domenica 19 agosto 2018

Ci vorrebbe ascolto reciproco


... Ci vorrebbe ascolto reciproco, ci vorrebbe un pensiero che - prima di qualsiasi altra cosa - intervenisse facendo proposte, incoraggiando incontri, aprendo dialoghi, raccontando narrazioni nuove, diverse, coinvolgenti, sognanti e concrete allo stesso tempo.




Scrivevi questo giusto ieri. E sull'ascolto ci volevi tornare.
Ci torni oggi, con un articolo di Laura Traldi su D. "Taci E Ascolta": questo il titolo.

"Parlare di noi è un godimento reale. Come il cibo.O il sesso."
Quanti di noi conscono persone che si parlano addosso? 
Il solo ato didire agli altri il nosro pensiero, scrive l'articolo, "basta ad attivare le regioni cerebrali delle ricompense primarie, quelle che rilasciano la dopamina".
Ci potrebbe essere un senso slegato dall'egocentrismo attuale: il poter comunicare, parlando, con altri conspecifici, potrebbe essere allo stesso tempo conferma e causa di situazioni di relativa sicurezza, stabilità - per cui ci si può dedicare a comportamenti prosociali.
Tuttavia: "preferiamo parlare più che ascoltare". Ma se tutti parlano con tutti, chi rimane ad ascoltare? E che fine fanno tutte le frasi dette? Tutto si scompone in una cacofonia: "la diffusa incapacità di ascoltare ha conseguenze serie, sia per l'individuo, sia per la società".
Infatti, "rende più difficile il dialogo, che si costruisce con la voglia di comprendere, prima che di farsi comprendere". Inoltre, questa incapacità di ascoltare, "ha un potere distruttivo".
Maria Cristina Strocchi, psicoterapeuta, spiega: "la mancanza di ascolto è una vera violenza psicologica, perché crea un sentimento di abbandono e di disvalore nell'interlocutore. Che si trasforma in risentimento". "Non essere acoltati crea risentimento che chiude orecchie e cuori. Così, alla fine, nessuna delle parti è in grado di stabilire empatia con l'altra. La comunicazione si chiude. Crescono le barriere". Il 'paradosso social' fa proprio questo: sembra potenziare la comunicazione personale, individuale, amicale, portandola a un livello quasi sociale e collettivo. In realtà richiude le individualità in stanze di specchi, dove l'illusione fa crescere a dismisura solamente la disattabilità alla autentica comunicazione interpersonale e poi anche sociale. Ne sono la prova le estenuanti 'botta e risposta' pressoché infinite, dove ciascuna parte, sempre più esasperata e arroccata, non fa che ripetere come una macchina i suoi identici concetti di partenza, come se la reiterazione  martellante potesse trasformarsi in argomento convincente e plausibile di confronto, e magari anche di vero scambio di idee.

"Ma le ricadute più devastanti sono a livello sociale. Perché la polarizzazione delle posizioni e le opinioni a cui si aderisce d'istinto stanno diventando campo di gioco perfetto per i leader che davanti a probematiche complesse, offrono soluzioni semplici, a costo zero e senza compromessi, pensate appositamente per aumentare l'effetto tifoseria".

Allora, è meglio stare in silenzio? Dice Strocchi:"anche stare in silenzio mentre l'altro dice la sua può essere un segno di pressione mentale". Chi tace con questo atteggiamento, è "in posizione di attesa del proprio turno per ribattere, senza alcun desiderio di mettere in discussione i propri preconcetti o capire meglio il punto di vista dell'altro". C'è una "urgenza giudicante": "siamo convinti di non aver niente da imparare dall'interlocutore e abbiamo fretta di arrivre alle conclusioni e dare un voto". Così spiega Marianella Sclavi, sociologa e fondatrice di Ascolto Attivo, pioniera delle esperienze di democrazia partecipativa.

