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mercoledì 13 settembre 2017

Libertà è una passeggiata sguinzagliata





Senza raccontare l'intero percorso di meditazioni negli anni che mi ha portato a pensare come penso adesso (dal primo cane fino a oggi): direi che la gioia della libertà, del poter disporre del proprio corpo, della propria volontà, dei propri spazi, progetti, desideri, richiami, sogni, curiosità estemporanee, capricci, sia la cosa in assoluto più preziosa della vita - perché è unica, come la vita. 
Con molta titubanza, provo perciò, sempre di più, a far vivere in libertà spazi ai cani che abitano con me. 
Noto alcune cose: che tornano sempre; che sanno dove e come girare; che amano girare liberi, anche lontani da me; che quando al ritorno mi rivedono scoppiano di felicità; che non riesco a sentirmi preoccupato - non troppo! ;) - e che non so cosa farei se non tornassero...


Anche io non la vivevo bene, e nemmeno adesso posso garantire che sarei sempre e comunque sereno. cerco di rilassarmi, cerco di mettermi in condizione di serena attesa, ho fiducia in loro.
Penso che svincolarsi dalle ansie sia complesso e lungo; credo che uno dei primi passi per svincolarsi dalle ansie - che sono trappole per chi le vive e per chi le subisce - sia proprio saper dare fiducia all'altro, saper dare a se stessi l'equilibrio sufficiente per darsi fiducia così tanto da saper dare a nostra volta fiducia a chi vive vicino a noi, insieme a noi.
Non è semplice: non lo è per me, oggi è meno difficile di ieri, o dell'anno scorso, o di cinque, dieci anni fa. Sia il darmi fiducia, sia il dare fiducia.

Per quel che ha a che fare con i cani (quelli che hanno vissuto o vivono con me), in qualche modo, ho sempre pensato che fosse una cosa da fare: un mio dovere; poi, un mio essere loro amico. All'inizio, lo pensavo senza saperlo, lo pensavo in modo inconsapevole, lo pensavo in modo casuale e inaspettato; man mano, sto cercando di pensarlo -  e di praticarlo - in modo sempre più chiaro, sempre meno spaventato (anche). 

Ecco, aggiungo un tassello a questa fiera dell'est di pensierini cinofilosofici in libertà (cercate la pagina feisbucchiana della cinofilosofia), nati dalla domanda per coloro che liberano i cani dal guinzaglio: "voi, come la vivete?". 

Aggiungo: 
...farsi coraggio, 
per togliersi le paure, 
per darsi equilibrio, 
per darsi fiducia, 
per dare fiducia, 
per stare insieme...
nella passeggiata libera che presto farò


sabato 18 febbraio 2017

Empty Cages - Tom Regan

...aprire e vuotare le gabbie...


Gabbie Vuote, di Tom Regan, nato il 28 novembre 1938, e morto il 17 febbraio 2017.

GABBIE VUOTE

Non c'è frase iconica più eloquente e potente di questa, pensi.
Perché è esplicita, circa l'obiettivo ultimo, unico, reale, sensato, finale, logico e obbligatorio, da raggiungere. Se le gabbie verranno svuotate - e ce ne sono di molti tipi, di gabbie; anzi - QUANDO le gabbie saranno vuote - solo allora potremo essere capaci di aprire per la prima volta vere relazioni con gli altri animali, ciascuno di loro.
'Relazioni' vs 'Gabbie. E anche: 'Sguardo' vs 'Movimento'.
Una relazione è autentica solo se è libera da vincoli - compresa la libertà di interromperla o di non iniziarla. Lo sguardo autentico, pure, si basa sulla reciprocità sullo scambio e deve essere mobile: la vita animale è soprattutto movimento. 
Poi, da queste quattro parole, il discorso si proietta vertiginoso in un flusso di prospettive e punti di vista articolati e complessi, almeno tanto quanto la questione dell'esistenza delle gabbie, che Tom Regan ha affrontato e argomentato.

