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giovedì 13 agosto 2020

Il cavallo della Reggia di Caserta



Il cavallo nella foto è Chester. Nell'articolo dove si parla di lui, ci viene raccontato che "dopo 10 anni passati a tirare carrozze, l'anziano cavallo ha finalmente abbandonato una vita di fatica e percosse per raggiungere verdi praterie" – presso la scuderia Arthavasa Stable.

I padroni della scuderia si sono gentilmente offerti di dare una casa al povero animale, dove avrebbe avuto moltissimo spazio per correre e giocare, oltre che ad altri cavalli con cui socializzare. Chester adora la sua nuova casa – soprattutto per la grande distesa di erba su cui può rotolare. "Quando Chester vede un mucchio di erba su cui lanciarsi, i suoi occhi si illuminano. Si rotola per ore. È così felice di poter finalmente fare tutte quelle cose che fanno i cavalli. […] Ora Chester passa le sue giornate pascolando e interagendo con i suoi simili, correndo libero per i campi e ricevendo molte coccole e attenzioni".

 


 

mercoledì 27 novembre 2019

Processo al mattatoio di via Traves



Te lo ricordi, il mattatoio in via Traves,  a Torino.
Ricordi la  strada lunga e veloce che si trova di fronte e la zona inospitale dove è situato, dove l'unica costruzione recente è il J Village.
Ricordi i presidi NOmattatoio organizzati di fronte, a cui hai partecipato.

martedì 4 settembre 2018

Il diagramma a flussi per far sparire il cane dalla faccia della terra




Da che cominciare? Magari da una piccola storia di ordinaria quotidianità. 
Un pomeriggio qualsiasi di non troppi giorni fa, in un parco (una delle cosiddette 'area sgambamento cani', un nome che già la racconta lunga sul tipo di idea che possano avere del 'cane' ai 'piani alti' delle amministrazioni locali cittadine), insieme con le mie cane. Entra un giovane con figlia e cane, iper muscoloso (il cane), giovane, un medio piccolo schiacciasassi denso come un meterorite, che corrisponde a un esemplare di 'razza american bull terrier', o 'american bully'.  Il cane è un giovane quasi adolescente, liberato dal guinzaglio a strozzo, gioca in modo molto fisico; la mia cana meticcia, di mezza età (9 anni circa), spalleggiata dal suo compagno breton 7enne, gli fa capire subito che dalle nostre parti 'non è aria' per giocare.
Il giovane umano è molto tranquillo, orgoglioso del suo cane, si dichiara un 'amante della razza, una razza che esiste da soli 5 anni', che gli piace perché ha molto carattere. Ti racconta che l'allevatore dove lo ha comprato gli ha spiegato che spesso i maschi riproduttori non riescono a 'coprire'le femmine fattrici, perché i rispettivi corpi, ipertrofici di muscoli, non riescono a sopportare la performance dell'atto sessuale; l'unica soluzione è la inseminazione artificiale'.

Entra una coppia, credo oltre la quarantina, probabilmente con buoni mezzi economici. Con loro hanno un cane levriero, assai alto e nerboruto, molto giovane, ansioso di 'sfogarsi' : il tragitto dall'auto al parco è compiuto tirando il cane col guinzaglio, agganciato in due punti del corpo, e spesso strattonandolo. Riceve anche una sberla sul naso. Nel parco, gli viene impedito di scavare buche o di bere nelle pozzanghere. I 'no' risunano spesso, il cane ci mette molte decine di minuti prima  di apparire più seren, tranquillo, soddisfatto. Lui e il bull giocano volentieri insieme: pur essendo di altezze molto diverse, la loro fisicità - anche se molto differente - è simile nello 'stile di gioco' e nell'approccio fisico al limite dell'assalto. Lo hanno comprato dall'allevatore, che si trova all'altro capo della Pianura Padana. Anche se ha distrutto almeno due divani, sono molto orgliosi di lui, perché ha uno scatto di corsa 'da zero alla massima velocità in circa 7 secondi'. Quando escono dal parco, per rimettergli il guinzaglio, prima lo afferrano 'a tradimento' per la pettorina, poi lo chiudono ai fianche con le gambe, quindi riagganciano il doppio guinzaglio.




giovedì 23 agosto 2018

Cani DA...



Il ponte Morandi è una tragedia tutta umana: le cause e i responsabili verranno alla luce col tempo.
Intanto, ci sono stati i funerali - sia di Stato che privati - di vittime 'danni collaterali' di una prassi di incuria protrattasi negli anni - un episodio di malapratica italiana.

Col crollo del ponte, son venute già tonnellate di macerie, mescolate a carni e decine di corpi, vivi e morti. Col crollo del ponte, centinaia di persone han dovuto scappare da casa loro, sovrastata dal ponte - quello, all'improvviso minaccioso e fragile; queste, all'improvviso trappole pericolose. 
Fuga senza voltarsi indietro: solo giorni dopo, gli animali 'da' compagnia che queste famiglie 'detenevano' in casa, sono state recuperate, tratte in salvo - giorni di solitudine, di fame, di sete, di disorientamento e paura, anche per loro - però solo dopo che si erano levate vere e proprie suppliche.

