lunedì 1 ottobre 2018

Per la Fine dello Specismo








In una giornata: la piazza, il microfono, le persone, gli 'oggetti di scena'.  c'è stata scenografia, c'è stata coreografia, c'è stato spettacolo, c'è stata arte.
Una giornata lunga, iniziata presto e terminata molto tardi - ma, in un certo senso, non ancora conclusa.





le prove dei musicisti

La Giornata per la Fine dello Specismo si è svolta a Roma - sabato 29 settembre 2018 - ancora una volta. E tu questa volta, hai fatto di tutto per esserci. Non solo per incontrare o ritrovare amici con cui condividi impegni, idee, speranze, esperienze e persino perplessità legate all'impegno animalista (valga per sintesi questa espressione, nella accezione più consapevole che ti sia possibile). Ma perché hai percepito come importante un evento del genere, che si è narrato e presentato come mondiale; che vuole aprire e scoprire nuove prospettive per l'attivismo, quando questo attivismo guadagna una nuova forma,  componente di lotta. Al netto del fatto che tutte le possibili 'soluzioni' attiviste finora messe in campo hanno una loro ragion d'essere (fatte salve le diverse scale di azione, i diversi obiettivi intermedi, le varie modalità di ingaggio), poiché rappresentano risposte complesse a un problema altrettanto se non di più complesso - quello della guerra agli animali: terrificante filo rosso che unisce, anche qui, realtà micro o macro, eterogenee e diversificate ma tutte tra loro solidali nel perseguitare individui indifesi sol perché 'diversi' - è molto importante l'arrivo in scena di questa istanza, la istanza della lotta sul campo, fatta coi nostri corpi insieme ai corpi delle vittime oppresse e stritolate. 
Esserci lì, insomma, sabato, animale muto e/o figurante per scenografie che rendono in efficacia solo se coinvolgono moltitudini di individui, era per te più importante di molte altre considerazioni, che sventagliano dai rapporti interpersonali, fino alle visioni filosofiche teoriche - con tutti i carichi di distinzioni, sfumature, incomprensioni: queste ultime, sono la sostanza di cui vivono e prosperano i social, vampiri tecnologico-emozionali, che fomentano, agevolano, esaltano la tristezza esistenziale, dolorosa a livello individuale, devastante quando è aggregazione di  monadi impermeabili, che non hanno collante diverso dalla reciproca diffidenza o persino denigrazione.

Era importante, per te, esserci, sabato, perché sei convinto che - se pur le differenze di approcci sono vitali, anche perché dipendono dalle differenze dei contesti in cui si vuole agire, pur dentro la cornice di un contesto ugualmente distruttivo e aggressivo verso animali, e diversi, e diversi animali - ciò che dovremmo avere in comune, dovrebbe essere più fondamentale di quel che ci divide. Certi valori di condivisione, di empatia, di ascolto, di immedesimazione, di aiuto, dei modi per alleviare e salvare,  dovrebbero essere matrice basilare comune di tutte le differenti modalità di azione.

E la modalità di azione che vuole ingaggiare il dominio sul suo stesso terreno, nei suoi stessi luoghi di oppressione, è qualcosa di potente, di urgente, che doveva arrivare - presto o tardi.

Questo, per te, è il senso e la ragione più autentica, della giornata per la fine dello specismo. E ci hai ragionato tantissimo in questi giorni, la sera stessa, la notte, nel viaggio di ritorno. E adesso che sei di nuovo a casa, a curare i tuoi cani, a scrivere, a fare il bucato, la cena, la spesa e i lavori casalinghi. Per non parlar del resto. E ne hai parlato e scritto e messaggiato, e lo hai raccontato con tutte le persone - secondo te - luminose, gentili, grintose, determinate, consapevoli, che hai la fortuna di conoscere e di aver rivisto incontrato o conosciuto di persona a Roma; o con quelle che ti aspettavano qui, a casa, nel piovoso nord-occidente italiano - con la loro pazienza, il loro carattere, la loro forza animalista.

Perché l'attivismo, l'impegno, non sono né devono essere a reciproche chiusure stagne, ma dovrebbero essere capaci di integrarsi, concertarsi e rafforzarsi in modo reciproco e ridondante.
E quello di cui si è parlato sabato, dovrebbe essere la punta dell'iceberg. Specialmente perché persino la azione così pensata - mettersi davanti ai coltelli, coi  nostri corpi - ha bisogno dei tanti modi diversi che hanno avuto voce sabato - oltre che dei contesti resi possibili da altre forme di azione. 

foto di Mario Belfiore



Contro la nostra più preoccupante debolezza - la atomizzazione - sogni il sogno che sabato ti han portato le note dei violoncelli: sogni il giorno in cui ci sarà, questo coro muto, di almeno un miigliaio di voci - un brivido animale autentico, il segno che un traguardo di spirito di corpo sarà stato raggiunto - in una piazza del futuro, che ci vedrà riuniti per parlare delle battaglie vinte.

