personaggi, tanto canini quanto umani.

Cara Gee / Francoise

Omar Sy / Perrault



Sono quindi degli errori? No, si tratta semplicemente di adeguamenti allo spirito dei tempi: che non vogliono più la crudeltà (di)mostrata, specialmente sugli animali (con non piccola ipocrisia), che vogliono sempre raccontare i punti di vista di umani che non sono maschi, o bianchi - anche in contesti dove, data l'epoca della storia, è assai improbabile che potessero ricoprire i ruoli che qui invece hanno. 
Questo di per sé non ti ha infastidito, però, solamente incuriosito. Del resto, la coppia Perrault (qui uomo di colore) e Francoise, donna indiana (che nel libro è Francois ed è maschio) è la seconda presenza umana per importanza, dopo il John Thornton di Harrison Ford - e il duo di personaggi con cui i cani e Buck per primo interagiscono nei molti modi in cui queste interazioni sono possibili - al netto di un paio di lezioni di morale appiccicata secondo te in modo un poco incongruo.
Proprio Thornton, pur essendo nella sua essenza il personaggio che agisce nel testo di London, qui viene rielaborato, gli viene dato un passato e un tormento interiore, delle sofferenze esistenziali che ne fanno un eremita, piuttosto che un cercatore d'oro. 
Ci sono solo tre umani davvero spregevoli, sulle piste del Grande Nord, due di essi non durano molto e il terzo è l'unico antagonista, ma non proprio credibile, né davvero temibile - piuttosto è viscido, opportunista, crudele, egoista e approfittatore, ma non per questo è meno capace di di danneggiare persone e animali, anche in modo letale, ma farà la fine che si merita, tutto sommato.
Se per tutto il film, ferocia e crudeltà vengono solamente indicate e suggerite e mai esplicitate o portate davvero a compimento (in nessuna situazione di lotta sia tra cani che tra cani e umani, per tutta la durata del film), la storia di amore, amicizia, dedizione reciproca tra Buck e Thornton è invece autentica ed è per intero presente nel libro - anche se in modo più essenziale e diretto, senza che venga sentito il bisogno di raccontare il passato di Thornton o attardarsi sulla sua psicologia - forse anche queste sono soluzioni molto apprezzate nelle scelte delle sceneggiature contemporanee, come se un personaggio non riuscisse a spiegarsi semplicemente attraverso le sue azioni e avesse bisogno di farci conoscere la sua vita passata per essere da noi amato e interessante.



E, qui, comunque c'è la parte più bella del film, che fa il paio con le relazioni tra cani quando c'è la parte di racconto con Perrault e Francoise: cioè, i cani e - appunto - le loro interrelazioni, le sensazioni, i sentimenti e le emozioni, i modi in cui comunicano tra loro e con gli umani. Devi dire che - tra i molti comportamenti mostrati - sono molto più canini proprio quelli che chi non conosce i cani direbbe che sono forzature umanizzanti, ed è stato per te delizioso vederli in immagine, insieme con i linguaggi dei corpi, a tuo parere ben raccontati e resi visibili - al netto di un paio di azioni e scelte e posture, quelle sì davvero troppo umane - e sfidi chi vedrà il film a scoprire queste differenze. Cioè: i cani sono proprio così, creano comunanza reciproca, la rendono quasi una presenza concreta, che si può toccare, e che collega tutti gli individui che ne entrano a far parte. Anche i contrasti, le rivalità, le lotte, ne fanno parte. Fosse dipeso da te, avresti fatto tre quarti del film esclusivamente su queste interazioni! Avresti voluto vedere di più delle loro storie, scoprire di più delle loro vite e dei loro personali caratteri (qui sì che giudicheresti davvero importante e necessario un lavoro di contestualizzazione e messa in prospettiva dei personaggi), anche perché alcuni di loro sono incredibilmente belli e espressivi - la bellezza in un cane è tuttavia una cosa diversa da quella che noi pensiamo e a volte non potrebbero essere più opposte le due realizzazioni di bellezza  Così come avresti voluto più lupi,  molti più lupi - e più a lungo sullo schermo. Le rare volte che appaiono, sono davvero allo stesso tempo elusivi e potenti, sono liberi e seducenti, sono implacabili e fragili. In loro - nei loro corpi, nelle loro posture, nei loro movimenti, nelle loro comunicazioni - vedi proprio cosa ci sia nel fondo di ogni cane, che aspetta di poter emergere - e che invece nella nostra società rimane troppe volte sommerso, diluito, potato, impedito. O meglio, in ogni cane puoi vedere in controluce il lupo - che è il desiderio fisico e insopprimibile di libertà - ma questo lupo, nei cani di oggi viene dagli umani anche troppo e troppo spesso rinnegato, censurato, abortito. Questa parte - il richiamo della libertà e la vertigine che riesce a dare l'abbandonarsene senza filtri e nel pieno della naturalità - è molto presente e raccontata nel testo di London - e anche solo per questa ragione, avrebbe meritato maggior approfondimento nel film.

Sì, certo, lo sai benissimo che nessun cane sullo schermo - o nessun lupo, o altro animale - esiste davvero: è stato  detto fin da subito, come punto di forza del lancio del film, che ogni animale è stato creato con la CGI. Gli opposti si toccano: il massimo della costruzione tecnologica, il filtro più allontanante possibile dalla realtà dei corpi e dei respiri - che mette in scena e rende visibile la sfumatura ineffabile proprio del respiro e dei corpi, con un livello di attenzione che in questo caso hai trovato apprezzabile - anche se ci sono momenti un po' discutibili.



Per finire: un richiamo della foresta attuale sul serio, non sarebbe tanto quello realizzato, dove nessun animale viene davvero maltrattato, dove ci sono personaggi protagonisti di colore o donne - per di più non bianche - quanto quello dove davvero sarebbero al centro le storie dei cani e dei lupi e degli altri animali - ci sono anche orsi, alci, lepri che appaiono in modo letteralmente fugace.
Perché queste storie sono i punti di vista di altri abitanti su questo pianeta, insieme a noi nel 'selvaggio', dove la libertà esplode con tutta la sua forza, ci sfida ma allo stesso tempo ci inonda di tutta la forza della realtà e delle sensazioni, che chiamano alla azione del vivere. Il mondo dei cani, la visione che i cani hanno del mondo - così come ce l'hanno i lupi, gli alci, gli orsi - è sì altra, è diversa e per noi anche inarrivabile (pensi al mondo chimico degi odori) ma è ugualmente complessa e stratificata di quella degli umani - e sarebbe per noi bello e liberatorio - ma non occorre cercare delle utilità - finalmente lasciarla raccontare da loro - sia pure attraverso un 'interprete', un traduttore per renderela intelligibile.  
London lo aveva fatto forse molto meglio di qualsiasi film successivo alla pubblicazione del suo romanzo: il richiamo della foresta -anzi, del selvaggio- è il punto di vista e la mente e l'emozione di un animale non umano, che scoppia di vita e che cerca la libertà a qualsiasi costo.

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