Come si può riuscire a superare gli schieramenti, per iniziare un dialogo con chi non sa ascoltare?
La neuroscienziata Tali Sharot di Londra, dice che "l'unico modo è parlare il linguaggio delle emozioni evitndo di addentrarsi in ragionamenti". Anziché fornire spiegazioni logiche o prove scientifiche, si ouò provare a spostare l'attenzione sulle conseguenze dei comportamenti e degli atteggiamenti che vorremmo provare a far cambiare. Ma senza dare giudizi sulla persona che abbiamo di fronte, senza mettere sotto accusa l'intero suo vissuto e la sua individualità: il focus deve rimanere su quel che vogliamo trasformare. 
"Dare spazio alle emozioni altrui è il primo passo per instaurare un dialogo". Chiusura, sospetto e ira non vanno ignorati o combattuti con la sola razioalità. "Questi sentimenti vanno invece chiariti e in parte legittimati, cercando punti di accordo con chi li esprime". Si tratta di una ricerca di empatia che richiede - da una parte - sincero interesse e - dall'altra - coraggio a rivedere le proprie posizioni e mettersi in discussione. "L'attenzione reciproca dovrebbe scattare proprio in virtù del fatto che si pensa diversamente".
L'ascolto attivo "dà spazio ai punti di vista di tutti gli interlocutori" e alle loro esperienze, per "trovare una soluzione di mutuo gradimento".

L'ascolto attivo si direziona verso la costruzione di una intelligenza collettiva, descritta dal filosofo Pierre Levy: "la capacità di mettere insieme competenze, informazioni e memoria di una moltitudine di persone per dare vita a opere che diventano un bene comune, di cui beneficia l'individuo".

Questi snodi sono così importanti che vale la pena espanderli, allargarli, dando nuovi sensi a parole come 'persona', e 'insieme di competenze, informazioni e memoria', oltre che 'bene comune' o 'individuo'.
Tu pensi che occorra allargare, aprire i significati, perché in queste parole possano - come inizio di un percorso che dovrà poi superare queste parole e le parole in generale - immergersi tutti gli altri individui animali, le diverse declinazioni vitali di animalità. 
Una autentica intelligenza collettiva non può (più) esimersi dall'ascolto di voci finora mai ascoltate; altrimenti è solamente una forma di autismo enfatizzato, il solito solipsismo umano antropocentrato. Se questo passo viene ben compiuto, gli altri successivi potranno seguire quasi naturalmente, come conseguenza.

I nuovi ascolti richiedono tempi diversi, non umani, non più e non solo. Tempi dilatati, tempi ciclici, tempi stagnanti, tempi rallentati; ma anche nuovi e diversi tempi veloci e incoercibili. Tempi che mescolano spazi e corpi.
Tempi e modi opposti a quelli dei social, il cui progetto favorisce invece gli schieramenti contrapposti e le decisioni coatte non informate. "Quando viene chiesto di schierarsi ... le persone non rispondono quello che realmente pensano". "Le opinioni informate, espresse quando ...individui (sono messi) in condizione di approfondire i temi in questione, sono diverse ... da quelle grezze, espresse in un normale sondaggio o votazione on line in cui ognuno è trattato come un atomoa se stante, separato dal tessuto sociale di cui è parte".

Queste ricerche mirano alla "co-progettazione di soluzioni condivise". Il sottofondo è - a voler ben guardare - una grande fiducia nelle risorse emotive degli umani: "la gente, anche quando parte da un risentimento e da una sfiducia profondi, ha in realtà un desiderio fortissimo di contribuire a creare il nuovo. Essere capiti dà alle persone una enorme voglia di fare. La sfida è convogliare questa energia verso una narrativa propositiva e costruttiva, supportata da tutti proprio perché co-creata", dice Mario Cucinella.
"Chi ascolta davvero non propone ricette facili e veloci, rimane in contatto con gli interlocutori, rende conto dei progressi e permette il monitoraggio del processo decisionale e la implementazione delle decisioni prese".
Ci vedi di riflesso molti scenari - attuali o potenziali - che possono ben adattarsi anche alle azioni antispeciste.
"L'ascolto è demgogia se finalizzato a creare consenso. Invece è il punto di partena per creare un domani condiviso, se nasce per comprendere il punto di vista degli altri. Molto dipende dall'atteggiamento dei singoli. Ma gli strumenti per aiutarci in questo processo ci sono e decidere se utilizzarli o meno è una scelta prima di tutto politica".

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