sabato 8 settembre 2018

Solitude Standing (?) - emeroteca



SOLITUDINE

GRANDE SOLCO PROFONDO

IL FIUME BIANCO



un elefante prigioniero dell'orrore del circo, un individuo spezzato in mille pezzi di terrore


"Quando la solitudine genera tiranni!" è il titolo di un articolo di Michele Ainis, pubblicato su Repubblica di lunedì 3 settembre 2018.
Lo hai letto, alcune sue frasi ti sono precipitate subito dentro la tua vita e i ricordi delle tue esperienze, perciò hai pensato di raccontare qui.

Gli italiani - scrive Ainis, si sentono soli in mezzo alla folla.
"Una solitudine di massa, un sentimento collettivo  d'esclusione, di lontananza rispetto alle vite degli altri, come se ciascuno fosse un'isola, una boa che galleggia in mare aperto".  Questa frase è talmente piena di rimandi e riecheggiamenti, di immagini e suggerimenti: l'uomo non è un'isola, le vite degli altri (da spiare? da temere?), l'esclusione reciproca e autoimposta (di reietti o di aristocratici?).
La solitudine si diffonde tra gli adolescenti, come gli hikikomori giapponesi; si diffonde tra gli anziani, li imprigiona davanti alla televisione - per sentire delle voci, per vedere dei volti.
"Infine sommerge come un'onda ogni generazione, ogni ceto sociale, ogni contrada del nostro territorio".
Ci sono ricerche sociologiche. Soprattutto, c'è la esperienza personale che ognuno di noi può, se vuole, riportare, raccontare. Forse, almeno una volta nella vita, ciascuno di noi si è sentito del tutto solo. Ma per molti, la solitudine si cronicizza, arriva per non più andar via: "8,5 milioni di italiani... vivono da soli e molti di più si sentono soli, senza un affetto, senza il conforto di un amante o di un amico... il 18,2 % degli italiani non ha nessuno cui rivolgersi nei momenti di difficoltà... l'11,9 % non sa indicare un conoscente né un parente con cui parli abitualmente dei propri affanni, dei propri problemi... il 47% degli italiani dichiara di rimanere da solo in media per 5 ore al giorno" (son dati di una ricerca Eurostat del 2015). La ricerca è, ovviamente, svolta su scala europea. Il fantasma della solitudine attraversa molti posti del cosiddetto occidente (gli USA, la Gran Bretagna, la Germania, il Giappone): sequele di giorni in uno stato di solitudine assoluta, nessuna convinvenza, in Giappone gli anziani poveri "scelgono il carcere, pur di procurarsi cibo caldo e un po' di compagnia", in Inghilterra hanno persino istituito il Ministero della Solitudine. 
"Altrove, il fenomeno della solitudine viene trattato come un'emergenza, si studiano rimedi ... in Italia, viceversa, viaggiamo a fari spenti, senza interrogaci sulle cause delle nuove solitudini, senza sforzarci di temperarne gli effetti".
Le cause? "la teconologia che" ci allontana dal contatto fisico, ci separa dagli altri, ci racchiude in una bolla virtuale. "L'eclissi dei luoghi aggreganti ... sostituiti da una distesa di periferie... le nuove forme di commercio e di consumo... in quarto luogo, l'invecchiamento della popolazione... individui ... ammalati cronici, e ciascuno ... sempre solo dinanzi al proprio male ... infine ... la precarietà dell'esistenza ... si cambia città e lavoro ...senza trovare il tempo di farsi un nuovo amico, di familiarizzare con i nuovi colleghi".
Conseguenze? "La solitudine danneggia la salute... provoca squilibri ormonali, malumore, pressione alta ... maggiore vulnerabilità alle infezioni".
Secondo John e Stephanie Cacioppo, Università di Chicago, i solitari sono più aggressivi, la loro mente sviluppa "un eccesso di reazione, uno stato perenne di allerta, come dinanzi a un pericolo incombente".
E la politica, "il governo della polis"? "Nelle società contemporanee la solitudine di massa ci rende tutti bestie alla mercé di un dio. Sussiste una differenza, infatti, tra solitudine e isolamento". La solitudine può essere una scelta; l'isolamento è sempre una condanna subita contro la propria volontà.
"Nell'epoca della disintermediazione, della crisi di tutti i corpi collettivi, della partecipazione politica ridotta a un tweet o un like, questa condanna ci colpisce uno per uno, trasformandoci in una nube d'atomi impazziti... una somma di egoismi senza un collante, senza un sentimento affratellante. Dunque più deboli rispetto alla stretta del potere". Hannah Arendt ("Vita Activa", ma anche "Le origini del totalitarismo") ci ricorda che "il potere dispotico si regge sull'isolamento: quello del tiranno dai suoi sudditi, quello dei sudditi tra loro, a causa del reciproco timore e del sospetto. Cosicché il cerchio si chiude: le nostre solitudini ci consegnano un catene a un tiranno solitario".

