mercoledì 9 agosto 2017

Emeroteca: Centri commerciali nel deserto (le nuove cattedrali)

La Lettura del Corriere della Sera, domenica 24 gennaio 2016, pag 5


Di sicuro sapete di che cosa stai parlando: della gente che va a fare la passeggiata pomeridiana al centro commerciale. Padre, madre, figli, a volte persino uno sciagurato cane che patisce questo 'passatempo' in modo assoluto.
Una volta, quando eri un ragazzo, le 'vasche', o 'struscio', si facevano in centro, o al massimo al parco cittadino - era sia un modo per stabilire un confine tra lo studio e la distrazione, sia un modo per incontrare, vedere, conoscere, gente - ragazze, amici, altri. Il sole, il vento, persino la pioggia o le nuvole, non impensierivano. Erano inverni con la neve - e nemmeno quella era un ostacolo serio, a ben volere. 
Oggi, le vasche ci sono 24/7, e sono tutte indoor. Non importa il clima del pianeta all'esterno, che risulta comunque fastidioso e molesto. In ogni caso, viene annullato dalle porte girevoli: e all'interno del centro commerciale, giorno, notte, estate, inverno, freddo, caldo, sole, pioggia, vento, neve -  è come se non esistessero (più). (Se poi il parcheggio è sotterraneo, se poi è vicino a scale mobili oppure ascensori...).

In estate, come adesso, ci si va per l'aria condizionata. Lo scopo triviale dell'acquisto diventa quasi un pretesto funzionale. Più importante è essere dentro, essere ammessi all'interno del centro commerciale. Come in chiesa: a cercare (trovare, chissà?) sollievo emotivo prima che materiale; fisico prima che economico. Ci sono persino gli altari, sotto forma di maxi schermi; ma non mancano i totem, né le cappelle votive (i negozi, gli store).

Prosegue la rubrichina della emeroteca, che sarebbe una raccolta ordinata di giornali e periodici - o, per quel che ti riguarda, almeno dei ritagli che hai più o meno conservato, dopo averli letti e trovati interessanti, o addirittura in previsione di leggerli, in quanto promettenti. 

Oggi, ci rileggiamo Walter Benjamin, così come ne ha scritto Donatella Di Cesare  ...

... qui, a pagina 4


Walter Benjamin è tra i filosofi continentali, quello che nell'articolo viene definito "figlio ribelle, lucido sognatore, malinconico, critico spietato della modernità, profeta rivoluzionario": dopo setanta anni, la sua filosofia ottiene riscatto e attenzione.
"La sua immagine è assurta a simbolo di un pensiero che... non si adatta a diventare normativo, né... si peiga a elogiare le fantomatiche libertà del progresso".
La sua filosofia è capace sia di rigore che di ampiezza di visioni.
"Che cosa rende Benjamin così attuale nella sua dirompente inattualità? Perché i suoi scritti, talvolta brevi frammenti, aneddoti autobiografici, lettere, serbano un potenziale esplosivo?"
Benjamin ha dischiuso alla filosofia gli ambiti della fotografia, del cinema, dei movimenti d'avanguardia, delle nevrosi metropolitane, della esistenza degli esclusi (tra i quali, tu  - e non solo tu - metti anche tutti gli altri animali, seguendo volentieri un pensiero che conta già a sua volta centinaia di pagine di contributi di pensiero); per non parlare della letteratura per l'infanzia, dei giocattoli, del gioco d'azzardo, del hashish, del viaggio.
"Benjamin, molto presto, ha presagito gli esiti del capitalismo".
"Che un giorno la politica, scaduta a mera amministrazione, esercizio di governance, si sarebbe dissolta nell'economia, è un pensiero che Benjamin condivide con altri filosofi. Ma lui osa un passo ulteriore: quella forma economica, divenuta globale, si sarebbe rivelata per quello che è: una religione. Non è forse il capitalismo una religione del debito?"

Pensate un attimo alle rate dei prestiti per pagare l'auto, il televisore digitale, le vacanze, il calcio in Tv...

