martedì 3 dicembre 2019

Leonora Pigliucci - La Foresta di Hambach - le trascrizioni delle radiointerviste di Parte in Causa

da greenreport
Leonora Pigliucci, giornalista, parla della foresta di Hambach e della comunità che lotta per la sua difesa. Silvia Molè la intervista su Radio Radicale per la associazione Parte in Causa



Hambach: una foresta millenaria, in Germania minacciata dall'uomo, che vuole scavare il carbone nascosto sotto gli alberi. 

L'interesse per Hambach - una situazione che dura da ormai 7 anni "è nato un po' in modo spontaneo, nel senso che si tratta di una vicenda emblematica dalla prospettiva di noi attivisti ecologisti, antispecisti in Italia, non tanto perché sia una vicenda vittoriosa nel suo scopo primario, cioè impedire l'abbattimento della foresta, che purtroppo al 90% è stata già tagliata, ma piuttosto perché ad Hambach è avvenuto qualcosa che penso potremmo definire anticipatorio della piega che nuovi movimenti sociali - dall'America Latina all'Europa, come Extinction Rebellion, Friday For Future, Ni una menos - stanno assumendo: cioè si tratta di movimenti fondati sulla disobbedienza civile organizzata, non hanno strutture gerarchiche, ma che fondano l'azione su delle assemblee orizzontali e che, a partire dall'attivismo creano una comunità di valori.
Nel caso di Hambach è anche una comunità territoriale, ovviamente, perché si occupa di una specifica rivendicazione, relativa a questa foresta, ma che ha al suo interno delle dinamiche che non sono tanto legate al contesto locale e culturale come per esempio il movimento NoTav, ma che si fondano su uno scopo generale. Per cui, quello che noi pensavamo di trovare ed effettivamente abbiamo confermato,  è che Hambach è un laboratorio, è un luogo aperto dove c'è riflessione, contaminazione e - anche se c'è una ben chiara visione, che io definirei primitivista ed eco-femminista, una forte radicalità dell'azione, dei principi su cui questa si fonda - c'è anche una sorta di etica: per cui, a esempio, gli attivisti hanno scritto dei canti che risuonano durante le azioni e gli scontri, accompagnano la resistenza dei compagni mentre vengono arrestati. Anche davanti ai nostri occhi resistevano sugli alberi, mentre la polizia cercava di prenderli con le gru.
Nonostante questa caratterizzazione, Hambach è una comunità che si lega fortemente a un movimento di critica più ampio, che parte dal conflitto socioecologico che stiamo vivendo su scala planetaria, e dunque quello che possiamo dire è che ciò contro cui combattono queste attiviste e questi attivisti, non è quella multinazionale specifica multinazionale che vuole fare di quel bosco una miniera di carbone, ma combattono contro il capitalismo. Capitalismo inteso come ciò che rende evidente qualcosa di mercificabile e produttivo, e che è un tema che sta necessariamente nell'agenda di chiunque faccia politica. Perciò quella che è l'idea che ci siamo fatti, è che ad Hambach e nei movimenti che si richiamano a questo tipo di esperienza, c'è un obiettivo chiaro, cioè ridare soggettività al vivente, che sia vegetale, animale, umano e - a partire da questa alleanza tra corpi - lottare per una giustizia climatica che sia una riconversione globale, sistemica e che smantelli un intero sistema di potere, ma rifiutando la legittimità stessa di ogni forma di potere sulla vita".