Col crollo del ponte, insieme ai soccorritori umani, sono arrivati i cani 'da' soccorso delle 'unità cinofile'.


mercoledì 14 giugno 2017

Angelo e i suoi assassini - parte seconda

Angelo
... e ritorni un attimo su Angelo e sulla sentenza emessa contro i quattro torturatori: sentenza che ha suscitato molti commenti e molta agitazione. Tra l'altro, ci ritorni in questi giorni, dominati dallo scalpore per un'altra sentenza, quella che riguarda Totò Riina - e hai la sensazione che ci sia un che di sotterraneo che in qualche modo collega le due notizie; le due sentenze; i cinque colpevoli; le molte vittime;  l'idea che una società, che una civiltà ha o può avere a proposito del concetto di giustizia. 
E ci ritorni, quindi, forse proprio perché senti - a livello subliminale che proverai a spiegare - che esiste un collegamento tra i due eventi - entrambi incorniciati in contesti giuridici-penali-legali. Materia incandescente, agitatatrice di pensieri: che vengono da lontano, da riflessioni, studi, letture di quando eri universitario. Qualcosa da manovrare con guanti e pinze. Forse, ma non oggi. 
Oggi, ti concentri, per la seconda volta, su Angelo
Come già scritto, avevi chiesto a persone che hai la fortuna di conoscere, un loro parere sulla sentenza verso i quattro aguzzini sanginetesi. Non persone a caso: persone che vivono ogni giorno, tutti i giorni, da anni, la realtà dei cani in canile - e che sono impegnati a pensare e ri-pensare, per trasformarla. 
Sì: perché il canile ha bisogno di venire trasformato, fino al punto di sparire, almeno come concetto concentrazionario di reclusione. Ne hanno bisogno i suoi prigionieri. E - sorpresa! - ne ha bisogno la stessa società dove viviamo - anche se questa società non se ne rende conto; anche se noi non ce ne rendiamo conto. Qui sì: cani, innocenti individui incarcerati per colpe mai commesse o inventate dai dittatori totalitari umani - quì sì che si può parlare di sproporzione della pena. Cesare Beccaria in molti canili - troppi canili lager, luoghi di speculazione - non s'è mai visto neppure in fotografia.

Torniamo a loro - alle persone amiche che hai interpellato. Dicevi: persone che conoscono, con esperienza e cognizione di causa e riflessione, i cani e i pensieri canini e il loro mondo.
Quasi tutti hanno speso qualche parola di riflessione - e di questo parlerai in questo post. Altri di loro ancora non hanno risposto - ma, alcuni di loro è probabile che lo faranno e sarà argomento di futuri post; ché questo argomento non esaurisce mai le sue implicazioni, volendo. Devi dire ancora una cosa: i commenti hanno ciascuno un nome e cognome; dopo varie riflessioni, hai deciso di trascriverli qui, tutti o in parte, sotto forma anonima (anche se chiaramente distinguibili), sia per venire incontro a chi ti ha chiesto espressamente di rimanere anonimo, sia perché ti è sembrato più giusto anche verso quelli che non avrebbero pudore o problema a comparire 'in chiaro': nel senso che ti piace pensare che ci si possa concentrare sui loro pensieri, tessuti insieme con lo scopo di impreziosire le differenze di sfumature dovute ai diversi punti di vista, oltre che di evidenziare i molti spunti unici, personali. Ti piacerebbe che tutti quelli contattati, si sentano liberi di commentare, a lettura terminata, mettendosi con nome e cognome, se lo vorranno, rivendicando la maternità o la paternità dei loro pensieri.

Che - di primo acchito - sono pensieri di rifiuto. Non ha voglia di parlare di questa storia, chi gestisce un giardino per cani anziani: "mi procura troppo dolore. Non vorrei mai vedere quei mostri vicino a un qualsiasi animale". Il discorso riabilitazione può e deve passare in secondo piano, è ancora una volta specista. Ancora non si ha la sentenza, quindi, come scrivevi, le modalità sono sconociute e quindi suscettibili di grandi speculazioni. Di sicuro, è molto facile rendere questa parte di sentenza un nuovo inferno per i cani, senza riabilitare nessuno - "Angelo e tutte le altre vittime come lui non torneranno mai indietro".
Condividi la rabbia, specialmente dopo aver rivisto il filmato, che è sempre troppo doloroso: c'è solo sadismo, prolungato, perpetrato per interi minuti, con metodo e senza che appaiano mai segnali di disagio - anzi!

E quindi? Quindi, se può essere sensato, giusto, smettere di applicare la legge del taglione, è lecito dubitare che riabilitare sia sempre possibile: che, cioè, l'aver subìto una pena, renda il proprio pensiero finalmente permeabile al rifiuto della crudeltà. I quattro aguzzini, infatti, c'è il rischio che vivano la pena come una fastidiosa pratica di cui liberarsi quanto prima. Magari, accumulando rabbia. Che scaricheranno sul prossimo indifeso che gli capiterà a tiro. 

Ne parli con questa donna, che è attiva con grande attenzione e molti dubbi - per così dire, filosofici - in un rifugio dove c'è molta attiva attenzione alle pratiche da svolgere insieme e per i cani:
"Chi è arrivato ad un punto così terribile non imparerà l'empatia in sei mesi di canile nemmeno nel miglior canile con i migliori educatori". Si pensa insieme che questi assassini dovrebbero prima potersi guardare dentro. E allora, il cerchio si allarga: dici che ci vorrebbero percorsi permanenti di supporto, con obiettivo magari preventivo piuttosto che rieducativo. E se alzi un attimo ancora la quota dello sguardo, ecco che trovi la necessità di creare le occasioni e le possibilità per un mutamento più generale delle nostre società, per quel che riguarda il rapporto con gli altri animali. Eccola lì, immobile e totemica: la educazione alla empatia - uno snodo enorme da cui secondo te si dipartono mille sentieri, nella pedagogia, nella filosofia, nella cultura, nella percezione sociale.
Perciò, sempre secondo questa attentissima volontaria: "il punto di svolta è nel fatto che il processo ci sia stato". Un vero precedente, che non potrà essere ignorato: "A un po' di persone, che gli animali li maltrattano, potrebbero fischiare le orecchie".

