Quattro anni fa iniziavano le campagne di NOmattatoio. A Roma. In quattro anni, di cose se ne possono fare molte, fino a che arriva il momento che occorre cambiare.
Hai chiacchierato via internet con Rita Ciatti, che è tra le ideatrici della campagna, insieme a Eloise Cotronei e Andrea Festa.
NOmattatoio esiste da 4 anni. quattro anni per le strade. Volete ricordare il suo significato, come e perché è nato?
NOmattatoio è il nome che quasi quattro anni fa abbiamo dato a una campagna consistente in presidi regolari davanti ai mattatoi allo scopo di sensibilizzare le persone sullo sfruttamento degli animali. Durante queste iniziative facevamo diverse cose: documentavamo, tramite video e foto, l'arrivo dei camion contenenti gli animali, volantinavamo tra le auto che si fermavano ai semafori, davamo vita a una protesta esponendo cartelli, striscioni e parlando al microfono. Ai primi presidi abbiamo avuto una partecipazione costante di un centinaio e anche più di attivisti, per questo pensammo di creare una rete e di estenderla ad altre città, cosa che è avvenuta. C'è stato un momento in cui NOmattatoio è stato attivo in diverse regioni e città italiane, ma poi, per un motivo o per l'altro, alcuni gruppi hanno smesso, altri hanno diradato i presidi.
Non abbiamo fatto solo questo: durante questi anni abbiamo presentato i contenuti della campagna in diversi festival antispecisti, durante serate organizzate appositamente, nei santuari che ospitano animali salvati dagli allevamenti e abbiamo persino fatto una campagna cartellonistica nella metropolitana di Roma che ha ricevuto una notevole attenzione mediatica; inoltre, ai presidi in strada nei pressi o davanti ai mattatoi, abbiamo anche affiancato iniziative nelle piazze di vario genere, banchetti, manifestazioni statiche, presentazione di video che mostrano la realtà della schiavitù animale.
Nel 2016 abbiamo anche collaborato all'organizzazione di un piccolo festival antispecista, Il Villaggio Bestiale, incentrato sull'arte, in cui Andrea Festa ha presentato una mostra fotografica dal titolo "Gli invisibili". Queste foto, di grande impatto emotivo, mostrano degli attivisti che mimano il gesto di reggere tra le braccia o tra le mani un animale morto, che però non c'è, in quanto appunto invisibile, o meglio, reso invisibile nella sua individualità che lo considera solo un numero, un oggetto, un prodotto alimentare.
E, a proposito di invisibilità, vorrei qui ricordare che una delle frasi portanti di NOmattatoio è stata appunto: rendiamo visibili gli invisibili. Molti per esempio non hanno capito il perché di una regola stringente che avevamo messo, ossia partecipare solo a titolo di persone singole e non come esponenti di associazioni portando loghi e bandiere, ma il motivo era proprio quello di scendere in strada solo con i nostri corpi, di individui anonimi, non riconoscibili in una sigla, a rappresentare appunto i corpi degli animali che vanno a morire. Corpi che lottano per altri corpi. E poi un'altra frase che abbiamo modificato nel tempo e fatta nostra è stata quella dell'attivista iraniano Ali Shariati, che in origine diceva: "Se non potete eliminare un'ingiustizia raccontatela a tutti", ma che poi abbiamo cambiato in: "Il primo passo per eliminare un'ingiustizia è raccontarla a tutti". Ecco, documentare, mostrare i volti di quegli individui che stavano andando a morire, era quello che facevamo.
E che bilancio dareste a questi 4 anni?
