Sono un animalista che è anche un
pubblicista, cioè giornalista. I presìdi sono una delle occasioni
in cui le due cose arrivano a coincidere.
Nei presìdi - come nei banchetti ma in
modo più diretto e forte - si ha l'esperienza di venire a contatto
con ogni genere di comportamento e reazione di umani, sorpresi nel
loro quotidiano inconsapevole degli animali che gli sono accanto. E
di questo voglio parlare.
Ma prima, due parole sui 'suoni' che ho
sentito, la colonna sonora senza musica dei filmati-testimonianza.
Ho capito che: ogni mucca, vitello,
ogni gallina, pulcino, ogni maiale, trascina costantemente tutta la
sua esistenza di dolore, in mezzo a suoni di ferro. Ringhi, stridori,
sibili, soffi, clangori, sussulti sbattenti di cancelli, sbarre,
trappole, scoppi di pistola, tonfi di corpi, urla spietate, tocchi
secchi dei bastoni. Seghe che mordono, martelli che pestano, catene
che tirano. Piedi che calciano. Tenaglie che afferrano Strappi
cocenti. Urla di umani feroci, risa, insulti, aggressione sonora.
Freddo. Vento.
Su corpi piegati e piagati, per i quali
non esiste MAI nient'altro che questo. Riuscite a immaginarlo? Vivere
una esistenza così?
(Mi sono rimaste impresse alcune
sequenze: il bimbo maialino che agonizza nella polvere grigia del
pavimento lurido della sua prigione buia; il piccolo pollo che ha le
zampe spezzate e si rotola in una sporcizia di piume, sterco,
sostanze chimiche; la mucca esausta, lentissimamente tirata su dalla
carrucola agganciata alla sua zampa - e sembra la tortura del
'tratto di corda' medievale -, il vitello inscatolato nelle
pareti-vasca di ferro prima del proiettile captivo; la scrofa che,
rassegnata e stanca, cammina nel verdastro pallido corridoio delle
gabbie, sculacciata da una impaziente umana e ritorna nella sua
gabbia di contenzione).
Quella del presidio, dunque. E'
un'esperienza che vale la pena di vivere, anche se non è facile,
perché i sentimenti di frustrazione, il senso di burn out, sono in
agguato: si rischia di arrivare a provare solo rancore verso questi
umani indifferenti, a decine, a centinaia, quanti se ne possono
incrociare in un pomeriggio. Anche se piove.
Eppure, il rancore è proprio il primo
sentimento da evitare: il rancore è un blocco che zavorra al
passato, e impedisce di muoversi bene nel presente, che è l'unico
istante di tempo importante. Esattamente come per gli altri animali.
Senza contare che è nel presente che possiamo tentare di costruire
cose per rendere diverso il loro-nostro futuro di animalituttinsieme.
Senza il rancore, sarà possibile
osservare questi umani, sarà possibile ascoltarli. Per capire perché
non si smuovono, e che cosa invece potrebbe svincolarli dai pensieri
prefabbricati della pubblicità consumistica, dell'inganno della
'carne felice' e del 'macello compassionevole'. Quel pomeriggio di
domenica 16 febbraio 2014, a Novara, cittadina piemontarda
grigiotta e bigiotta (e bigotta?) piuttosto anziché no, se ne
son viste sfilare un bel po', di persone, sorprese nel loro amorfo
esibizionistico passeggio ('fare le vasche', si dice in città),
lungo il Corso, per vedere, farsi vedere e spettegolare; per farsi
catturare dalle vetrine, per arrabbiarsi della pioggerellina; per
portare i bimbi alla festa di Carnevale: tutte queste pigrenormali
attività sono incappate a un certo momento nel cerchio del presidio
degli Animalisti, strategicamente piazzati all'Angolo delle Ore,
imprescindibile luogo - fisico, topografico, toponomastico,
culturale, storico - della città. Insomma: i maiali sgozzati non si
potevano non vedere, né tanto meno non sentire.