"Visto il reato, la pena resta decisamente lieve": così pensa un'altra cinofilosofa, che vive con una affiatata società di cani, li conosce, conosce le loro individualità, li rispetta e li ama.
"Bisognerebbe poter applicare pene molto più severe:  ma sono contenta che quanto meno ci sia stata una sentenza in tempi non eterni, e molto chiara dal punto di vista del significato sociale e politico della cosa: è un buon precedente che spero possa mettere delle basi per il futuro".

Ci concentriamo sulle modalità dello svolgimento del lavoro socialmente utile in canile. La cinofilosofa - e tu con lei - si augura che sia un canile dove i volontari possono sempre entrare, per proteggere il benessere dei cani. Poi, che i quattro condannati vengano seguiti all'interno del canile e che ci sia un supporto psicologico che li aiuti a valutare. "Voglio poi sperare che le mansioni che avranno all'interno del canile, non rischieranno di traumatizzare i cani ospiti". Alla fine, siete d'accordo entrambi che ci vorrebbe pure un supporto psicologico anche per i cani, svolto da un valido educatore...

Supporto psicologico fondamentale anche secondo la educatrice che ha costruito anni di metodo di relazione e osservazione verso i cani: "esistono studi sullo sviluppo dell'empatia e sul recupero di chi ha commesso crimini associati a disturbi della personalità che hanno tra i sintomi la mancanza di empatia per la vittima".
L'esistenza di un programma volto a far aumentare l'empatia nei soggetti che hanno commesso questo tipo di crimini violenti, sarebbe secondo te doverosa, un'àncora fondamentale, nell'intero processo di recupero.  
Tu sei convinto che queste misure di supporto verrebbero davvero svolte solo se il canile verrà percepito come risorsa e non come una specie di scadente e meccanico contrappasso: altrimenti, il prossimo pedofilo potrebbe vedersi assegnati lavori socialmente utili in un asilo! Ti spieghi meglio: solo se il canile è percepito come una risorsa di valore etico e pedagogico, prima di tutto dalla società e quindi da quanti hanno il compito di amministrare la legge, allora avverrà spontaneamente e doverosamente la creazione di un cuscinetto di supporto all'intera situazione - nel suo prima, nel suo durante, nel dentro e nel fuori, per i rei e per i cani, e nel suo dopo.
Altrimenti, il canile subirà l'ennesimo sfregio: quello di essere visto come atto punitivo per criminali, uno strumento più economico del carcere, per applicare la legge del taglione: "una follia".

Una scelta folle, una sconfitta per tutti, dove peggiora la situazione di tutti: di Angelo e della sua memoria; dei cani liberi e non tutelati; dei cani nei rifugi, a rischio; delle situazioni di miseria sociale e culturale, come quella dove sono nati e cresciuti i quattro aguzzini, che, secondo questa ragazza che si occupa di accasare cani anziani, "vivono in uno sperduto paesino di montagna, in mezzo al nulla": una mentalità chiusa (anche l'orizzonte sembra chiuso, dall'elevarsi delle montagne) può portare a questo tipo di cose, come i fatti di Sangineto. "Quindi il fatto che loro arrivino a conoscere i cani e abbiano una pena del genere da scontare, è utile a farli rendere conto di ciò che li circonda e di chi sono realmente i cani".

Ipotizziamo che scontino la pena nel suo rifugio: "proverei a fargli  comprendere  realmente il significato grave del loro gesto verso un essere vivente".
Tutto dipende da che visione hai della giustizia: occasione di recupero o condanna sempre punitiva? Attraverso la rieducazione, potrebbero rendersi conto di quel che hanno fatto: forse questo potrebbe per loro diventare condanna? Grande fiducia verso gli esseri umani - altrimenti questa ragazza non farebbe quello che fa - ma anche dispiacere: perché il lavoro potrebbe essere da loro visto solo come punizione "in un canile sovraffollato e dove la cultura cinofila rasenta quasi sicuramente lo zero". Perché non diventi un perverso e dannoso "per sei mesi spalo cacca e poi tutto torna come prima", ecco che si riconferma basilare la cultura - cinofila, ma anche quella generale, anche quella civica e civile.

A quanto pare, insomma, questa è una sentenza esemplare, storica, per l'Italia (non allarghiamoci a presumerla storica anche in un contesto più internazionale). Storicità ed esemplarietà che - già lo sono state - corrono il rischio di venire annacquate e vanificate dal fatto che è stato applicato il rito abbreviato e che la legge comunque non prevede carcere per pene inferiori ai tre anni; e che, infine - purtroppo - le pene previste per chi maltratta gli animali, sono molto basse. In pratica: chi maltratta o uccide un animale - e stai parlando solo di quelli 'fortunati', considerati animali DA affezione (sic) - rischia di farla franca più spesso che no.

Il quadro generale, non è molto incoraggiante. Anche secondo l'educatore che negli anni ha disegnato un concetto di canile futuro, non è positivo che "il canile sia il luogo per scontare una pena"
Che  genere di canile è quello dove dovranno prestare servizio? "Non so in quale canile andranno a scontare la pena. Non sono a conoscenza del nome della struttura. Conoscendo le molte realtà di canili lager del Sud Italia, mi chiedo cosa possano imparare quei quattro sociopatici da un'esperienza del genere?" Una breve notazione, comunque sulle modalità pratiche: "Poi sono convinto che in ogni caso dovrebbero essere divisi e scontare il servizio socialmente utile in luoghi diversi da soli e non in gruppo".


link vari, per riannodare le fila su

ANGELO

la notizia della sentenza su all4animals

il parere di una psicologa specializzata, su all4animals

la notizia della sentenza su quiCosenza

la notizia della sentenza su VelvetPets

il commento di Ermanno Giudici, su Il Patto Tradito


VIDEO Paola, sentenza del processo, su Marsilinotizie


una notizia sugli studi per l'identikit di chi maltratta gli animali, su Gazzetta di Parma


