sabato 18 agosto 2018

Stai ascoltando l'agosto che passa?



l'ombre fronde
s'agitano col vento
eco d'uccello

all'orecchio la
conchiglia ci ripensi
in quale oceano?


Agosto sta scivolando di giorno in giorno, mentre la luce ricomincia ad accorciarsi.
Che stai facendo, in questi giorni caldi, a parte stare in silenzio e ascoltare con la pelle l'aria che vibra intorno al tuo corpo e tiene qualsiasi fatica di pensiero lontana dalla voglia e dalla consapevolezza?

Il blog sembra in vacanza: tutte le idee e le frasi che ti vengono alla mente, tutti i pensieri o i ragionamenti che si legano alla contingenza delle tue letture o azioni quotidiane o che sono provocate dal flusso dei social sempre troppo dissonante ormai, ti rimangono nel cielo del pensiero e come le nuvole estive passano e vanno senza lasciar pioggia; oppure brevi rigagnoli in risposte e commenti - rigagnoli che come i fiumi dei deserti si essicano prestissimo e lasciano pochissima traccia.

Il blog sembra in vacanza, ma non lo è: della vacanza manca la leggerezza; piuttosto, vige una apatia da calore.
Ti accorgi, come se ti vedessi da fuori, estraneo a te medesimo, che in questo periodo non hai la voglia di fermarti a fissare pensieri organizzati su qualsiasi cosa - anche le cose che ti interessano, che ti stanno a cuore, su cui avresti ben delle considerazioni a cui tieni. Preferisci, di volta in volta, bagnare i fiori,  dissodare il piccolo giardino e seminare la Dichondra Repens, stare a osservare i colombi sul lavabo esterno e i corvi tra le foglie sotto l'albero; ti piace di più leggere racconti e fumetti su un prato insieme ai tuoi cani che sonnecchiano, oppure aspettare che tornino dalle loro scorribande nei campi dove il mais è cresciuto altissimo. Sei più felice se la canina anziana vi accompagna in un bel posto in collina e ti incanti a guardarla dormire sul prato sotto le stelle ormai sempre più veloci ad arrivare.

Non è che non ci siano questioni.
C'è il dibattersi perenne del corpo simil-hobbesiano dell'attivismo / animalismo / antispecismo,  multiforme, collettivo, acefalo, proteiforme e persino autofagocitantesi (per esempio): mentre aspetti di ritrovare energia per tornarci su a scriverne, rifletti che le tante parti che lo compongono ti sembrano immerse in grande, amaro disorientamento - a causa del quale ogni mossa sembra quella definitiva e allo stesso tempo nessuna mossa appare valida, ben fatta, giusta, sensata, efficace - in un coacervo attorcigliato di equivoci tra strategia/e  e tattica/e. E ci sono troppe dicotomie auto-escludentesi, a dispetto e in contraddizione con quel che da più parti del pensiero 'animalista' viene scritto a critica del meccanismo che esclude, taglia, separa, gerarchizza e ghettizza, alla base di tutta una costruzione sociale plurimillenaria e intrecciata di dominii, uno dentro l'altro come matrioske.

C'è la questione etica del rapporto tra umani e cani - una parte del più vasto dibattito 'antispecista', forse - ma non solo.
Mentre sei paziente e fiducioso che ritroverai il gusto di discuterne - è un tema che ti appassiona tanto - rispolveri la tua convinzione, maturata grazie a molte letture e incontri: homo sapiens e canis lupus si sono reciprocamente incontrati molte migliaia di anni fa, hanno vissuto e collaborato insieme alla pari fino a pochissimo tempo fa (fino a un ieri, a un niente geologico), in base a un patto. Da pochi secoli, a dir tanto, il patto è stato tradito, da parte di homo sapiens, che ha deformato drammaticamente tutto quello che è - era sempre stato - cane. Da questo nocciolo si diramano reticoli di sentieri e discorsi e narrazioni a proposito di questo rapporto.  Sarà difficile ritrovare la strada per quella basilarità di relazione,  fatta anche di lontananze, spazi, tempi lunghi e assenze, fatta di autonomie e libertà. Ma è vitale ritrovarla: lo stare insieme ai cani - il modo in cui lo si fa - è allo stesso tempo causa e conseguenza dello stare in mezzo agli altri animali e in mezzo agli altri umani.

Ti sembrano questioni intrecciate e molto importanti -  e ce ne sono altre, come le riflessioni su una umanità dilagante senza freni su un pianeta limitato e unico - e insostituibile.

Ci vorrebbe ascolto reciproco, ci vorrebbe un pensiero che - prima di qualsiasi altra cosa - intervenisse facendo proposte, incoraggiando incontri, aprendo dialoghi, raccontando narrazioni nuove, diverse, coinvolgenti, sognanti e concrete allo stesso tempo.

Sui social, al contrario, ci sono solo astiosi e infantili rinfacci, rimpalli, racconti di insuccessi, provocazioni accusatorie, smanie distruttive, nella cui confusione viene travolto tutto e viene perduto quello che c'è di risultato e che invece andrebbe conservato.

Ti rendi conto: sei molto generico. Hai ben presente i casi specifici che sono all'origine di queste riflessioni anche troppo astratte. 

Sull'ascolto, ci tornerai.

Però, adesso, vai a chiudere. Con delle proposte di cose che hai letto.
Lisa Halliday è l'autrice di 'Asimmetria', in uscita a giorni nelle edizioni Feltrinelli. Il magazine 'D' la intervista e tu hai letto la intervista, perché in una foto la scrittrice ha una espressione - scettica? ironica?  - che ti ha stupefatto e fato venire voglia di scoprire che cosa lei pensa.
Estratte fuori contesto, pensa due frasi - secondo te, specialmente: "[Philip Roth] era un grandissimo lavoratore e non aspettava l'ispirazione. Per lui scrivere era come fare il muratore: si trattava di mettere una parola dopo l'altra, non di un'arte magica. Questo mi ha dato sicurezza. Se un giorno scrivevo cinque righe non mi sentivo fallita, capitava anche a lui. Mi ha insegnato a non preoccuparmi troppo di ciò che pensa la gente. Diceva:  'Quando scrivi un romanzo lo chiamano autobiografia e quando scrivi una autobiografia la chiamano romanzo. Sanno sempre tutto meglio di te. Lasciagli dire quello che vogliono' " .

"Gli scrittori hanno un senso fluido di ciò che è possibile e un istinto indomabile per la drammatizzazione, a volte non possono fare a meno di immaginare il peggio. In quel momento abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi - o di ricordare a noi stessi - che ora qui va tutto bene e non dobbiamo dare retta alla fantasia".

1 commento:

  1. e se questo spiegasse molto - se non tutto - di come vivo?

    GLI INTROVERSI SOCIEVOLI. "Gli introversi socievoli hanno imparato a stare bene da soli e sanno essere socievoli quando serve, quando gli va. Non hanno necessità di stringere amicizie finte o di superficie. Sanno stare bene in gruppo, ma un po', a piccole dosi. Poi tornano a ricaricarsi coi loro pensieri, nel loro mondo interno". (CIASCUNO IL SUO. M. Thompson Nati, 2006).

    RispondiElimina

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