A te capita - è capitato - non poche volte di sentirti del tutto solo. La solitudine è una forma di droga: ce ne se può assuefare, pur, a tratti, detestandola. Nella solitudine, sei allo stesso tempo unico decisore ma anche solitario ostaggio. Non devi render conto a nessuno, ma se non sei emotivamente in pace, presto rischi la auto-alienazione. La solitudine, la vedi, la vivi (l'hai vissuta), come una sfida: sia a conviverci, facendone una risorsa per darti tempo di respirare con tutto te stesso; sia a metterti in gioco - specchio opposto - per neutralizzarla, per rimettere in pratica le 'competenze sociali' e ristare in mezzo anche a una folla. Tutte e due le sfide sono ardue, delicate e spesso la sconfitta subentra da dietro l'angolo. Succede allora, ti sembra, a volte, che si intreccino per rafforzarsi mentre si neutralizzano reciprocamente: il risultato che ne esce è un qualcosa di unico, peculiare e difficile da descrivere, perché è allo stesso tempo una spinta a cercar contatti umani e una esortazione a tener duro in solitaria, per tempi migliori. 

Per concludere, fai solo due considerazioni:  I giapponesi che preferiscono il carcere, ti ricordano le 'preferenze' dei delfini imprigionati nei delfinari: vale a dire, scelte per causa di forza maggiore, la necessità di contrastare il pericolo per la propria stessa sopravvivenza fisica.
Nel caso dei delfini - ma chi garantisce che non accada così anche per molti umani? si potrebbe notare che:  i prigionieri, nel tempo, cambiano profondamente nei loro pensieri, emozioni, persino nei loro corpi. Non solo gli umani si adattano (un 'famoso' pregiudizio specista), ma tutti gli animali (il che dovrebbe essere darwinianamente sempre evidente). Vero: se non posso nutrirmi quando ho fame, se il cibo me lo portano i miei cacerieri, finirò col desiderare di stare con loro. Non sai se siamo dalle parti della sindrome di Stoccolma, o del poliziotto buono vs poliziotto cattivo, o del legame torturatore/torturato, comunque, non credi che siamo molto lontani da queste zone psicopatologiche.

La bolla virtuale che l'articolo elenca è anche uno specchio social - è lei la vera droga odiamata della solitudine - specchio che ci rimanda una realtà su misura, mentre invece è soltanto il riflesso dei nostri desideri, ricerche, preferenze, calcolato dagli algoritmi che con matematica efficienza ne esaltano i dettagli che ci imbozzolano in una falsa accoglienza. Per esempio, per i vegani o gli antispecisti, dalla bacheca FB, tutto il mondo appare ormai in via di trasformazione - certo, è anche un desiderio, una speranza, un antidoto al senso feroce di impotenza di fronte alle sistematiche torture inflitte agli altranimali - mentre quando ti affacci alla finestra e scendi in strada o in piazza, ecco che ti ritrovi letteralmente circondato da persone cieche o indifferenti a questa onda di orrore terrificante, abbondantemente spalmato ovunque.
Infatti, tra gli orrori a cui costringiamo ogni giorno della loro vita milioni di animali, ci sono quelli delle solitudini coatte: nei camion dei circhi, nei delfinari, negli stabulari dei laboratori, nelle gabbie degli allevatori - o persino tra le mura domestiche.

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