VIDEO - DA VEDERE: In onore di Angelo (il suo calvario), su youreporter

notizia della sentenza, su ilmiocaneèleggenda

la difesa degli imputati, su Marsilinotizie














sabato 27 maggio 2017

Una rieducazione di merda - Angelo, parte prima

una statua a Roma, inaugurata nel Parco Ravizza del quartiere Monteverde. Fonte: Cosenzainforma


Angelo come Hachiko. Dove Hachiko è diventato simbolo della dedizione lunga una vita, ma anche del rispetto e della riconoscenza di individui e di una intera cittadinanza, di un popolo - quello giapponese - che fonda la sua civiltà su concetti molto simili a questi.
Dove Angelo è diventato simbolo della ennesima irrilevanza e povertà etica ed empatica di individui e di una intera cittadinanza, di un popolo  - quello italiano - per i quali un animale è oggetto di noncuranza, superficialità, impazienza, prepotenza, oppressione, crudeltà inflitta, tortura, sadismo; ma anche della grande fiducia che ogni cane è potenzialmente capace di regalare a ogni umano, anche quello meno degno - quello degno di essere appellato solo come 'tizio', o 'mostro'.

Ieri, la sentenza del processo di Angelo ti / ci è esplosa tra le mani, e i social forum sono diventati ridondanti di essa e per essa. Parole e idee, indignazione insieme a riflessioni. Conti di ritornarci, prestissimo, grazie all'idea che hai avuto - di chiedere ad alcuni tuoi amici e contatti davvero esperti, attenti, nei confronti dell'universo canino, un loro parere, specialmente sui risvolti della sentenza.
Sul fatto che i quattro assassini sconteranno la pena svolgendo lavoro socialmente utile presso una struttura canile o rifugio. Presumi, della loro zona.

Una decisione controversa, dibattuta, sulla quale tornerai. Adesso, in questo post, vuoi fare una cosa sola: immaginare questa sentenza nella sua attuazione, nel suo svolgimento. 
Infatti, ti sei chiesto: se tu avessi un rifugio, cosa penseresti se ti chiedessero di farci svolgere la riabilitazione lunga sei mesi, dei quattro 'tizi'?

Intanto, immaginiamo una cornice: poiché esistono, e se ne parla, e vengono divulgati e fatti conoscere, i canili e i rifugi cosiddetti 3.0 (quelli zooantropologici, di Luca Spennacchio, di Roberto Marchesini, di Simone dalla Valle, per intenderci; e, certo, anche di altri, che tuttavia non conosci, per tuoi limiti), ritieni che potrebbero essere solamente queste, le strutture adatte a sopportare una responsabilità così grave. Non le strutture coraggiose e generose, che rischierebbero di cedere e soffrire per il carico di male e crudeltà che i quattro assassini si portano appiccicato alla pelle, sotto i loro vestiti. Tanto meno i canili privati, dove è sempre possibile 'truccare' e barare, a spese dei cani: qui dentro, i quattro potrebbero addirittura essere liberi di spadroneggiare, ma di sicuro - senza arrivare a tanto - potrebbero non dover affrontare nemmeno un'ora di lavoro. E dunque la 'pena' sarebbe inutile, andando sprecata.

No. 
I canili come presidio zooantropologico ci sono, esistono. Facciamo finta che - anche a uso giudiziario - ne esista un elenco certificato: sarebbero i luoghi unici dove far scontare questo tipo di sentenze a questo tipo di criminali (e qui, ne sei cosciente, si apre un punto vulnerabile assai, sui diversi pesi e misure, sui doppi criteri di giudizio, quando la vittima è un umano o quando invece è un altro animale; ma ne riparleremo).

Queste strutture, già adesso, hanno un organigramma: esiste una divisione dei compiti, una distribuzione delle mansioni e delle responsabilità, certo sulla base delle attitudini e delle abilità di ciascuno. Ma non succede che tutti facciano tutto - né che lo vogliano fare: perché non ne sono capaci. Il motivo di questa organizzazione è per dare ai cani ogni tipo di vantaggio, tutela, benessere, cura e occasione di ritorno tra umani disposti ad accudirli, a esserne famiglia per la vita.
In queste strutture, i volontari hanno fatto e fanno corsi per apprendere come svolgere i loro compiti, assimilano le 'buone pratiche', affrontano almeno una esplorazione della zooantropologia, della cinofilosofia, dell'etologia canina. Questo, di base, imprescindibile:  si possono aggiungere altre capacità e abilità, altre competenze, negli anni, sul campo. Ma sempre con la supervisione di chi è più presente e più a lungo, più capace o esperto. Perché, sempre non si perde di vista l'obiettivo: il cane, nella sua completezza e dignità di essere individuale, unico, consapevole, che merita rispetto e dignità.

Dici sempre che hai avuto la fortuna di avere un simile primo incontro con i canili: il primo amore non si scorda mai, e non se ne dimenticano nemmeno le asperità.
Perciò oggi ricordi con gratitudine e con consapevole prospettiva di lungo termine, le tue prime esperienze con la raccolta delle cacche.
I rifugi hanno aree di sgambamento: dove i cani possono correre, annusare, sdraiarsi, giocare o conoscersi tra loro, se lo desiderano, oppure isolarsi e dormire se lo preferiscono. Queste zone, verdi e alberate, devono essere libere dalle cacche. E perciò vanno costantemente rastrellate, attraversate, con paletta e secchiello, come se si fosse sminatori. Come prima cosa a inizio della giornata, poi in vari momenti della giornata in rifugio; e tra le ultime cose della sera. Dalla cacca dei cani si impara molto, oltre al loro stato di salute psicofisico. Poi. Si impara su se stessi: la propria capacità di concentrazione, di adattamento, la prova e lo stress delle proprie soglie di stress e di tolleranza alle situazioni di scacco e di obbligo. La cacca può essere zen: una pratica utile a centrare se stessi, utile a ripensare il cane, a rivederlo e riviverlo, a riconsiderarlo. Sollevi lo sguardo dal prato e incroci gli occhi di un cane al di là del cancello, che magari ti osserva ed è interessato a te. Questo tutti i giorni, giorno dopo giorno, per settimane.