Da una parte positivo, perché abbiamo iniziato in Italia quello che si sentiva nell'aria da un po': andare a protestare davanti ai mattatoi. Abbiamo avuto il coraggio di farlo e ci abbiamo messo molto impegno, tra l'altro ricordo che la campagna è sempre stata autofinanziata, che non ci siamo mai costituiti come associazione e che ci siamo sempre sforzati di mettere gli animali in primo piano. Dall'altra, devo essere sincera, la campagna non è andata come io speravo all'inizio perché il sogno che io, ma anche gli altri di NOmattatoio avevamo in testa quando abbiamo iniziato, non si è realizzato. Il nostro sogno era quello di arrivare a essere tantissimi davanti ai cancelli di quei luoghi dove si compie giornalmente uno dei più orrendi massacri della storia, così tanti da suscitare un'attenzione mediatica significativa e quindi un dibattito sociale, invece le cose non sono andate così. Sì, qualche quotidiano importante ha scritto degli articoli (soprattutto, come detto sopra, al riguardo della campagna di affissioni in metropolitana), anche la stampa locale, ma in tv ancora siamo agli squallidi teatrini delle trasmissioni che titolano "vegani contro carnivori" e quindi non mi pare di aver fatto dei passi avanti. Dopo un po' la partecipazione è diminuita, i gruppi nelle altre città hanno mollato (per carità, ognuno aveva le sue legittime ragioni, ma c'è anche da dire che nel nostro paese siamo particolarmente bravi a pestarci i piedi da soli e a criticare tutto quello che si fa, creando un'atmosfera in cui è difficile lavorare serenamente, fatto che scoraggia molti attivisti dal proseguire) e quindi anche l'entusiasmo nostro si è un po' spento.
Abbiamo continuato a fare i presidi, ma ci siamo interrogati più volte sul senso di tutto ciò, dal momento che un conto sarebbe stato se fossimo stati in mille davanti ai mattatoi, o anche cinquecento, ma un altro era ritrovarsi sempre i venti, trenta, tra i soliti noti insomma. Ho subodorato il rischio dell'autoreferenzialità, il ritrovarsi tra di noi per parlare a noi. Anche la documentazione degli animali che vanno a morire, fatta sempre con enorme rispetto, se non arriva a raggiungere i media nazionali, ma rimane pubblicata sulla nostra pagina, seguita dagli stessi animalisti e antispecisti che sono già persone che hanno preso una posizione contro lo sfruttamento animale, finisce per perdere di senso. Oggi, peraltro, vedo in modo abbastanza critico il continuare a riprendere gli animali che stanno entrando al mattatoio perché mi sembra che si stia spettacolarizzando un po' l'intera operazione e che se non si riesce a tradurla in una protesta politica efficace, si svuoti veramente di contenuti.
Questo è il motivo per cui siamo usciti da The Save Movement, cui avevamo inizialmente aderito. Ci tengo a precisare che comunque questo è il mio pensiero, che non necessariamente coincide con quello degli altri di NOmattatoio. La decisione di smettere di fare i presidi, dunque, almeno nella formula in cui li abbiamo fatti in questi quasi quattro anni, ha fatto seguito a queste e altre riflessioni. Con questo non intendo dire che finisce NOmattatoio, stiamo comunque facendo delle cose, ma che si evolverà in altro. Un attivismo incapace di mettersi in discussione e di cambiare tattiche e strategie, non può essere un attivismo efficace.
Oggi NOmattatoio cambia metodi di azione. Da quali considerazioni è derivato questo cambiamento? Che cosa comporta - in termini di diverse capacità, competenze, tipi di azioni - questa nuova forma?