"Benjamin", prosegue Di Cesare, "è stato il primo grande teologo dell'economia nella modernità. Non ha colto solo i legami strutturali tra teologia e politica, indagati negli stessi anni anche da Carl Schmitt. Né si è limitato a ricostruire la provenienza religiosa del capitalismo". (Ricordate Weber con la sua "etica protestante e lo spirito del capitalismo"? All'università ti sembrarono due manifestazioni umane che era inevitabile procedessero unite. 
"Qui si misura, anzi, la sua distanza da Max Weber, che nel capitalismo aveva indicato l'esito dell'etica protestante. Per Benjamin, le cose stanno diversamente: il capitalismo non è una religione secolarizzata, bensì una religione in senso stretto. Perciò non se ne comprenderebbe la portata, il ruolo e il funzionamento, se non lo si considerasse come un fenomeno religioso."

Nell'articolo si citano filosofi che, dalla riscoperta del frammento del 1921 'Capitalismo come religione', hanno avviato molte riflessioni sulla teologia economica: Peter Sloterdijk, Giorgio Agamben, Slavoj Zizek, Thomas Macho, Norbert Bolz, Robert Esposito.

Oggi il capitalismo appare ovunque si giri lo sguardo: occupa l'intero orizzonte, non lascia alternative. "Questa società crede nel capitalismo, lo accetta come proprio ineluttabile destino". Nel passato si pregavano gli dei e si facevano sacrifici - sacrifici che oggi si fanno al mercato - anzi, il Mercato: una personalizzazione dell'impersonale, una individualizzazione del collettivo.

Scrive Benjamin - come riportato nell'articolo: "Il capitalismo è una pura religione di culto, forse la più estrema che sia mai stata data".  Il culto dura in modo permanente. "Non c'è tregua, né perdono. La pompa sacrale del marketing, il rito del guadagno, il fasto del consumo, sono inarrestabili. Non si distingue più tra il giorno e la notte, là dove il tempo è sempre e solo denaro. Il capitalismo... ha annullato persino la settimana". Una ossessione di massa, alla base di una civiltà intera: "Apparentemente è sempre festa - e invece non lo è mai. Se il culto è ininterrotto, è grazie alla apoteosi del debito." In tedesco, debito si dice Schuld, "che nella sua 'demoniaca ambiguità' significa anche 'colpa'."
"Il capitalismo è presumibilmente il primo caso di un culto che non lascia espiare, ma colpevolizza indebitando", scrive Benjamin.
"Benjamin presagisce l'indebitamento plantario. Non potrebbe essere diversamente per una religione, come il capitalismo, che non permette salvezza né redenzione. Sotto il cielo del capitalismo resta solo 'disperazione cosmica'."

Ecco, tra queste righe e poco oltre si trova la parte che più ti è rimasta impressa, motivo di riflessioni, di confronti, dopo la lettura dell'articolo. Che prosegue.

"Benjamin punta l'indice contro il cristianesimo, che si è mutato nei secoli, convertendosi in capitalismo. Ha ceduto cioè al paganesimo, quella tentazione che da sempre lo affligge": Benjamin mette a confronto le icone delle banconote alle immagini sacre (!). Il nuovo paganesimo che si chiama capitalismo, "è l'ordine in cui si stagliano fato e sventura nella circolarità violenta e ripetitiva del mito". 
Per Benjamin, Nietzsche, Feud e Marx, in realtà non 'rompono' versus il capitalismo, ma ne sono 'gran sacerdoti'.
Nelle loro teorie, non esiste "inversione", né di rivolta, né di rivoluzione. Benjamin usa il termine tedesco Umkehr, traduzione dell'ebraico 'teshuvà', ritorno. "Un tornare indietro per andare avanti, una conversione, una inversione di rotta, una interruzione".
benjamin guarda a Gustav Landauer, "l'ebreo anarchico, protagonista della Repubblica dei Consigli di Monaco, che aveva scritto 'Sozialismus ist Umkher', Socialismo è inversione, è cambiamento che spezza il 'sempreuguale'della storia.