Quindi, ecco cosa faresti fare tu, nel 'tuo' rifugio', ai quattro: raccogliere merda, fin da subito. Non come umiliazione, ma perché raccogliere merda serve - alcuni dei modi hai provato a raccontarli proprio adesso.
Naturalmente, pensi, i quattro non starebbero MAI soli con i cani: a fianco a loro ci sarebbe SEMPRE almeno uno o due supervisori. E, poiché si tratterebbe di volontari che in questo modo verrebbero sottratti a compiti più utili per l'andamento del rifugio e il benessere dei cani - oltre che di sicuro più gratificanti sotto il profilo delle relazioni umane: sei abbastanza sicuro che stare a contatto con uno qualsiasi di questi quattro sia ben più schifoso e rivoltante che raccogliere una qualsiasi caccona - credi che dovrebbe essere previsto un gettone di risarcimento. Una cifra di rimborso per il rifugio, che si vedrebbe obbligato a sottrarre risorse umane a compiti di cura, per svolgere compiti di controllo e sorveglianza. Una cifra forfettaria, a fondo perduto - ché ci sarebbe a monte la garanzia che in questi rifugi quella risorsa economica extra verrebbe impiegata esclusivamente in obiettivi cinofili.
(Ecco, magari, se esistesse questo albo dei rifugi 'giudiziari', il meccanismo per coinvolgerli volta per volta potrebbe essere quello del sorteggio, o magari della rotazione; ma questi sono dettagli che non vale tempo studiare qui, in questo pur sempre immaginifico scenario).
Raccogliere merda per sei mesi, però, non sarebbe produttivo né forse coerente con lo spirito della sentenza - per come lo hai capito tu, ma su questo ci torniamo; qui stiamo scrivendo altre cose. Non è il caso di scomodare Cesare Beccaria, per dire che in questi sei mesi ci sarebbe tutto il tempo per far fare ai quattro, corsi di etologia, di zooantropologia e di tutto quello che potrebbe sembrare utile a tentare di cambiare la loro mente. Nella prospettiva della riformazione e rieducazione.
Gli faresti persino leggere dei libri, e prendere appunti e alla fine scrivere un tema!
 Che tu abbia robuste riserve sulla realistica capacità di maturare in quella direzione, da parte dei quattro torturatori, per il momento non è importante.

Ultima domanda: faresti avvicinare i quattro ai cani?
Premessa: i cani in un rifugio, ci sono arrivati sempre dopo esperienze negative. Senza eccezione: anche il 'semplice' abbandono di punto in bianco, viene vissuto da ogni cane come una angosciosa tragedia, un evento catastrofico capace di gettare il cane nella depressione, nella tristezza, nel malumore, nella non voglia di vivere, nella paura, nella insicurezza, nella fobia, nell'ansia. Un vero e proprio shock post-traumatico. 
Quindi, chi più chi meno, tutti i cani ospiti di un rifugio  - ricordate sempre di che tipo di rifugio stai parlando - sono individui fragili dal punto di vista emotivo. Basta un nulla - davvero un nulla: uno sguardo superficiale, un gesto casuale, uno stato d'animo carico di sensazioni negative da parte dell'umano - per aggravare quella fragilità, col rischio di spezzare ancora la loro faticosamente ricostruita, timida fiducia.
Perciò? Perciò - pur facendo fare ai quattro tutta una serie di attività che hanno a che fare intorno al cane - fino ad arrivare a occasioni davvero stimolanti di apprendimento, di esperienza, di osservazione - non li farei interagire MAI con nessuno degli ospiti del rifugio. 
Magari, forse, con un supporto robusto di educatori - altre risorse per il rifugio dirottate! - li farei entrare in contatto con cani che non vivono nel rifugio, ma sono individui forti, sani, sicuri, equilibrati, alleati di uno o più umani con le medesime caratteristiche caratteriali - e che sono capaci di scegliere come, dove, quando e quanta relazione iniziare o interrompere con qualsivoglia umano. 
I Cani Maestri. Questo perché, se il fine è riabilitativo, alla fine - ma solo alla fine - dovrebbe essere creata l'occasione per i quattro tizi, di vedere davvero chi è un cane - e comprendere l'enorme mostruosità che hanno compiuto.

Se poi lo capiranno, questo - per ora - rimane un mistero.
- 1. continua

lunedì 2 gennaio 2017

LINK-ITALIA, Francesca Sorcinelli







Francesca Sorcinelli è fondatrice del Progetto LINK-ITALIA nel 2009 e Presidente dell’omonima Associazione di Promozione Sociale dal 2012. Educatrice Professionale ha  lavorato in ambiti come il recupero minori dalla prostituzione, in comunità per tossicodipendenti e otto anni in una Comunità Residenziale per Minori dell’Azienda Servizi alla Persona del Comune di Modena. Attualmente lavora  - sempre presso la Azienda Servizi alla Persona del Comune di Modena -  in una delle Comunità Semiresidenziali Socio-Educative per pre e adolescenti inviati dal Servizio Sociale.


Francesca Sorcinelli, foto @ Designinpixel.it di Francesca Mazzara


Come è nato il Progetto LINK-ITALIA ?

L’esperienza professionale diretta del LINK è stata il primo propulsore che mi ha condotto a studiare l’argomento, tanto da arrivare oggi alla strutturazione di un progetto nazionale in merito.

