lunedì 10 dicembre 2018

Come animali al macello



Hai recuperato  dalle bozze del blog, un 'pezzo', che era stato scritto per il commento del libro "Un'eterna Treblinka" di Charles Patterson - che poi hai risolto in altro modo, ché di questo pezzo ti eri apparentemente scordato. Il pezzo ti sembra possa contenere spunti di per sé non necessariamente vincolati alla occasione libro, perciò non ti sembra una cattiva idea proporlo di per se stesso.




In questi giorni, (6,7,8,9 agosto) sono morti in strada 14 braccianti, di ritorno da una giornata massacrante nei campi di pomodori. Circola la foto di un furgone simile a quello dove erano stipati.
Subito dopo, c'è stato lo sciopero dei braccianti. Uno dei loro cartelli issati durante il corteo, grida: "siamo lavoratori, non carne da macello".
Ne scrive una riflessione condivisibile Rita Ciatti sul suo blog. 

Tu pensi che quella frase ("Come animali al macello") usata e ripresa anche nei giornali, sia una doppia negazione, ai danni degli animali: è stata fatta probabilmente in modo automatico, inconsapevole di cosa c'è dietro la 'carne da macello' - c'è un sistema organizzato di morte, una filiera lunga di morte e diffusa sul territorio. La 'carne da macello', secondo quel cartello non è giammai viva, nasce - se nasce - già morta, non è mai parte di un animale, mai è organo, muscolo, arto, volto riconoscibile di un animale. Ma è solo un 'pezzo di carne', che - chissà come - è come se spuntasse di bel nuovo proprio lì, dentro il macello: e il macellarla fosse, in qualche modo, un 'semplice' tagliarla a fette. O forse, al contrario, c'è piena consapevolezza di cosa ci sia 'dietro' alla 'carne da macello' (e se rimanessero dubbi, ci sono stati casi di volenterosi allevatori e gestori di agriturismi che organizzano grigliate dentro le stalle, di fronte alle mucche).

Non si vede più che la violenza è unica: che è quella di un sistema che fagocita tutti e tutto, stritolandoli fino a che son profittevoli e mai preoccupandosi né del loro benessere, né della loro sicurezza, figuriamoci della loro gioia, delle loro speranze, dei loro desideri - proprio perché sono 'pezzi' intercambiabili, denti di ingranaggi, grezze materie prime da lavorare. Un sistema talmente pervasivo e interiorizzato che persino quelli che si trovano in fondo al grattacielo, accettano come normale che ci sia qualche vivente che soto di loro soffre più di loro, che è il simbolo assoluto e indiscusso di ogni degradazione, termine di paragone di ogni sopruso - ma solo perchè su questo qualcuno i soprusi e le degradazioni, intrise di violenza estrema, sono la modalità 'normale' di comportamento.

Su questo parallelismo - 'pezzo' di carne da macello / corpo vivente da alienare per ucciderlo - si gioca la terza parte del libro di Charles Patterson, "Un'eterna Treblinka".






Nella terza parte - forse quella allo stesso tempo più etica e più discutibile - Patterson infatti dà voce a quanti - ebrei o tedeschi - hanno iniziato a difendere gli animali a partire dalla loro personale rielaborazione dell'esperienza in lager.
Certo - potresti dire - si tratta di una giustapposizione di narrazioni personali, individuali, del tutto indipendenti e autonome l'una dall'altra. La loro somma non fa una regola - ma al massimo un reportage giornalistico, che comunque ha un certo impatto.
Sono esempi di vissuti, che vengono messi a disposizione di tutti quelli che vorrano conoscertli e che possono così venire a conoscenza di ciò che era il lager, anche se non lo hanno sperimentato e subìto in prima persona.
Questi racconti hanno forse il loro punto di forza nel fatto che chi li sta narrando mette in primo piano il suo essere stato vittima, corpo vulnerabile esposto alla morte senza alcuna possibilità di difesa che non fosse l'alea della sorte casuale - poiché era schiacciato da una macchina organizzativa, burocratica, tecnologica, logistica e ideologica immensa e letteralmente sovrumana. Che è poi la identica sensazione che tocca in sorte ai milioni di animali 'da qualsiasi cosa' che nascono già prigionieri nei meccanismi umani.

