Di recente qualcuno ha scritto: "dobbiamo trattare bene le api". Le api sono fragili insetti, il cui rapporto con le evolute piante angiosperme tiene in equilibrio una vastità di relazioni tra animali e piante. Si tratta di rapporti complessi, intrecciati strettamente da millenni: solo adesso cominciamo a diventarne consapevoli. Perché adesso questo equilibrio si è rotto. E ci stiamo accorgendo che è un domino di catastrofi.
Sempre di recente, lo scrittore Amitav Ghosh, attento in prima persona alla catastrofe climatica in cui ci stiamo sempre più inoltrando, ha detto che sta diventando un obbligo per gli scrittori immaginare, pensare e scrivere storie che lo portino al centro delle trame e delle motivazioni dei personaggi.
"... è impossibile per gli scrittori e gli intellettuali non rispondere in
qualche modo, altrimenti chiuderebbero semplicemente gli occhi", dice Amutav Ghosh. Un po' come se - non (pre)occupandosene, non stessero scrivendo sincera letteratura, non stessero raccontando storie interessanti e significative.
Ha ragione: se ci si sofferma a pensarci, è impossibile non accogersi che davvero potrebbe già essere troppo tardi, che alcuni cambiamenti sono già innescati, che ogni giorno possiamo già vivere sulla nostra pelle queste situazioni, che trasformano ineluttabilmente e velocemente la vita quotidiana.
La scomparsa delle api, rientra proprio in questa quotidianità, perché anche se a nessuno viene in mente, è perché ci sono le api che noi possiamo mangiare la frutta e la verdura.
Maja Lunde ha riflettuto su questi intrecci e ha deciso di scrivere una tetralogia su temi climatici. Il primo libro parla proprio delle api, si intitola infatti "La storia delle api" ("Bienes historie" 2015), pubblicato in Italia nel 2017 da Marsilio.
Anche se, come si legge qui, la definizione di narratica climatica può essere semplicistica: piuttosto, il romanzo è una distopia. Ha radici nel passato del XIX secolo, fa una sosta nel nostro presente e poi ci mostra uno scorcio - che in verità è già realtà, esattamente nello stesso luogo del libro - di un futuro per niente desiderabile. Eppure è un futuro che sembra essere il necessario e logico esito delle azioni che abbiamo visto svolgersi nelle due epoche precedenti.
Un filo rosso di serendipità di intrecci complessi, lega le tre storie: di Tao, impollinatrice nella Cina del 2098 - la circostanza della scomparsa delle api, sostituite da impollinatori umani si è già verificata proprio in Cina; di William, mercante apicoltore fallito nella Inghilterra del 1852; di George, nell'Ohio del 2007 (anno della 'Sindrome dello spopolamento degli alveari'). Tutti e tre sono genitori che fanno fatica a comunicare coi propri figli. Tutti e tre devono scoprire, in modo doloroso, quanto la vita intorno a loro stia cambiando, volgendo forse al peggio, per via dell'ammalarsi e poi scomparire delle api.
Proprio il fatto che siano genitori in difficoltà, ti è rimasto impresso. Il legame tra genitori e figli è tra le cose più 'naturali' che si possano immaginare, al di là che si realizzino come legami riusciti o meno, per i più svariati motivi che si possano immaginare. Nelle tre situazioni raccontate, non è diverso: le difficoltò ostacolano, quando non interompono, questa relazione, salvo poi ridirezionarla verso altri esiti.
Questo non saper (più? Ancora?) essere genitori, questa difficoltà relazionale, ti ha dato l'impressione di rispecchiare quella difficoltà relazionale più vasta - globale, in effetti - che gli umani intrattengono con il resto degli animali e delle piante terrestri. Una relazione sempre estremizzata, dispari, compromessa, sbilanciata, poiché gli umani non sono - non sembrano esserlo - in grado di concepirla altrimenti che di consumo incondizionato di qualsiasi altra realtà vivente. Un qualcosa, insomma, che è tutt'altro che una relazione - piuttosto, una imposizione. Senza avere la pazienza né la voglia di darsi il tempo per capire davvero, per creare davvero una relazione, frutto di intrecci. Con le conseguenze che sono sotto i loro occhi e che vivono - viviamo già oggi - sulla pelle.
Infatti, William Savage, ha come obiettivo il controllo. Scrive nel suo diario: "
“Avevo delle idee ancora nebulose che avei voluto mettere per iscritto prima che svanissero. Mi ero immaginato una cassa in legno, con il tetto digradante. Le arnie in paglia intrecciata avevano una forma armonica e naturale, parevano nidi, si confondevano quasi con gli steli ondeggianti dei campi. Quello che volevo creare io era qualcosa di diverso: una costruzione ben radicata nella civiltà, una piccola casa per le api con porte e aperture che rendevano possibile osservarne l’interno. Avrebbe dovuto essere creata dall’uomo, perché solamente noi esseri umani avremmo potuto edificare una simile struttura, una costruzione su cui si potesse vigilare, che lasciasse all’uomo, e non alla natura, il controllo.” (p.153).
George - che costruisce le arnie seguendo il modello immaginato da William - o meglio, non proprio da lui, ma rivelare da chi, sarebbe spoiler - si trova faccia a faccia con il CCD, ovvero Colony Collapse Disorder del 2007, in USA e la sua vita viene capovolta. Le arnie 'speciali', quindi, smettono di essere la soluzione ai problemi che sembravano essere.