Ci sono quelli che tirano dritto,
passando in mezzo al cerchio del presidio, come se non esistesse; ci
sono quelli che guardano ostentatamente davanti a sé, si
irrigidiscono, serrano le labbra e forse chiudono anche le orecchie
(perché i 'suoni' sono inequivocabili); ci sono quelli che il
volantino "grazie ma ce l'ho già" (?); ci sono quelli che
si fermano e diventano increduli, spaventati, pietrificati e avvinti
da ciò che vedono; qualcuno fa battute irriferibili (perché non
meritano di esserlo); quelli che 'la coscienza basta lavarla' (una
frase che, a ripensarla in tutti i suoi risvolti e possibili
conseguenze, fa venire i brividi: ecco la banalità del male su cui
prosperano le dittature). E via passeggiando.
Qualcuno - pochi - si interessa,
chiede, possibile che sia davvero così? ma i polli sofforno meno? e
i pesci? ma perché li uccidono?
Se gli occhi si possono chiudere e se
la testa si può voltare, le parole degli speaker non si possono
ammutolire, sono parole accorate che si sentono anche da lontano. La
parola che prega, che si appella, che chiama, che pretende, che
racconta e che descrive le immagini, ne diventa didascalia per
accentuarne la forza e far comprendere il reale significato di quel
che si vede; o anche per aggirare gli occhi chiusi e far arrivare
comunque un racconto a chi si trova lì. La parola, in questa
circostanza, traduce le grida di dolore e terrore degli animali
macellati e torturati.
La parola dovrebbe servire per
contestualizzare queste immagini, la cui violenza può forse azzerare
in chi osserva ogni capacità cognitiva. Allora, chi ha avuto il
coraggio di guardare e comprendere, perché sostenuto da un'etica
diversa e inedita, chi ha filmato, deve farsi carico di spiegare e
raccontare, ciò che le immagini mostrano, senza filtri, senza pausa.
Alla fine della giornata, le mie
domande non trovano una risposta definitiva. Anche se i pensieri e le
idee muovono certi passi.
Ecco le domande: Serve mostrare
immagini del genere? Serve raccontare? Serve dare - oltre alle
immagini, in coda al racconto - degli strumenti per andare oltre a
chi a quel punto ne sente la necessità? O bisogna lasciare che
ciascuno decida di cercare da solo, emozionato da ciò che ha visto,
ma lasciato senza una bussola?
Come sempre, le mie sono domande
genuine, per problematizzare i modi di lotta, impegno e dialogo di
chi ha a cuore la sorte degli animali e si pone di fronte al resto
della società. Nell'unico interesse degli animali altri nostre
vittime indifese.
A ogni domanda - è ciò che spero -
dovrebbe corrispondere un'apertura di una strada, di una alternativa,
di una strategia, a vantaggio degli animali.
La mia esperienza personale è che
furono immagini simili che mi fecero fare i primi ragionamenti e
decidere le prime scelte quando ero ancora piuttosto giovane (un
filmato di agnellini scaricati da un camion di ferro, usando la
macchina che in gergo si chiama 'ragno', perché dotata di una enorme
morsa di pale di ferro, disposte a mo' di zampe meccaniche sul corpo
dello snodo idraulico); ma poi, dietro a quelle immagini, arrivò la
volontà di capire, di conoscere, di leggere, e di continuare a
guardare (quando il mio primo cane scappò e venne ritrovato in
canile, venne riportato a casa insieme a un libro, che conteneva
tante immagini, sia belle che raccapriccianti; ma questa è un'altra
storia). Ma forse, ciò accade per via di una predisposizione
individuale, latente fino a quel momento. Forse, tuttavia,
accade ad altri ciò che capitò a me.
Non posso dire che effetto abbiano
queste immagini su chi oggi le guarda, posso solo sperare sulla
statistica: per cento (dieci?!) umani che le guardano, uno sentirà
il bisogno di iniziare un cammino simile a quello che incominciai io
tanti anni fa. Tuttavia, cogli anni ho scoperto quanto possano essere
suggestive, evocative, potenti, seducenti e convincenti le immagini
degli animali liberi. Ne
ho appena parlato, e ne parlerò ancora, non è un discorso che
si esaurisce in due post. Al contrario, e per fortuna.
