Via Traves, Torino |
... ieri, oggi, domani. Anche dopodomani. Anche l'altro ieri. Anche fra una settimana, o un mese. Anche un mese fa, o settimana scorsa.
Una routine senza tempo, perché il tempo non ha pù significato, non ha più senso...
Non ha più significato per gli animali che riempivano questi rimorchi adesso vuoti e pieni solo di corde e di terra mista a merda.
Avrebbe significato solo per quelli ancora vivi, nati per scelta altrui e già morti potenziali nella loro innocenza.
Solo in questo caso il tempo riprende a scorrere, e lo fa a velocità terrificante: il conto alla rovescia verso il coltello è sempre troppo rapido e troppo breve e fermarlo sembra impossibile, Al di là delle capacità di chiunque.
Chi viene al presidio, anche se ci viene sempre, ieri ha pianto. Lacrime per i vitelli sballottati in curva, prigionieri in un doppio rimorchio. Solo vessazione - anche minima - in più, l'ennesima in una vita intera di violenza e costrizione.
Ieri: la banalità del male è andata in scena in un modo quasi teatrale. Ecco come.
Per chi non lo sapesse, di fronte al mattatoio torinese di Via Treves, c'è il ritiro della Juventus. Finora non lo abbiamo visto mai aperto. Ieri, invece, qualcuno al mattino presto ha sistemato delle transenne, ha creato barriere o passaggi stretti e obbligati, come se Temple Grandin fosse stata chiamata a regolare anche il flusso dei tifosi. Ieri, infatti, la squadra della Juventus entrava in questo ritiro per degli allenamenti. (Non sei in grado di essere più specifico di così. Infatti: Non sai nulla del calcio dei club, che non ti ha mai interessato).
Dalla prospettiva diritta e follemente veloce della strada, le due strutture sembrano specchiarsi reciprocamente. Di qua, il ritiro sportivo, fabbrica di soldi, ingaggi, illusioni e miraggi: guardie poliziesche robuste, numerose e forse persino armate presidiavano i cancelli della fortezza juventina, per difenderla da uno sparuto e tranquillissimo gruppetto di tifosi.
Di là, il mattatoio, fabbrica di morte, smontaggio e violenza estrema su corpi vivi e ridotti all'impotenza, a prezzo di violenze costanti e instancabili: due memebri delle forze dell'ordine (in borghese, quindi, anche qui, non puoi essere specifico), giovani ma disarmati, presidiavano la sbarra in fondo allo spiazzo, del resto sempre aperta, alzata, per far correre i camion velocissimi a farsi ingoiare col loro carico di vittime sofferenti e disperate, sembravano lì per difendere il lavoro dei macellai e la sicurezza dei camionisti e degli autisti, mettendoli al riparo dalle foto troppo ravvicinate, fatte da uno sparuto gruppo di attivisti, tesi a cogliere i dettagli, i particolari, colti di sorpresa all'interno dei rimorchi, le corde che penzolano, il pavimento dove son scivolati gli zoccoli, cose così. Pr questo, le foto le abbiam sempre fatte.
"Non tutto quello che è consuetudine è anche permesso",
"Noi siamo qui per far fare a voi il vostro lavoro ma anche gli autisti devono poter fare il loro, non siamo qui a discutere le idee ognuno puà avere le idee che preferisce siamo in libertà, ma se lo infastidite e poi quello scende dal camion, noi che facciamo, me lo dite? fate le foto da qui - dal marciapiede - cosa cambia invece che farle vicino al camion?"
Secondo voi, quale è la risposta da dare?
E del destino delle vittime, che ne facciamo?
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