Tu in questo post, vorresti limitarti a riferire una breve esperienza personale, a proposito delle gabbie.
Eri a un corso di educazione cinofila, tra volontari (eravate al Giardino di Quark). L'approccio zooantropologico, imperniato e focalizzato sulla relazione, si potrebbe dire quasi imponga, a chi lo segue, di mettersi letteralmente nei panni, nei corpi, degli individui che vuole conoscere: è un imperativo teorico e metodologico, un indispensabile e imprescindibile appello all'intelligenza empatica che ha il compito di far emergere, esaltandola e allenandola. Anche nella zooantropologia applicata si parla di libertà di relazione e libertà di espressione, perché si sa molto bene che spesso molte gabbie - e forse quelle più resistenti - sono invisibili: sono fatte di stereotipi mentali, di adesione irriflessiva a schemi, regole, divieti diktat. Coi cani questo avviene ogni giorno, tutti i giorni, un'azione coercitiva mascherata da affetto e cura, che rimane invisibile ai più.
I cani subiscono per primi la nostra sindrome di Stoccolma.

Perciò quel giorno, la zoomaestra ci mise in gabbia: saremmo entrati, come i cani quando arrivano al rifugio, al canile, in una gabbia. Una stanza sconosciuta, con odori sconosciuti, fatta di cose sconosciute, con viste sconosciute, magari con compagni di gabbia - anche loro sconosciuti.
Senza sapere perché ci dovessimo entrare, o perché ci trovassimo lì. Senza sapere quanto ci saremmo rimasti - forse per sempre. Senza sapere perché non potevamo andare liberamente nel prato che proprio di fronte a noi vedevamo, ma lontanissimo, perché separato dalle sbarre del cancello del box - una gabbia.

Da quel momento, appena si chiude il cancello dietro di te, tutto cambia: il tempo; le tue percezioni; i tuoi pensieri.
Il tempo si dilata e assottiglia fino a sparire, poiché il suo scorrere non ha quasi più senso né significato, se non per gli aspetti fisiologici, unico metro di paragone del fluire temporale. In questo tempo, sei solo tu col tuo corpo; o meglio: infine non hai altro che ascoltare e ascoltarti, osservare e osservarti che ti muovi, tu, corpo rinchiuso. Ti ascolti, ascolti il tuo respiro, annusi i tuoi odori. Registri ciò che gli occhi vedono e ciò che le orecchie sentono. Avverti il formicolio della pelle e il rizzarsi dei capelli in testa. Senti la consistenza delle superfici dove ti siedi o ti sdrai o cammini. Arrivi a dimenticarti chi eri,  come eri al di là del cancello, che per te, infatti, nemmeno esisteva, nemmeno era concepibile. I tuoi pensieri bagnano tutto il tuo corpo con idee di (in)sofferenza, desiderio di uscire, di tornare indietro. E anche: di poter mangiare, di poter dormire tranquillo, di poter pisciare e cacare non vicino al cibo e al letto e all'acqua. I tuoi pensieri scacciano i ricordi del prima e ti riplasmano - se la gabbia dura abbastanza a lungo.
Pensi: chi mi ha messo qui dentro? e quando? e perché? mi faranno uscire? tornerò libero? e cosa mi faranno? e questi qui dentro con me, chi sono? sono cattivi? o sono bravi? ... da quanto sono qui dentro? 
La gabbia sminuzza i tuoi pensieri e li reimpasta in una poltiglia fatta di frustrazione, incertezza, paura e una lunga noia insensata che sbadiglia dall'alba al tramonto, o che freme all'arrivo del cibo, o che preannuncia l'apertura del cancello in quel dato momento della giornata.
La gabbia diventa te, e tu ti uniformi ai suoi dettami.

Noi uscimmo, naturalmente: ma ormai avevamo potuto almeno sfiorare il punto di vista degli animali in gabbia. Adesso, quando incrociavo lo sguardo dei cani chiusi nei box, oltre all'affetto che cercavo di comunicargli, c'era anche la percezione forse più attenta alla loro ansia - sempre sottotraccia - di voler uscire e non vedere più quella gabbia 
(Per chiarire: il Giardino di Quark NON è un canile di gabbie sempre chiuse, anzi. Ne ho parlato, l'ho citato, perché quella preziosissima esperienza venne fatta lì).

Ecco, tutto questo Tom Regan lo ha reso eloquente per tutti, nel suo testo basilare, per la liberazione totale degli animali, per l'abolizione totale delle gabbie - tutte. Ci ha fatto capire perché è imperativo che le gabbie vengano svuotate e poi distrutte.

Molti non ci pensano, ed è paradossale: quando avremo finalmente il coraggio e l'empatia di liberare gli altri animali nostri prigionieri, saremo di nuovo liberi anche noi.
Perché? Leggete il libro...
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