Ciao Giovanni, sono anche io un'animalista che da anni partecipa ai presidi "informativi". Ultimamente ho rallentato parecchio, il perché lo hai spiegato bene tu "i sentimenti di frustrazione, il senso di burn out, sono in agguato: si rischia di arrivare a provare solo rancore verso questi umani indifferenti, a decine, a centinaia, quanti se ne possono incrociare in un pomeriggio." Ecco...diciamo che in questa fase del mio atttivismo, cosciente di avere grosse difficoltà nel superare il rancore di cui parli (in passato non era così, riuscivo a mantenere il giusto controllo e la pacatezza, necessari per comunicare bene con la gente), ho preferito fermarmi piuttosto che combinare guai. Ci sto lavorando e ammetto che non è facile. Sono convintissima che le immagini servono, parlo per esperienza personale, non solo mia ma anche di altre persone, intorno a me, che hanno intrapreso il cammino del cambiamento grazie alle "immagini". E sono ancor più convinta che sia indispensabile la "descrizione". Quella che hai appena fatto tu ne è la prova lampante, mi riferisco al tuo "Ma prima, due parole sui 'suoni' che ho sentito nei filmati testimonianza". Da diverso tempo, ogni volta che condivido (mi riferisco a FB) un video-testimonianza-denuncia sulla realtà degli allevamenti e macellazioni, ho deciso di guardarli in prima persona, per poter procede alla descrizione. Questo, cosciente del fatto che molti non li guardano, mentre la parola scritta, o detta nei presidi, è quasi impossibile evitarla. Eppure...eppure nonostante tanti video visti, la descrizione dei suoni che tu hai elencato, è stato qualcosa di più che guardarli. Mentre ti leggevo non ero davanti ad un video, ero proprio lì, in mezzo all'orrore che tu hai descritto. E' stato qualcosa di più del, purtroppo, solito guardare e ascoltare. Mi sono sentita "parte" della scena, accanto al maialino agonizzante, la mucca esausta, la gallina con le zampe spezzate...io ero con Loro. Serve, eccome se serve, mostrare immagini del genere. Serve raccontare, serve dare - oltre alle immagini, in coda al racconto - degli strumenti per andare oltre. Grazie per la tua preziosa testimonianza.
RispondiEliminaCiao Stefania, benvenuta! Il tuo post è toccante, quando esprimi la tua consapevolezza,c he ti porta a guardare i filmati prima di raccontarli, ben conscia che altri non avranno il coraggio di aprirli e guardarli, come invece fai tu. Il tuo coraggio è degno di nota. Le persone che questo coraggio non ce l'hanno, e però magari perseverano negli stessi comportamenti che causano le realtà che non hanno il coraggio di guardare, dovrebbero almeno provare a riflettere sul loro evitamento, chiedersi: perché non oso guardare? forse perché ciò che vedrei non ha alcuna giustificazione al suo orrore? Vero è propri che la strada è lunga ancora...