"La polemica di Benjamin investe la socialdemocrazia, questa idolatria della modernizzazione, questa cattiva politica incapace di darsi delle scadenze (scrive in 'Strada a senso unico'). 
"Nel suo afflato escatologico, Benjamin guarda lì dove si consumerà l'apocalisse ultima del capitalismo". La rivoluzione va ripensata: o sul modello dello sciopero generale di Sorel, oppure sulla interruzione anarchica che si impone nel Giubileo ebraico. Purchessia.
Scrive Benjamin, nelle sue 'Tesi sul concetto di storia' (1940): "Forse le rivoluzioni sono il freno di emergenza azionato dal genere umano che viaggia sul treno". E non le marxiane 'locomotive della storia.
Leggiamo l'articolo. "La rivoluzione è una fenditura nella storia, è arresto, cesura, interruzione nel permanere dell'insopportabile, nell'eterno ritorno della catastrofe". 
"Come per Landauer, anche per Benjamin 'la rivoluzione non è solo un concetto politico'. "La rivoluzione riguarda la liberazione nella giustizia sociale adesso, jetzt.  "Quando verrà il Messia, cambierà nello stado del mondo solo qualcosa di impercettibile, non lo trasformerà con la violenza, ma lo aggiusterà solo di pochissimo", dice un antico detto rabbinico, che Benjamin ha ben presente.
"Il capitalismo, nella sua sacralità, appare non profanabile (...) L'ateismo di massa si riduce per Benjamin alla ripetizione del culto capitalista, agevolato dalla perdita di ogni contenuto utopico. (...) Il progresso è vuoto, non distingue tra una migliore riproduzione della vita e una vita realizzata. Il capitalismo è il culto di una emancipazione infelice".
Così, accanto al benessere e alla libertà, Benjamin rivendica la felicità.
"


E qui termina l'articolo. Mentre lo leggevi e ancor di più mentre ne facevi qui la parafrasi, ti sono brillate nei pensieri le parole che hai sottolineato.  IL SEMPREUGUALE PERMANERE DELL'INSOPPORTABILE. 
La quintessenza della macchina capitalista, la macchina antropomorfizzante, che è ormai più che problematizzata.
Il sempreuguale più spinto è quello che sta alle fondamenta dell'intera costruzione, che - se rovesciamo a testa in giù il grattacielo di Horkheimer - vengono alla luce : il brutale consumo onnipresente contro ogni animale non umano. Un consumo che permane, perché si auto-riproduce, con gli artifici della tecnologia. Un consumo che scarica tutto l'insopportabile alle sue fondamenta, nella illusione che questo non ricomini, prima o poi, a risalire lungo i muri portanti, per arrivare fino in cima.

4 commenti:

  1. Veramente interessante.
    Buona giornata.
    sinforosa

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  2. Cosa posso aggiungere a tanta lucidità di veduta caro Giovanni, tutto sembra andare avanti e invece torna indietro..schiavi del capitalismo, il consumismo la tecnologia, i mezzi più sofisticati di modernizzazione e chi più ne ha più ne metta.
    Vivo ai margini della città quando non faccio il mio lavoro di corrispondente musicale e me ne vanto. Viva la campagna e il baratto di un tempo!
    Bacionissimo

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    Risposte
    1. cara Nella, questa volta, la lucidità è di chi ha scritto l'articolo, che a me è piaciuto riportare. Trovo che questo parafrasare artcioli o testi di altri, possa avere un suo interese, comunque. Possono emergere collegamenti e pensieri nuovi! E se interessano anche altre persone, tanto meglio!
      Oggigiorno, per esempio, la marginalizzazione potrebbe diventare una condizione di vita diffusa e peramente.
      A me per altro è rimasta impressa lespressione - e la ripeto - del SEMPREUGUALE PERMANERE DELL'INSOPPORTABILE: il peso enorme che infliggiamo agli altri animali, ai luoghi dove viviamo, ad altri umani e - infine - anche a noi stessi
      Bacionissimo

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