mercoledì 19 febbraio 2020

Bruno Stivicevic, fotografo e giornalista



Lo trovi e lo incontri sempre, quest'uomo alto e asciutto, a ogni manifestazione, corteo o evento animalista a cui partecipi - tu vai tutto sommato davvero a molto pochi, lui invece, c'è a tutti.







Bruno Stivicevic è attivista e fotografo, appassionato e coinvolto fino in fondo.
Hai scoperto che ha un archivio vastissimo - una autentica memoria visiva dell'animalismo italiano, fin dagli anni Settanta del XX secolo - e la curiosità di saperne di più, andando oltre il cappellino e il grandangolo, è stata inevitabile. Volevi, per quanto possibile attraverso uno schermo, conoscere la persona, che ti raccontasse i suoi perché e le sue convinzioni. 
Così è stato: molto gentilmente, Bruno ha risposto a tutte le tue domande - nelle quali c'è l'intero suo punto di vista, che in buona parte condividi - e ti ha pure mandato splendide foto tratte dal suo pluriennale archivio. 
Adesso questi pensieri e queste foto sono qui da leggere.

           


D – Come, quando e perché è nata la passione per la fotografia?



Da sempre mi piaceva ‘documentare’ la vita, sia a parole (riempivo i diari anche prima di diventare giornalista), che a fotografie. Inizialmente, come tanti, mi limitavo agli avvenimenti domestici e vacanze, ma poi è arrivato l’animalismo ed è ccambiato tutto - mi sono concentrato quasi esclusivamente a documentare la lotta per la liberazione dei Popoli Animali.




D - Come, quando e perché sei diventato antispecista?

Devo precisare una cosa: non me la sento di darmi dell'antispecista: per esserlo, dovrei amare e rispettare anche l'Animale Umano, ma non ce la faccio - lo considero Disumano e invoco la sua estinzione. Penso che il Virus Disumano deve sparire perché questo mondo sfortunato possa ritornare a riprendersi un nome meno schifoso del "Manicomio Vomiterra". Tengo ben salda in mente la natura schiavista della specie Disumana. Non è una impressione estremista: è un dato storicamente provato, una inclinazione più che sottolineata dgli ottomila anni di storia scritta. Comunque sia: il mio passaggio da un mangiatore distratto a un combattente fervente è capitato assai tardi nella mia vita. Un giorno chiesi a Ivana: "Stiamo salvando i cani e facciamo bene, ma i pesci e i polli che colpa hanno?". Tutto è partito da quella domanda. La risposta era chiara: gli ingredienti di nostri pasti non avevano nessuna colpa, ma noi, invece ne avevamo tante. Prima di tutto essere indifferenti e distratti, di avere altre priorità. Che poi si sono rivelate facili da cambiare. Mio figlio, vegano etico e ambientalista, era il primo della famiglia. Nel corso di un paio di mesi nel 2010, Ivana e io siamo diventati vegani etici, seguiti dalla figlia di Ivana. Subito dopo è iniziato l'attivismo, prima nella LAV, poi contro Green Hill. Ma si andava dovunque c'era qualche protesta: Pinzolo e Trento per Daniza e altre vittime di assassini, Genova per i carcerieri marini e circensi, Pontida, Canzo, Seveso contro chi odia gli ucceli, a Forlì contro chi voleva conigli morti. Decine di volte a Montichiari, Roma, Firenze, Milano, Ivrea, Correzzana, Torino, Parma, per i torturatori in camice bianco, a Brescia per i compari con le doppiette; a Asti, Siena, Caresana, Asigliano, contro le tradizioni barbare.  In Spagna e Francia con il Basta Corrida Veg Tour contro la "tortura que no es tortura". Dovunque, contro i sostenitori di questo mondo marcio di dominazione bieca. Finora ho partecipato a quattrocento eventi animalisti, indetti da tantissime associazioni e gruppi. Visto che il nostro ménage casalingo negli anni cresceva (sei cani, cinque gatti, quattro oche), non si poteva lasciarli soli a lungo: Ivana continuava a sacrificarsi, rimanendo a casa ad accudire i nostri figli.




D -  Il tuo lavoro ti porta incessantemente in giro. Sei un fotografo sociale, direi. Quali sono gli aspetti dell'attivismo che attirano di più la tua attenzione e che vuoi fotografare?

Cerco di documentare la passione di lotta, lo scuotere di questo mondo fino a che non si rompa o non diventi empatico, di documentare le pressioni sui violenti che sfruttano QUALCUNO e non QUALCOSA, di sottolineare che è imperdonabile che gli appartenenti ai Popoli Animali Umani negano i diritti agli appartenenti ai Popoli Animali Non-Umani. Di riconoscere l'individualità di ogni Persona Animale. Anche nei testi che accompagnano ogni evento. Quando fotografo gli attivisti, cerco lo sguardo di chi si immedesima, piange di dolore o di rabbia, grida con voce rauca dalla gola arsa, chi sente le proprie ginocchia cedere perché il peso è troppo. Da bravo 'estremista' evito di fotografare gli svaghi, sorrisi, abbracci, segni di vittoria e altri rilassamenti. Preferisco documentare il dissenso, che credo sia l'unica sostanza di questa lotta disperata e impari. Un "documentare" diverso dal scattare le foto è il lavoro sull'Archivio dell'attivismo animalista in Italia, iniziato cinque anni fa. In data oggi contiene più di 17mila eventi e notizie e documenti che partono dal 1979, più di 83mila foto, screenshot, video e articoli di stampa, più di 300 associazioni, 4 mila attivisti e più di 90 mila volti ancora da rilevare. L'archivio è ricercabile per la data, luogo, tipo dell'evento, tema e organizzatori. Inoltre gli eventi, articoli e notizie si possono identificare tramite qualsiasi parola della descrizione e/o testo, tramite il nome o la sigla dell'attivista, oppure tramite i tag di arricchimento. Un esempio: vuoi trovare tutte le foto che riprendono gli striscioni? Cerca per "striscioni". Solo quelle dove gli striscioni sono stati tenuti dagli attivisti? Cerca per "striscioni tenuti". Solo un striscione in particolare? Cerca per qualsiasi parola del testo dello striscione. Ovviamente, per renderlo possibile, ho dovuto trascrivere i testi di tutti gli striscioni o taggare le foto. Prima o poi troverò un modo di rendere l'archivio pubblico. Per ora è solo un prototipo per l'uso personale, che include diverse indagini statistiche.