"Noi siamo state nel complesso quasi un mese, in due viaggi e abbiamo avuto una serie di coincidenze che l'hanno reso più interessante di quello che avrebbe potuto essere, nel senso che noi, quando l'abbiamo scritto, pensavamo di raccontare semplicemente la vita della comunità nella foresta. Invece siamo capitati proprio in una fase cruciale e in un momento anche tragico: era morto un attivista giornalista durante uno scontro, cadendo da una casa sugli alberi e la polizia tedesca in quei giorni aveva dato una accelerata agli sgomberi - nonostante questo fatto che aveva ovviamente scosso tutta la comunità. Per cui venivano giù villaggi interi ogni giorno, villaggi che stavano sugli alberi da anni e le attiviste e gli attivisti hanno deciso di resistere a oltranza sulle case. Quindi, quello che abbiamo documentato, innanzitutto, è la forza di questa comunità. Dopo giornate molto dure di arresti e di scontri, ci si riuniva intorno al fuoco di Hambi-camp, del campo base, si mangiava il cibo buono che veniva donato dagli abitanti dei paesi circostanti,  e cucinato lì dagli attivisti, e poi c'era una formazione continua: sull'arrampicata, sui nodi da fare alle corde, sulla disobbedienza civile, la resistenza passiva. E come abbiamo visto, poi nelle azioni cui abbiamo partecipato come testimoni, c'è una organizzazione capillare, per cui ciascuno è consapevole di come ci si può muovere e di come ci si può difendere. Poi secondo me, è importante dire che il fatto che tutto questo avviene in Germania, uno Stato democratico, dove alcuni diritti fondamentali non sono in discussione - non stiamo parlando del Cile - questo è chiaramente un elemento che favorisce la radicalità, perché permette agli occupanti della foresta di agire con una certa tranquillità.

Comunque, il campo, che era anche il nostro campo base, dove noi abbiamo gravitato per tutto il tempo, è un luogo di autogestione e condivisione a 360°, dove  si incontrano attiviste e attivisti di tutto il mondo, ciascuno col suo contributo specifico e abbiamo visto in pratica - e vissuto - un sistema molto tribale, per cui nessuno viene isolato, c'è molta sollecitudine tra le persone, attenzione alle difficoltà individuali e un'organizzazione molto funzionale, per cui ad esempio - c'erano luoghi in cui venivano regalati maglioni, sacchi a pelo, tende a chi avesse bisogno di un aiuto in più. E poi abbiamo documentato gli scontri, la resistenza attiva, la resistena passiva e anche la nostra presenza sul campo era richiesta, come quella dei colleghi giornalisti, perché facevamo un po' da scudo mediatico, c'erano dei testimoni e più difficilmente ci sarebbero state repressioni violente, e l'azione si svolgeva con una strategia: da un lato alcuni fronteggiavano le ruspe, anche con bambini, coi cani, e altri invece, in altre parti del bosco, si costruivano nuovi villaggi. E da quei villaggi è ripartita la battaglia.  Purtroppo è probabile finirà la tregua che vige adesso, dopo una recente sospensione dei tagli da parte del tribunale".

Esiste un nesso tra questa lotta e quella antispecista. "L'antispecismo, sebbene di Hambach si parli soprattutto in chiave ecologista, è assolutamente presente, direi centrale nelle dichiarazioni degli anarchici di Hambach. Intanto perché la loro è una prospettiva intersezionale veramente a 360°, dunque in tutti gli incontri che abbiamo fatto, abbiamo sentito riconoscere e sottolineare un focus comune nella molteplicità delle oppressioni di un sistema globale che è sia patriarcale, sia sessista, che colonialista, che specista". Nella foresta si fa vita comune, "anche nei confronti degli altri abitanti non umani che vivono nella foresta e il cibo è tutto vegano. Esistono delle squadre che quotidianamente si occupano di portare aiuto agli animali, che subiscono tutte le conseguenze dell'occupazione, delle ruspe della multinazionale: ad esempio, i pipistrelli, che restano chiusi nelle tane degli alberi, a causa di alcune procedure che vengono fatte sugli alberi. Però, la cosa forse più notevole, dal punto di vista antispecista, è che - nel maggio dell'anno scorso - è avvenuta un'azione: gli attivisti sono partiti da Hambicamp, con una spedizione diretta a un mattatoio della provincia di Colonia, dove erano stati testimoniati dei maltrattamenti, ovviamente, come avviene in tutti i mattatoi, particolarmente pesanti ai danni degli animali, e attivisti si sono arrampicati sul tetto, hanno bloccato per alcune ore l'ingresso delle mucche e dei maiali che avrebbero dovuto essere uccisi quel giorno. La cosa interessante è il comunicato che è stato in seguito divulgato: in cui l'azione viene motivata in senso antispecista e intersezionale. Gli attivisti riconoscono la natura comune dell'oppressione al vivente, e sottolineano in primis le istanze degli individui schiavizzati dalla zootecnia e poi contestualizzano, citando l'impatto sul futuro che ha la crisi climatica e affermano la volontà di tornare più avanti con le forze necessarie per frapporsi fisicamente e salvare le vite di quegli animali, un po'  come fa il gruppo dei 269 in Francia e in Belgio, dove si tenta di resistere sempre di più e più a lungo e interrompere fisicamente la catena di smontaggio dell'industria della carne. Quindi, sì, l'antispecismo è assolutamente presente e penso che il fatto che sia inserito in una lettura critica più ampia della lotta al capitalismo è probabilmente un elemento che  dà più forza, perché permette di stringere alleanze".