La scelta dei brani, sabato, hai pensato che fosse carica di pathos, la miglior espressività di quello strumento - il violoncello. In fondo, non era una festa, ma una grande arringa resa - anche - spettacolo. Una arringa a più voci - quella sì, forse, già una specie di coro: le voci dei diversi relatori.

Mentre li guardavi, i musicisti, oltre che ascoltarli, pensavi che oltre tutto trasmettevano anche quanto può rendere belli la libertà espressiva, l'impegno per qualcosa di bello in cui si crede, la voce - in senso lato - che si fa strada per raggiungere tutti e farsi ascoltare.
Valore aggiunto: hai scoperto che c'era un noto compositore italiano al loro interno, Enrico Melozzi - guardate qui, i 100cellos!

Questa musica bellissima, ha fatto da filo rosso emotivo, fortissimo, per tutte le parole dei relatori.
Il violoncello - per te - trasmette un pathos potentissimo, che non può non toccare in profondità. Il potere della musica, della canzone, nel dare energia a una rivoluzione, a una identità, a un movimento, non può non venire riconosciuto: credi che sia un potere basilare.

Ti è dispiaciuto constatare come - nella piazza - ci fosse poco passaggio di persone, anche se relativo. Eventualità questa che immagini possa di fatto aver trasformato un poco il senso della giornata: è stato molto di più di quello che forse si immaginava o si cercava, un grande aggregatore per gli attivisti stessi, che forse han potuto vedersi come un qualcosa di unito, con obiettivi comuni condivisi generali e importanti, invece che le solite usuranti divisioni, frutto di ogni genere di malintesi e personalismi e confusioni? Una suggestione, che metti sul piatto - perché, forse, questa possibilità di riconoscersi reciprocamente l'hai immaginata solo tu.

Ma allora, ti chiedi ancora - e questa domanda non esclude né cancella le altre uguali e contrarie, suggerite dalle ipotesi fatte. Dobbiamo però parlare alla gente che passa? Chi ci capisce? Forse dobbiamo istruire gli attivisti che sono ancora al “go vegan” - senza sapere più cosa significhi la parola'vegan'? Forse sì? Dobbiamo parlare ai passanti o dircele sempre solo tra noi? Quale obiettivo privilegiare (dando per scontato che sia un obiettivo importante, che valga la pena  e che lo si possa raggiungere): l'aumento della consapevolezza di gruppo, oppure il coinvolgimento dei passanti? Forse, possono essere obiettivi che si integrano a vicenda, che non si fanno ombra né si ostacolano, ma invece si completano? A che servirebbe il coinvolgimento dei cittadini normali? E a che servirebbe il coinvolgimento di gruppo?
Noi attivisti animalisti siamo - forse più di quel che ci piacerebbe credere - ancora umani giovani - intendi: storicamente, epocalmente giovani - che si pensano, si sognano, si narrano, si sperano, si credono - umani nuovi. 
Eppure, sembriamo smemorati. Dice: "ma non sarebbe il caso di studiare noi prima di parlare agli altri?" E tu dici: ma a cosa serve un evento di piazza allora? Già... 


foto di Mario Belfiore


Tu, ascoltavi i violoncelli, e provavi tra te e te a seguire la melodia dei brani che venivano suonati - tutti brani di musica classica che conosci e di cui sei appassionato: li seguivi, con un tuo canto muto, che per fortuna nessun altro poteva sentire. Ti accorgevi che cantando, o meglio vibrando, che si aprivano il respiro e la mente, crescevano il coraggio e la voglia di fare, la fiducia in te stesso. Questo è il potere della musica, in queste situazioni: questo può dare tutto il senso per capire cosa serve un evento di piazza. Se non altro - è questo. Perché, e qui chiudi, è verissimo, è drammatico che l'ascolto non sia da tutti, però. a tuo modo di vedere dovrebbe essere qualcosa che arriva ancora prima della musica e dell'arte, dovrebbe essere qualcosa di vitale in modo basilare, che arriva dritto alla fibra del corpo, e da lì riprende corsa e slancio e ha la potenza di rovesciare il mondo e trasformare la realtà.
L'ascolto in fondo è attenzione all'altro: e per sapere comunicare, occorre saper ascoltare.

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