RispondiEliminaCiao Giovanni, con la tua analisi, sempre lucida ed approfondita ci hai azzeccato di nuovo. Anch'io, proprio come Stefania, mi sono smazzata qualche annetto di presidi informativi e raccolte firme e come lei la frustrazione di aver a che fare con gente indifferente o addirittura ostile ha fatto sì che ad un certo punto lasciassi perdere quasi del tutto. A tutto questo si è anche aggiunta la perdita di fiducia (in parte) nel movimento animalista, frammentato i mille associazioni nelle quali spesso ci si scontra con varie personalità che non sempre sembrano essere spinte dalle giuste motivazioni. Ma questo è un altro argomento che magari un giorno si può affrontare. Le immagini cruente servono? Per alcuni sì, per altri no. A me non sono servite, prima di diventare animalista e vegana mi rifiutavo di guardarle, non per menefreghismo o fermezza nelle mie convinzioni di onnivora ma per mancanza di coraggio, perché temevo che se le avessi viste la mia vita non sarebbe stata più la stessa, avrei dovuto cambiare rotta. Quello che me l'ha fatta poi effettivamente cambiare è stata l'immagine di una mucca felice. Un incontro ravvicinato con una mucca, in un campo verdissimo delimitato da un bianco muretto a secco in Irlanda. Lei mi si è avvicinata e ha spinto il suo bel muso contro la mia mano. Ci siamo guardate negli occhi, i suoi erano dolcissimi e brillanti. L'ho accarezzata, le ho grattato il naso e mi sono lasciata leccare la mano. E in quel momento un pensiero mi ha attraversato il cervello: "Domani tu potresti essere la bistecca nel mio piatto". Non so forse è così che si manifesta un'epifania, una rivelazione talmente forte e profonda che ti cambia la vita. So che da quel momento era fatta, mai più animali nel piatto. Ed è cominciato il mio percorso animalista. Questo per portarti la mia personale esperienza, per dire che ognuno di noi reagisce in modo diverso a stimoli diversi. Quindi tutto, TUTTO, serve nella battaglia per la liberazione animale. Se quelle orribili immagini hanno fatto breccia anche in una sola persona allora ne valeva la pena. L'importante è non saturare le persone solo con quelle quindi ben vengano immagini e racconti di animali felici, assaggi e ricette vegane, porte aperte per le visite nei rifugi dove la gente possa vedere e toccare con mano (letteralmente) quegli animali che la nostra schifosa società ha delegato ad essere cibo e abbigliamento e rendersi conto che non sono diversi dal loro cane o dal loro gatto. Io di sicuro, anche se non partecipo più ai presidi, non perdo occasione per far notare a chi mi sta intorno queste cose o a rimpinzare i miei amici di leccornie vegane, a volte le persone vanno prese per la gola :-)
RispondiEliminaMonica
Ciao Monica, il tuo racconto è molto bello: penso che a volte, a quanto pare, il racconto, la "semplice cronaca" di certi fatti, belli, limpidi, sereni, è più forte ed evocativo di mille artifici retorici. Basta lasciar parlare la parte più vera di noi stessi, che saprà raccontare. La affabulazione, la comunicazione, sono vitali per quel che speriamo di fare, essere i portavoce degli altri animali. Tu giustamente dici che tutto serve nella battaglia per la liberazione animale. SOno d'accordo, e sono anche convinto che ancora si possano pensare, scoprire o riscoprire o provare o inventare nuiove ulteriori forme di comunicazione, per raggiungere la mente e il cuore delle persone che queste cose - in qualsiai modo cià succeda - non le sanno. Certo, la visione della crudele realtà, può annichilire o allontanare, probabilmente va contestualizata, e soprattutto 'dopo', vanno dati gli strumenti alle persone che hanno scoperto questi dolori, bisogna dargli risorse per reagire al sentimento di indignazione e per assecondare una loro sensazione nuova e sconosciuta, che sta nascendo nel loro animo e ha bisogno di ogni genere di sostegno e incoraggiamento possibile, perché poi, una volta risucchiati dal mondo di tutti i giorni, possano non ritornare sui loro passi. Gli esempi belli, sono indiscutibili: il proprio cane che passeggia sereno, il proprio gatto che fa le fusa e si accoccola in casa dove preferisce, la gallina anziana col maglioncino per superare i rigori dell'inverno, l'agnellino che ci corre incontro fiducioso e felice di vederci, e potrei continuare... vero è che vedere una cosa bella, in pratica, ci incoraggia a imitarla, perché inconsciamente quello che vediamo ci piace e vogliamo anche noi diventare così Quindi, chissà.... fors ea ciascuna situazione si adatta meglio un certo tipo di strategia comuniativa, purché nessuna escluda le altre. Qui si adombra quell'altro discorso, sulle polverizzazioni interne tra gli stessi animalisti, che è pure da tener ben presente, ma se ne potrà riparlare. Le occasioni non mmancano. A presto Monica!
RispondiElimina