Gli 'hambachiani', "sono circa 200 persone, che stanno lì a rotazione. Sono prevalentemente giovani, ma non solo. Un giorno noi abbiamo fatto una piccola spedizione con un signore che ci diceva di essere un nonno, di avere quattro nipoti e stava andando, da solo, a costruirsi una casa sull'albero, perché diceva 'io devo difendere il futuro dei miei nipoti'". Quindi il gruppo è variegato, "ci sono i cani e anche tantissimi bambini". "Hanno il sostegno dei paesi limitrofi, per cui si tornava alla sera e c'era gente che veniva a portare cibo. Nella comunità, abbiamo anche incontrato altre persone che venivano da altre occupazioni, dalla Francia, dalla Polonia, e che, ci dicevano, quando purtroppo questa foresta non ci sarà più, noi ci sposteremo altrove". "Tutto era molto focalizzato su questo senso di comunità, di valori e quindi esperienza da moltiplicare, ove ce ne sia bisogno, dove ci sia un luogo simbolico da valorizzare in questo senso". 

Vista la probabile conclusione, però, l'esperienza è sia positiva che no: "le terre lì intorno alla foresta sono state pagate profumatamente, e al posto della foresta dovrebbe nascere una miniera di carbone che porterebbe lavoro. Quindi diciamo che c'è una spaccatura. Da un punto di vista culturale, questa rivendicazione è appoggiata, però non è assolutamente una questione di massa. Quando siamo arrivati a Colonia, non ci sapevano indicare neanche come arrivare alla foresta. Quindi sicuramente la nostra visione è stata parziale. La vicenda ha molta rilevanza sulla stampa tedesca, però è comunque circostanziata a persone che hanno a cuore le tematiche ecologiste".

















dal sito Ecorebel

Le interviste che Silvia Molè fa per conto di Parte in Causa, vengono trasmesse da alcuni anni sulle frequenze di Radio Radicale. Si tratta di spazi pressoché unici nel panorama radiofonico italiano: in queste occasioni, possono prendere la parola e avere voce le persone che a vario titolo si sono occupate o si occupano della 'questione animale'. 
Preziosi documenti, che secondo te occorre trascrivere, perché non vadano perduti.
Il file delle interviste originali è sempre disponibile sui siti di Radio Radicale e di Parte in Causa. 

Leonora Pigliucci

la locandina del film



Con questa trascrizione, hai voluto fornire un ulteriore modo di mettere a disposizione le parole importanti di persone impegnate - nella convinzione che leggere una parola tocca zone diverse della mente, rispetto a quelle che si attivano quando il discorso viene ascoltato come suono di voce.
Sono appunti, più o meno fedeli, proposti per fare ulteriori riflessioni - se qualcuno vorrà farle. Sono documentazioni ridondanti per qualcosa di prezioso.

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