Tao, in una Cina dove l'individuo non è mai al centro delle considerazioni di un potere tecnico e politico tanto onnipresente quanto spesso invisibile, deve scoprire angosciose verità mediche, mentre si mette alla ricerca di suo figlio - un bambino piccolo - vittima di cambiamenti naturali inaspettati e forieri di nuovi dubbi. Lei diventerà una testimone, il Potere la porterà in viaggio per tutto il Paese, a raccontare la sua storia.
Infine, anche se forse sembra anche un finale speranzoso, nessuno degli umani del futuro riesce a uscire dalla visione consueta: natura e animali rimangono a uso e consumo degli umani. Anche i discorsi di attenzione ecologica rimangono focalizzati su una idea di utilità - persino quando si parla di ripensare le azioni della umana civiltà.
Maja Lunde ha riflettuto su questi intrecci e ha deciso di scrivere una tetralogia su temi climatici. Il primo libro parla proprio delle api, si intitola infatti "La storia delle api" ("Bienes historie" 2015), pubblicato in Italia nel 2017 da Marsilio.
Anche se, come si legge qui, la definizione di narratica climatica può essere semplicistica: piuttosto, il romanzo è una distopia. Ha radici nel passato del XIX secolo, fa una sosta nel nostro presente e poi ci mostra uno scorcio - che in verità è già realtà, esattamente nello stesso luogo del libro - di un futuro per niente desiderabile. Eppure è un futuro che sembra essere il necessario e logico esito delle azioni che abbiamo visto svolgersi nelle due epoche precedenti.
Un filo rosso di serendipità di intrecci complessi, lega le tre storie: di Tao, impollinatrice nella Cina del 2098 - la circostanza della scomparsa delle api, sostituite da impollinatori umani si è già verificata proprio in Cina; di William, mercante apicoltore fallito nella Inghilterra del 1852; di George, nell'Ohio del 2007 (anno della 'Sindrome dello spopolamento degli alveari'). Tutti e tre sono genitori che fanno fatica a comunicare coi propri figli. Tutti e tre devono scoprire, in modo doloroso, quanto la vita intorno a loro stia cambiando, volgendo forse al peggio, per via dell'ammalarsi e poi scomparire delle api.
Proprio il fatto che siano genitori in difficoltà, ti è rimasto impresso. Il legame tra genitori e figli è tra le cose più 'naturali' che si possano immaginare, al di là che si realizzino come legami riusciti o meno, per i più svariati motivi che si possano immaginare. Nelle tre situazioni raccontate, non è diverso: le difficoltò ostacolano, quando non interompono, questa relazione, salvo poi ridirezionarla verso altri esiti.
Questo non saper (più? Ancora?) essere genitori, questa difficoltà relazionale, ti ha dato l'impressione di rispecchiare quella difficoltà relazionale più vasta - globale, in effetti - che gli umani intrattengono con il resto degli animali e delle piante terrestri. Una relazione sempre estremizzata, dispari, compromessa, sbilanciata, poiché gli umani non sono - non sembrano esserlo - in grado di concepirla altrimenti che di consumo incondizionato di qualsiasi altra realtà vivente. Un qualcosa, insomma, che è tutt'altro che una relazione - piuttosto, una imposizione. Senza avere la pazienza né la voglia di darsi il tempo per capire davvero, per creare davvero una relazione, frutto di intrecci. Con le conseguenze che sono sotto i loro occhi e che vivono - viviamo già oggi - sulla pelle.
Infatti, William Savage, ha come obiettivo il controllo. Scrive nel suo diario: "
“Avevo delle idee ancora nebulose che avei voluto mettere per iscritto prima che svanissero. Mi ero immaginato una cassa in legno, con il tetto digradante. Le arnie in paglia intrecciata avevano una forma armonica e naturale, parevano nidi, si confondevano quasi con gli steli ondeggianti dei campi. Quello che volevo creare io era qualcosa di diverso: una costruzione ben radicata nella civiltà, una piccola casa per le api con porte e aperture che rendevano possibile osservarne l’interno. Avrebbe dovuto essere creata dall’uomo, perché solamente noi esseri umani avremmo potuto edificare una simile struttura, una costruzione su cui si potesse vigilare, che lasciasse all’uomo, e non alla natura, il controllo.” (p.153).
George - che costruisce le arnie seguendo il modello immaginato da William - o meglio, non proprio da lui, ma rivelare da chi, sarebbe spoiler - si trova faccia a faccia con il CCD, ovvero Colony Collapse Disorder del 2007, in USA e la sua vita viene capovolta. Le arnie 'speciali', quindi, smettono di essere la soluzione ai problemi che sembravano essere.
Tao, in una Cina dove l'individuo non è mai al centro delle considerazioni di un potere tecnico e politico tanto onnipresente quanto spesso invisibile, deve scoprire angosciose verità mediche, mentre si mette alla ricerca di suo figlio - un bambino piccolo - vittima di cambiamenti naturali inaspettati e forieri di nuovi dubbi. Lei diventerà una testimone, il Potere la porterà in viaggio per tutto il Paese, a raccontare la sua storia.
Infine, anche se forse sembra anche un finale speranzoso, nessuno degli umani del futuro riesce a uscire dalla visione consueta: natura e animali rimangono a uso e consumo degli umani. Anche i discorsi di attenzione ecologica rimangono focalizzati su una idea di utilità - persino quando si parla di ripensare le azioni della umana civiltà.
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