Dagli esordi nel 2009 ad oggi i ricercatori anglosassoni nell’ambito delle scienze psicosociali e criminologiche, occupandosi di violenza interpersonale e crimine si scontrano con il fenomeno della violenza su animali in modo così costante da doversene fare carico.
Un percorso quello degli studiosi, in particolare statunitensi, che ho vissuto personalmente.
Lavorare con i tossicodipendenti non significa infatti lavorare con persone che hanno “semplicemente” un problema di droga, bensì lavorare con tutte le sfaccettature della devianza poiché il tossicodipendente spesso è: il rapinatore, il borseggiatore, l’ex bambino maltrattato, il maltrattatore, lo stupratore, lo spacciatore, il protettore, la donna abusata, la prostituta ecc.
Una tipologia di utenza, il tossicodipendente, che catapulta sullo scenario della devianza a 360°, consentendo oltremodo di fare esperienza della “cultura di stampo mafioso” e della “cultura di stampo carcerario” e costituendo, in tal senso, un contesto privilegiato di osservazione e trattamento della violenza interpersonale e dei comportamenti antisociali e criminali in genere. Proprio in questo contesto, come i primi ricercatori statunitensi, ho iniziato a scontrarmi ripetutamente col fenomeno della violenza su animali, tanto da doverlo approfondire, studiare e capire soprattutto nelle implicazioni psico-sociali. A differenza dei primi ricercatori anglosassoni, ho potuto beneficiare di un’ampia bibliografia scientifica internazionale già operativa in tutti gli ambiti professionali statunitensi, ho potuto avvalermi fin da subito di un prezioso modello di riferimento nella pianificazione del Progetto LINK-ITALIA, riadattando le consapevolezze internazionali alla realtà italiana e producendo nuove conoscenze applicabili specificatamente al nostro paese.
Come nei paesi anglosassoni, dove il LINK vanta associazioni governative, di polizia e presidenti di stato nel riconoscerlo e contrastarlo, anche per l’Italia il mio impegno è che il lavoro professionale quotidiano con l’utenza violata, depressa, deprivata, violenta o anche solo minorile, continui ad essere oggi, come agli esordi, il referente privilegiato nello sviluppo di una cultura sociale, giuridica, criminologica, vittimologica, pedagogica e veterinaria che come stato di necessità contempli la crudeltà su animali quale grave reato di per sè e potente indicatore di pericolosità sociale.



 

Cosa si intende per LINK e di cosa si occupa l’Associazione?

LINK nel linguaggio comune inglese significa legame mentre in discipline quali psicologia, psichiatria, criminologia e scienze investigative anglosassoni, si connota come termine tecnico che indica la stretta correlazione esistente fra maltrattamento e/o uccisione di animali e ogni altro comportamento violento, antisociale e criminale – omicidio, stupro, stalking, violenza domestica, rapina, spaccio, furto, truffa, manipolazione mentale, ecc. .
LINK-ITALIA è una Associazione di Promozione Sociale, la prima in Italia, costituita da Specialisti dei settori dell’educazione, prevenzione, trattamento, repressione, analisi, della violenza e del crimine che consci della correlazione – LINK – esistente tra maltrattamento e/o uccisione di animali e ogni altro comportamento violento, antisociale e criminale, opera per colmare il vuoto scientifico, tecnico e operativo sul fenomeno nel nostro paese.
L’Associazione studia dal 2009 il fenomano, avvalendosi di materiali internazionali preesistenti – pubblicazioni scientifiche, casi studio, profili criminali e vittimologici, protocolli di negoziazione, protezione ostaggi o sequestrati, ecc.– e sviluppando materiali ex-novo che apportano alla prevenzione, trattamento e contrasto del LINK, innovazioni teoriche e pratico-operative a livello nazionale in ambito criminologico, vittimologico, investigativo, psicosociale, pedagogico, sanitario, veterinario, sviluppando come disciplina di riferimento teorico per l’Italia una nuova branca della Zooantropologia: la Zooantropologia della Devianza



 

Anche autori del passato come Ovidio Nasone “La Crudeltà su animali è tirocinio di crudeltà verso gli uomini” erano a conoscenza del LINK. Cosa ne pensi di questo aspetto?

Oggi esiste una letteratura scientifica internazionale centenaria in quelle che sono le discipline di riferimento quali psicologia, psichiatria, criminologia, vittimologia, veterinaria ed esiste una letteratura scientifica nazionale sviluppata in zooantropologia della devianza, disciplina di riferimento sul LINK per l’Italia. Occorre però specificare che parlare di conoscenze scientifiche sul fenomeno, i cui approcci si possono fare risalire alla fine dell’800 e sviluppi significativi alla fine degli anni ’60, non significa parlare delle consapevolezze e conoscenze sul LINK, che nell’essere umano si perdono nella notte dei tempi e vengono espresse da sempre nell’arte, letteratura, filosofia e religione. Infatti il LINK, oltre ad essere un tema trasversale in termini di discipline e professionalità, è un tema trasversale in termini di contenuti tanto antichi quanto contemporanei: “Certo l’abbiamo capito: chi picchia i propri figli picchia anche i propri cani, chi picchia i propri cani picchia anche i propri figli. E’ tutto collegato” Bennie Click,  Capo della Polizia di Dallas fino al 1993.
 

Francesca Sorcinelli
LINK-ITALIA (APS)
www.link-italia.net

mercoledì 24 dicembre 2014

Il tuo biglietto = la loro prigionia (circo, zoo, bioparco, ecc)


Cosa può raccontare questa immagine?
Per cominciare, va detto che si tratta di una immagine estratta d'impulso dal socialforum, per cui non ne conosco la fonte. Non so neppure se le giraffe immortalate (?) siano in uno zoo / bioparco, in un circo, o quale altra struttura umana contenitiva di altranimali.

Tutto considerato, non è essenziale in quale casella della tipologia dei luoghi 'panottici' vada inserita questa stanza per le giraffe.
L'essenziale autentico, il punto focale, credo sia altrove, e abbia a che fare con altri elementi della foto.