Ecco, penso di aver già risposto in parte a queste domande. Più che di metodi di azione, io parlerei di contenuti, nel senso che, personalmente, non credo nella separazione tra contenuto e forma. è la forma che indirizza i contenuti, o meglio, sono i contenuti che devono cercare e trovare una propria forma per esprimersi. Motivo per cui sono molto critica riguardo le campagne basate sull'ottenimento di riforme welfaristiche. Se si persegue la via, la strategia del welfarismo, il fine diventa altro rispetto a quello della liberazione animale. I piccoli passi sono necessari, la liberazione è un processo, ma vanno saputi indirizzare bene. Per cui, possiamo dire che i contenuti di NOmattatoio sono quelli di una lotta radicale a ogni forma di sfruttamento del vivente in questa società, sfruttamento materiale che si sostiene e rafforza sulla discriminazione ed esclusione simboliche di alcuni soggetti. L'oppressione reale, concreta, tangibile, quale quella degli animali che vengono trasformati in prodotti alimentari, o in indumenti di vestiario, che vengono torturati nei laboratori di vivisezione o rinchiusi negli zoo, per essere giustificata, deve prima essere naturalizzata, normalizzata e questo avviene attraverso una narrazione culturale in senso ampio che è molto difficile mettere in discussione poiché ci viene propinata sin da quando nasciamo dalla cultura in cui cresciamo. Serve quindi un lavoro su più fronti, culturale in senso ampio, e quando parlo di cultura io intendo tutto ciò che la nostra specie produce, quindi il diritto, l'economia, la politica, l'arte, la letteratura, la filosofia.
La lotta per la liberazione animale (e di ogni altro soggetto oppresso) deve farsi politica, ossia deve ottenere un riconoscimento politico che oggi ancora non ha. Gli altri animali continuano ancora a essere ritenuti soggetti secondari, meno importanti di altri, e chi se ne occupa non viene preso sul serio. Noi attivisti dobbiamo rivendicare la centralità e importanza di questa lotta di giustizia e possiamo farlo solo a patto di riuscire a mettere in primo piano la soggettività animale. Gli animali, non noi. Non i vegani. Basta parlare di veganismo. Parliamo di oppressione, schiavitù, soggettività animale, ribellione animale.
Quale è la situazione dei cinghiali romani, come si è andata formando negli anni? E come mai avete scelto come NOmattatoio questa prima causa per inaugurare le nuove modalità di azione?
Ecco, tra le cose che stiamo facendo adesso, è cercare di impedire che la sindaca Raggi firmi un protocollo d'intesa tra la Regione lazio e il comune di Roma per l'abbattimento dei cinghiali che sono stati avvistati in diverse zone della periferia romana. Ci siamo opposti in via formale e sostanziale inviando ai vari soggetti istituzionali coinvolti dell'ampio materiale di natura giuridica, veterinaria ed etologica in cui si spiega che tale provvedimento violerebbe la legge nazionale e quelle regionali che, tra l'altro, dispongono che prima di procedere all'abbattimento dei cinghiali, bisogna necessariamente esperire dei metodi non cruenti (quali sterilizzazione) e dimostrare che gli stessi siano stati inefficaci. Cosa che non è avvenuta. A oggi nessuno ci ha ancora risposto e stiamo valutando il da farsi. Abbiamo diversi video che mostrano l'assoluta innocuità di questi cinghiali che peraltro accedono alle aree urbane anche a causa delle falle che ci sono nella recinzione delle riserve faunistiche protette (quindi per mancata manutenzione dell'amministrazione), ma anche in questo caso la narrazione antropocentrica e teriofobica ha inciso parecchio nel metter su un allarmismo del tutto ingiustificato. Abbiamo deciso di intervenire perché siamo su Roma e ci sembra opportuno occuparsi delle questioni del territorio; anche la campagna dei presidi iniziò dal mattatoio di Roma.
Postilla: ritenete che queste nuove modalità di azione richiedano anche nuove e diverse competenze rispetto a prima? E se sì: vanno a integrare quelle precedenti o le sostituiscono interamente? Quali sono queste nuove competene? E che significato ha, secondo voi, la parola 'competenza'?
Ogni questione richiede sempre delle competenze specifiche e secondo me si lavora bene quando si riconoscono i propri limiti e si cerca l'aiuto di professionisti. Per esempio, riguardo la questione dei cinghiali abbiamo contattato un giurista molto preparato e un team di veterinari ed etologi, nonché altri attivisti che si stanno occupando della medesima problematica in altre regione.
A tal proposito ringrazio per l'aiuto fornitoci Francesco del Rifugio Miletta e le veterinarie Roberta De Vincenzi e Paola Gagliano e l'esperto giurista di diritto ambientale Cristiano Lorenzo Kustermann.
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