D - Per finire, se vuoi, un tuo parere sugli aspetti dell'attivismo antispecista

L'impressione è che l'attivismo in Italia si trova in una fase di disgregazione e confusione. Nonostante non sfruttiamo né mangiamo più i cittadini dei Popoli Animali (il che rappresenta un grande passo in avanti) per il resto sembra che noi attivisti condividiamo tanti altri difetti della maggioranza: siamo litigiosi, invidiosi, dispregativi, pronti a odiare "ad personam", siamo soggettivi e male informati, troppo legati al confessionario globale quale Facebook. Già da anni dura la faida "tutti contro tutti". In base a che cosa? Pubblicamente, in base all'attaccamento alla causa. Realmente in base al "mi piace - non mi piace". Se gli sttivisti X organizzano un evento, gli attivisti Y non si faranno vedere - dando la colpa ai odi 'violenti e dannosi per la causa' degli attivisti X. Il motivo: poiché sono dei miti e hanno paura del conflitto, agli Y non va che si gridi - contestazioni logorano. Ma non lo si dice apertamente - per evitare l'accusa che il proprio comodo fosse più importante della causa. Quindi si dichiara che i megafoni e i fumogeni, le grida e i cartelli cruenti "allontanano". E si fa credere che invece "avvicinano"  i canti di liberazione, i cartelli solo testo (senza parole forti), la dolcezza d'approccio, i presidi e i cortei "tranquilli" che non turbano la quiete pubblica. Quando chiedi agli Y perché lo credono, rispondono: "ma è ovvio, ce lo dice il buon senso", aggiungendo, tutti tronfi, "noi abbiamo veganizzato tantissimi". Chiedi in che modo hanno verificato che i 'veganizzati' lo sono diventati davvero - ma non hanno verificato, non c'era un modo, non lo sanno ma si fidano. 
E c'è dell'altro. Gli animalisti "identitari" non sopportano che si mette in forse il diritto di esporre le proprie sigle, mentre gli "anti-logo" accettano ai loro eventi solo chi partecipa slegato dalla sua associazione. Ai tanti non va giù lo slogan "i macellai vittime del sistema". Gli antispecisti disprezzano gli animalisti, "limitati e antipolitici", gli animalisti disprezzano gli antispecisti, "forti in teoria ma deboli in azione". Gli abolizionisti disprezzano i protezionisti quali "complici del sistema". I protezionisti ridono degli abolizionisti, "folli utopisti". Stranamente, ad alta voce, tutti sono per un'unità maggiore, sottintendendo "a patto che si fa come diciamo noi". Qualche esempio? "Il materiale lo forniremo noi" (leggi:"sono ammessi solo i nostri cartelli; non accettiamo inquinamenti"). "Vestitevi in modo professionale". "Per diventare membri del nostro gruppo chiuso, contattaci via mail". "Il luogo dell'evento sarà comunicato in privato". "Leggere attentamente il regolamento della condotta". "Chiunque voglia presenziare come parte attiva al presidio è necessario che contatti preventivamente gli organizzatori". E poi ci sono lavaggi del capo in privato: non andare con questi, non farti vedere con quelli. L'eccezione è un gruppo di associazioni che non mettono paletti, non impongono le regole, non vietano, fanno partecipare e parlare tutti. Guarda caso, sono proprio quelle associazioni accusate di essere "violente". A mio avviso, c'è qualcosa di losco in tutto ciò. Ho partecipato attivamente a tanti loro eventi senza mai vedere alcuna violenza. La rabbia sì, la violenza no.  E voglio dire che conosco bene che cosa è la violenza, nessuno mi deve insegnare: anni fa ho dovuto scappare dalla violenza di una guerra nazionalista. Per scoprire subito un'altra guerra, quella contro i Popoli Animali Non-Umani. 
Comunque sia, il risultato è che le manifestazioni di protesta nelle piazze sono sempre meno partecipate. Nel giugno 2012 eravamo in 10000 a Roma nel corteo nazionale contro la vivisezione. Otto anni dopo, nel genaio 2020, a Parma, sempe contro la vivisezione, sempre nel corteo nazionale, eravamo in 400. Un calo del 96%! Perché in tanti hanno disertato. Eppure la protesta doveva essere il motore principale del cambiamento.
Ci sarà una via di uscita? Io ne ho trovata una per me: si inizia dubitando delle proprie preferenze e certezze e cercando di non prendersi troppo sul serio. Mi ricordo che, per colpa del mio DNA, non sono altro che un paziente del Manicomio Vomiterra. Cerco di non dare l'ascolto all'impulso che suggerisce "hai meglio da fare". Sono stanco, sono avvilito, sono deluso, ma cerco di scendere in piazza sempre e comunque.  La causa ha bisogno di tutti noi! A chi non piacciono i comportamenti degli altri, può sempre dare un esempio, dimostrando che si può fare meglio. Ma facendolo in piazza, non dal pulpiuto di Facebook.
Il social è una chimera, la vita è altrove.













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