Intanto, ecco - a contrasto - un'altra immagine di giraffe:

Fonte: Fresh Boo!

La prima foto sembra quasi - potrebbe dare l'impressione di essere - una rappresentazione teatrale, la ricostruzione indoor della scena che vediamo nella seconda.
Con l'appunto che le giraffe 'attrici' nella prima scena, sono in realtà prigioniere, il loro spettacolo, la loro 'recitazione', è coatta, obbligata, e quel che va davvero in scena è la loro mancanza di libertà, in una prigionia che per loro significa vivere esperienze di disorientamento, confusione, frustrazione, noia - o peggio.
In quel contesto si aggiunge la beffa umana, al danno della privazione della libertà: e lo slancio esplorativo, vitale e sanamente famelico della giraffa che cerca di brucare le fronde dipinte, viene negato e mortificato, ridotto a scherzo, declassato a esemplificazione tutta antropocentrica di una ipotizzata 'stupidità animale', l'incapacità di distinguere la realtà circostante, banalizzato a spettacolo per guardoni.
L'individuo animale in tal modo viene trasformato in un burattino semovente - oggetto artificiale in un contesto artificiale, da osservare all'infinito, grazie anche all'obiettivo - ulteriore patina artificiale, un occhio elettronico meccanico che blocca l'istante e lo trascina via a grandi distanze, nello spazio e nel tempo (infatti, chissà quando queste giraffe prigioniere sono state fotografate?).
A questo punto, diventa impossibile qualsiasi forma di immedesimazione, qualsiasi tipo di empatia.
Come in un gioco di specchi, dove sono le macchine  dettare le regole, l'assenza di empatia, si ripercuote anche sull'osservatore umano, che si illude di essere al riparo dal rischio di imprigionamento: in realtà, di fatto, è già prigioniero di un contesto quasi totalmente artificiale e -in più - l'assenza di capacità di immedesimazione, di attenzione verso un individuo altro, lo porta (ci porta), a una perdita di capacità di relazione con gli altri umani, per non parlare di attenzione al nostro stesso interno vivere dei pensieri e delle emozioni, che non capiamo più, che neghiamo, che censuriamo. Perché le abbiamo tolte e negate prima di tutto agli altri animali (ci siamo dimenticati, o meglio , rifiutiamo di ricordare che siamo animali anche noi), e le abbiamo estromesse dal nostro orizzonte. Un orizzonte  concluso e chiuso da ulteriori pareti, più o meno decorate. 
Attenzione: non sto dicendo che questa situazione è negativa perché si ripercuote su di noi; sto dicendo che prima di tutto è negativa in sé, che va contestata perché è un atto di prevaricazione verso altri individui di altra specie - sensibili e desiderosi di libertà tanto quanto i loro carcerieri umani, che non sanno più fare le connessioni empatiche delle realtà che vedono, che vivono e che creano. E' negativa perché toglie dignità, toglie senso, alla vita irripetibile di individui che sono stati reclusi dal mondo, e che sono stati negati al mondo, nel quale non potranno mai più lasciare traccia della loro azione di vita.

venerdì 5 dicembre 2014

Il Circo

Fonte: Diario di una Traverlholic

Cantava Bruce Springsteen in una vecchissima sua canzone che avrebbe potuto scrivere anche Tom Waits, o Vinicio Capossela, o persino Caparezza: "Il Circo è tornato in Città".
Ma il suo era il circo della donna-cannone e dei trapezisti. Niente animali.
Invece, il circo che è tornato in città - a Novara, dove per ora abito - è quello con gli animali, lo spettacolo triste di vite imprigionate, impaurite, spezzate e derise

La città si è dotata di un regolamento, che richiede al circo o all'espositore di fiera di compilare una scheda, da restituire al Comune, che la girerà al Servizio Veterinario. I veterinari dovranno effettuare quindi sopralluogo per verificare la corrispondenza tra quanto dichiarato e la realtà. I veterinari prendono in considerazione solamente gli aspetti legati al benessere e alla sanità animale (sic) nella struttura circense o espositiva.

Esiste un pdf di questo regolamento, che sinceramente ricordavo più sensibile in materia. Sembra che invece tutto si risolva nelle solite passacarte burocratiche; e in effetti il circo a Novara non manca mai.

Chiudo con un link:  Se Novara piange, Pordenone non ride. 

Su Tv Animalista, ci sono dei video.Buon divertimento.

(Eppure, i circhi senza animali esistono, grandi, medi e piccoli; grandiosi o casalinghi).

Magari, ci torneremo, e come sempre, se qualcuno vuol raccontare qualche sua esperienza in merito, è più che benvenuto!

venerdì 3 ottobre 2014

Detachment - Gli occhi degli smarriti

La locandina del film

Devo la visione di questo film al lavoro di recensione di Caden Cotard sul suo blog "Il Buio in Sala". 
Ultimamente, infatti,  sto guardando molti dei film di cui ho trovato sul suo blog le recensioni, forse perche sono come dei film sul film - per lo stile in cui sono scritte, per i punti di vista e le prospettive che propongono e percorrono -  cosa che  mi sta  sottilmente e subliminalmente stimolando a molte visioni di film altrimenti poco conosciuti o notati.


La notevole frase di Camus che apre il film: "E non mi sono mai sentito così profondamente distaccato da me stesso e così presente nel mondo nello stesso momento"



Questo film in particolare mi ha colpito, pur nelle sue oscillazioni e discontinuità dello sviluppo narativo.   L'ho veduto di recente. In parte, son d'accordo con le storciture di naso del recensore e di alcuni commentatori (il film a volte sembra davvero troppo 'a tesi', troppo didascalico, toccando solo superficialmente a volte alcune questioni scottanti). Ma - Brody a parte, che affascina molto come attore anche a me - non se ne può non riconoscere una certa potenza 'larger than life', volutamente sopra le righe, stilizzata, come per esempio negli occhi della prostituta bambina, il suo primo sguardo quando lui inizia a prendersi cura di lei.



