mercoledì 27 novembre 2019

Processo al mattatoio di via Traves



Te lo ricordi, il mattatoio in via Traves,  a Torino.
Ricordi la  strada lunga e veloce che si trova di fronte e la zona inospitale dove è situato, dove l'unica costruzione recente è il J Village.
Ricordi i presidi NOmattatoio organizzati di fronte, a cui hai partecipato.





Il mattatoio ha avuto il suo spazio in cronaca, in questo 2019.
Si è parlato di debiti, di licenziamenti e di non rispetto delle regole per il 'benessere animale' prima della macellazione (sic).
Tutto è finito in tribunale, ma alla fine il processo penale si è concluso con la prescrizione di tutti i reati. Un processo 'oscuro, doloroso, terribile'. 

Non hanno sortito alcun effetto le narrazioni e le dichiarazioni sui maltrattamenti e le crudeltà fatte subire agli animali condotti alla morte: "animali gravemente ammalati caricati sui camion e portati alle gabbie di macellazione, nonostante le precarie condizioni; dissanguamenti estenuanti prima della morte delle bestie; veterinari minacciati se chiedono un po' di pietà per gli animali docciati a - 3° sul camminamento che li porta alla morte." Più di duecento pagine di racconti, tutti di questo tipo. Le veterinarie che hanno avuto il coraggio di raccontare queste crudeltà, hanno a loro volta dovuto subire intimidazioni e minacce sul luogo del lavoro.
I titolari si lamentano, però: questa 'cattiva pubblicità' ha causato enormi perdite commerciali al mattatoio. Anche se i reati sono caduti in prescrizione. I tempi tecnici non hanno fatto giustizia, né per gli animali che hanno sofferto, né per le coraggiose che avevano provato a opporsi.
Dice un articolo di Repubblica del 1 febbraio 2019 che gli episodi denunciati erano nove, tra il 2013 e il 2014  - e anche più recenti. I veterinari che hanno fatto queste denunce, che quindi non accondiscendevano al sistema che ignorava di proposito queste pratiche, pare "siano addirittura sorvegliati". Anche se sono di fatto pubblici ufficiali, hanno subito minacce scritte, verbali e sulle loro cose -gli armadietti, l'automobile- e sul posto di lavoro sono state relegate in un container
Intanto, la ditta principale, ha smesso di pagare i suoi addetti, oltre che di macellare. Rimangono quelle più piccole - come si legge nell'articolo.

Una storia triste e squallida, se devi dire come la pensi. Il fatto più allarmante, però è che - a dispetto delle parole usate, 'difformità delle strutture', 'messa in regola', 'benessere animale', queste pratiche - giudicate da film horror - non sono l'eccezione, ma la regola, in qualsiasi mattatoio. Perché? Perché la struttura è di fatto una fabbrica, che deve produrre, tanto e in fretta e in modo da trarne profitto. Una delle voci su cui si può risparmiare è proprio il benessere animale, ché tanto 'devono morire'. E allora, l'uso di pungoli elettrici, bastoni, docce gelate, o persino carrelli elevatori è la consuetudine, non l'eccezione.

Gli animalisti, il 20 novembre, giorno della sentenza, hanno organizzato un presidio.




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