Il focus del discorso, per molti è: gli animali sono deboli, non hanno voce, non possono difendere se stessi e gli altri - e anche noi (i prigionieri nei lager) eravamo così. Poche persone furono disposte ad aiutare gli ebrei durante le persecuzioni naziste. Per la maggioranza della popolazione, la vita continuava come se nulla stesse accadendo. Perciò i sopravvissuti hanno saputo - in molti casi - estendere la propria solidarietà oltre la barriera di specie. Lo hanno fatto perché hanno provato sulla loro pelle e nei loro corpi lo stesso stato precario che vivono gli animali nella società umana specista. C'è forse anche l'idea di una specie di risarcimento morale, eseguito per interposta corporeità.
Una perplessità ti viene - e però è nata molti anni dopo, in seguito a letture successive - a proposito della totale assenza di voce degli animali. In realtà, dici, hanno una loro voce propria, che - unita a gesti di resistenza-  li trasforma da corpi pressoché inanimati, del tutto passivi, in individui consapevoli e determinati a resistere, o per lo meno a non arrendersi - anche se, bisogna riconoscerlo, la morsa zootecnica umana è davvero tenace e schiacciante, i margini di difesa, di fuga, di sopravvivenza sono spiragli millimetrici e fulminei.  Gli animali hanno voce, ma viene ignorata, viene azzittita e si perde nella cacofonia umana.

Gli spunti interessanti ci sono e rimangono presenti. Come quando si legge che per le persone addette ai lager quello era un lavoro; così come lo è per il vivisettore, il cacciatore, il pellicciaio o l'allevatore. Ma sono spunti, virgolettati di frasi di sopravvissuti che 'dopo' si son dedicati agli animali e che elaborano questi ragionamenti sulla base della loro esperienza passata.

O come quando si dice che gli esseri umani vedono chiaramente la propria oppressione solo quando essi sono le vittime. Altrimenti perseguitano ciecamente e senza pensare.  (Il pensiero, che definisce, sulla falsariga di Isaac B. Singer tutti gli umani come nazisti, viene espresso da "Hacker", attivista Alf in USA che pianificò una azione contro il laboratorio per i traumi cranici del dottor Thomas Gennarelli - lo evidenzi perché ricordi ancora adesso che molti decenni fa, in un puntata di Quark trasmisero un filmato proprio su quegli esperimenti, dove ai babbuini veniva fracassato il cranio a martellate; e fu presentato come una cosa 'normale': era normale anche che una delle partecipanti agli esprimenti si divertisse a muovere le braccia del babbuino come se fosse un pupazzo, mentre il babbuino sollevava lo sguardo tramortito verso di lei).

Lo stile del libro rimane invariato: una lunga carrellata di storie esemplari, raccontate da molti sopravvissuti dell'Olocausto, che parlano del loro "bisogno di soccorrere", un forte impulso a salvare vite; o della sensazione che ci sia qualcosa di eticamente ed esteticamente osceno nel prendere un bell'animale senziente, colpirlo alla testa, tagliarlo a pezzi e mangiarlo.
Per estensione, sono osceni tutti gli atti compiuti dentro i laboratori, negli zoo, sotto i tendoni dei circhi, negli allevamenti. Sono le 'scatole nere' (così le definisce Alex Hershaft), aree separate, anonime, dove la nostra società conduce "i suoi sporchi affari fatti di violenza e sterminio di innocenti esseri senzienti. Sono i nostri lager. Abbiamo le idee chiare su cosa accade lì dentro, ma non vogliamo saperne nulla". 

Il post in bozza finiva così (ci sei comunque entrato per modificarlo, hai inserito delle considerazioni).
La conclusione, invece, è scritta di bel nuovo.
Eccola.

Ricorre, il termine osceno: sembra essere una cifra esplicativa di molte delle attività che caratterizzano la nostra società. Una società che sembra considerare maggiormente ciò che è atto violento - cioè aggressivo finalizzato a opprimere schiacciare - invece che ciò che è atto di cura - cioè accogliente, finalizzato a far vivere.
La morte, elargita insieme alla violenza, è più accettata degli atti che favoriscono la vita. Osceno capovolge il suo senso, diviene stigma da gettare contro atti 'spudorati', sensuali, fisici, vitali; mentre viene risparmiato ad azioni violente, che vogliono ferire, uccidere. La violenza e la forza aggressiva diventano giustizia, mentre l'accoglienza e la cura della vita diventano crimini da reprimere.

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