La prostituta si chiama Erica


Lo sguardo della prostituta bambina è il medesimo che si può riscontrare/incontrare in qualsiasi Animale esposto alla violenza, quando invece incappa in gesti di soccorso e salvezza, che non si aspetta, dei quali perfino sospetta, perché non sa interpretare. Mentre guardavo questa scena, ho capito la bontà del personaggio del maestro (lui che ammette di non essersi mai voluto mettere in gioco sul serio e fino in fondo nella vita: un ulteriore schermo di difesa?): questa bontà scarna e diretta, muta ma fattiva, che è il suo modo sconvolgente - per chi ne prova esperienza diretta, oltre che per lui stesso e al di là della sua stessa previsione o desiderio - di elaborare un trauma gigantesco preciptitatogli negli occhi e nel cuore quando era bambino: avrebbe potuto prendere la strada della crudeltà, e cadere vittima, per così dire, del lato oscuro, ma non lo ha fatto. Siamo alle prese con una bontà senza logica e senza scopo se non se stessa, e che nella nostra società costruita sulla sopraffazione sistematica, risulta destabilizzante, sconvolgente, irritante, superba e insopportabile. (Però vorrei tanto essere come lui!). In un commento, Caden Cotard aggiunge: "Ed è così, quella ragazza è abituata ad altro e gesti come quelli non li sa interpretare, non ha le armi. E non è colpa sua. Ma quando poi riesce a interpretarli per lei diventano così importanti e vitali che non ne può fare a meno.". Sono gli sguardi - gli occhi che noi guardiamo mentre guardano esprimendo tutte le urgenze - che ci raccontano l'evolversi di questa storia e il dipanarsi delle altre storie.

Poi c'è l'altra ragazza, la fotografa cicciona e ipersensibile, che ha una infatuazione-transfert per questo professore che ha fatto di una frase di Camus il motto della sua condotta di vita - uno stato mentale ed emotivo, quasi una 'apenia' epicurea che gli consente di compiere azioni come il suo particolarissimo 'lasciar andare' il nonno, sulla soglia della morte e alla ricerca del perdono per qualcosa che ha segnato per sempre la sua vita, nonché la vita della figlia - che è la madre del nostro insegnante.

La fotografa si chiama Meredith

La fotografa cicciona, scatta compulsivamente fotografie, ogni giorno, di nascosto dai suoi stessi soggetti (è l'alter ego della visione del regista?), come se volesse costruire con quelle foto la strada per esprimere i suoi desideri, le sue emozioni, le sue parole, o per esorcizzare il fortissimo senso di inadeguatezza autolesionista che la affligge. 
 
Poi - come in un reboot XXI secolo del professore dell'Attimo Fuggente - in classe si racconta di Orwell, di Poe...
Orwell ci aiuta a parlare dei concetti come quello del bi-pensiero, cioè l'avere due pensieri opposti contemporaneamente e credere che entrambi siano veri. Quando il supplente, partendo dal pericolo di questo tipo di pensiero, esorta e motiva i suoi alunni a non smettere di leggere per mantenere viva la propria immaginazione, per nutrirla con immagini che arrivano dalla propria sensibilità, diverse da quelle che ci vengono somministrate senza sosta, per impedirci di pensare, di provare emozioni, di sviluppare il coraggio della empatia. Una situazione generalizzata che dovrebbe essere famigliare a molti, moltissimi antispecisti/animalisti/vegani. 
Gli occhi dei ragazzi, di fronte a questa sfida, si illuminano, brillano: hanno trovato una guida, hanno trovato idee chiare, un aiuto vero per districarsi dal labirinto dell'adolescenza e per sortir fuori dall'assedio feroce e immenso di una società che ha ridotto tutti a individui isolati, competitivi, arrabbiati sempre e sempre terrorizzati. Che commettono crudeltà verso chi è più debole di loro: come il ragazzino che cattura un gatto per ucciderlo a martellate dopo averlo chiuso in un sacco, di fronte agli sguardi spenti dei suoi compagni. Questa uccisione non gli procura piacere, né senso di forza o sicurezza; non suscita ammirazione. Lo fa perché si sente in trappola come il gatto. E nella nostra società, che punisce l'empatia, non riesce a conoscere le soluzioni diverse dalla violenza insensata; che poi sarebbero le soluzioni che portano alla vita e che richiedono il maggiore e più autentico coraggio.
Poe arriva alla fine, dopo l'abbraccio soleggiato finale, che riporta il nostro supplente al calore della vita e degli affetti, che possono essere una conseguenza del proprio 'ben agire'.
La casa degli Usher, dice il supplente, non è solo un edificio decrepito, ma è uno stato d'animo che tutti noi proviamo. Una bella immagine, una metafora che mi ha colpito, perché conosco il racconto e perché amo Poe.
La nostra sensibilità è come una casa che lasciamo andare in rovina. Nel testo del racconto, riportato nel film, tra l'altro, si legge come il protagonista attraversasse, "solitario, in sella a un cavallo, un tratto di campagna particolarmente desolato", prima di arrivare di fronte alla magione degli Usher. Ecco, qui propongo una lettura antispecista, un suggerimento: il protagonista,  attraversa questi luoghi senza viverli, e considera il 'suo' cavallo come un qualsiasi inerte e anonimo mezzo di locomozione; ecco perché si sente 'solitario', cioè solo, isolato, esposto, in pericolo. Avrebbe fatto differenza, io credo, attraversare quei luoghi vivendoli insieme a 'quel' cavallo, quel individuo cavallino, camminando fianco a fianco con lui, senza sella, e seguendone le orme, come un compagno di cammino.

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