In un libro densissimo di intuizioni e di spunti stimolanti, "Emotività Animali. Ricerche e discipline a confronto", curato da Matteo Andreozzi, Silvana Castignone e Alma Massaro, ho trovato due testi che si pongono il problema della visione degli animali nella religione.
I testi sono "Gli animali nel cristianesimo tra sofferenza e preghiera", di Vilma Barricalla; e "Il rapporto uomo animale nel libro di Tobia", di Gianfranco Nicora e Alma Massaro.
Come letture pasquali, sono davvero adatte. Leggiamo un po', via.
Nella dottrina teologica cristiana - scrive Barricalla - non c'è davvero scampo per gli animali: che soffrono per colpe non loro, cioè per il peccato originale compiuto dagli umani; e per di più non hanno un'anima e perciò, benché del tutto innocenti, non possono avere nemmeno consolazione né speranza. Non basta: a rendere la situazione ancora più grave, non esistono prescrizioni etiche che impongano all'uomo doveri di pietà verso gli animali, poiché gli animali non rientrano nella sfera morale. Carità e amicizia sono lor negate (questo, secondo Tommaso d'Aquino). I cartesiani, poi, hanno aggiunto del loro, con la teoria degli animali-automi, privi di sensibilità e di capacità di soffrire. Soluzioni peggiori del problema.
A questo punto, Barricalla riparte dall'analisi del testo biblico.
Nel vecchio testamento: in Isaia ci sono immagini cosmiche di bontà e pace, che includono tutti i viventi (Is 11,6-9 e anche Is 65,25). Il profeta Osea parla di 'alleanza' con "le bestie della terra, gli uccelli del cielo e i rettili del suolo" (Os, 2,20).
Ci si richiama al Genesi, a prima del peccato originale e del diluvio (Gn 1,31 e Gn 1,29-30). La prospettiva di futura armonia non viene mai meno in tutto l'Antico Testamento, nemmeno quando si descrivono gli uomini tiranni e dominatori nei confronti degli animali, c'è sempre l'alleanza stretta da Dio con "ogni carne" (Gn 9,9-17), un vincolo con ogni animale.
Tutta la religiosità vetero-testamentaria, pare riconoscere agli animali una percezione del divino (l'asina nei Numeri, Nn 22,21-33).
Per Giobbe, gli animali sono più sapienti:
"Interroga le bestie / e ti ammaestreranno / e gli uccelli del cielo e te lo annunziaranno / e i rettili della terra e ti ammaestreranno / te lo spiegheranno i pesci del mare. / Chi non sa fra tutti costoro / che è la potenza di Dio che ha fatto tutto ciò?" (Gb 12,7-9).
Dio, provvede a tutta la creazione (Sal 104,21 e Gb 38,41 e Dn 3,51-90).
Tra la prima creazione, priva di violenza e il futuro di pace in cui l'uomo sarà finalmente amico degli animali, viene indicato un cammino da percorrere. Dio ha affidato il creato all'uomo, quest'ultimo ne è responsabile dinanzi a Dio, deve perciò prendersi cura del giardino della creazione, ha un dovere di cura e di custodia (Gn 1-26,28 e Gn 2,15). L'uomo ha un mandato divino, deve conformarsi al piano di pace e armonia con e nella natura voluto da Dio: a questo piano deve improntare le sue azioni. Si tratta di una indicazione etica. Quanto gli uomini, anche quelli che si proclamano credenti, abbiano seguito questa indicazione finora, è facile da constatare.
Eppure, anche nel Nuovo Testamento, la prospettiva della salvezza è su scala cosmica. Paolo parla dell'ansia della creazione, protesa verso una liberazione futura (Rm,8,18-21). A differenza di Cartesio, Paolo vede e riconosce e afferma la realtà della sofferenza degli animali, la inserisce nella prospettiva salvifica, e la unisce ai grandi temi della riflessione cristiana.
A questo punto, Baricalla affronta la teologia della croce, per ripensare sotto una nuova luce il dolore degli animali. Perché non dovrebbe esserci nessun cristiano cosciente e autentico che rifiuti di affrontare questo cruciale problema. Ma così, non pare essere mai stato. Come se Paolo non avesse scritto che si riuniscono e si riconciliano in Cristo tutte le cose, pacificate col sangue della croce (Ef 1,10; Col 1,16, 19-20). Pensando a questo, Ireneo di Lione (II-III secolo dC), scriverà che "Il Figlio di Dio è stato crocifisso per tutto ciò che esiste, avendo egli tracciato il segno della croce su ogni cosa". Attenzione, perché stiamo per arrivare a un'affermazione cruciale: tramite la salvezza, la croce esprime anche il legame intimo e profondo tra il dolore di Dio e quello delle sue creature. Paolo scrive, perciò "con il sacrificio di Gesù, consumato una volta per tutte, viene definitivamente abolito l'antico rito del sacrificio animale. (!!!) (Eb 7,12-17, 26-27; 9,12-14,28; 10,1-12; Rm 12,1). Paolo riprende e completa tutte le critiche ai sacrifici già presenti nell'antico testamento: Sal 50,8-14, Is 1,11 e 66; Os 6,6; Am 5,22). Il significato cruciale è, insomma, che il Dio incarnato e creaturizzato, soffre come una vittima innocente, che paga per una colpa non sua. Nella passione, Cristo incarna perciò tutto il creato (innocente del peccato originale, a differenza dell'uomo), e affranca le creature dagli obblighi futuri di sacrificio, strumentale per i soli scopi umani. L'Agnello di Dio è l'immagine resa nelle pagine bibliche, per essere comprensibile ai lettori del tempo, ma l'agnello creatura non deve più subire il sacrificio cruento. La croce è il tramite della liberazione cosmica e in più rappresenta anche una potente indicazione etica: Dio incarnato-Cristo-Agnello divino, ha testimoniato e additato all'uomo il dolore innocente dell'animale. Ogni creatura è degna di vita e Dio fa appello alla compassione degli uomini, nei confronti della sofferenza del creato. (Qui penso: In un rovesciamento vertiginoso di rapporti di forza, Dio diventa supplice verso gli uomini, le sue creature più colpevoli, e allo stesso tempo li carica di una grande responsabilità e riporta gli altri animali alla dignità che spetta a loro fin dalle origini, fin da sempre. Nella creatura sofferente, il vero cristiano dovrebbe riconoscere Cristo, e comportarsi di conseguenza; dovrebbe ascoltare il grido di dolore che arriva fortissimo dal resto della creazione, tanto più che si tratta di un dolore per la maggior parte provocato da lui, in totale disconoscimento degli stessi dettati del suo dio). Ormai, l'urgenza che il cristianesimo si decida a prestare maggiore attenzione alle sofferenze degli animali, non può più essere rimandata.
I teologi cartesiani che invece hanno aderito all'automatismo animale, hanno negato con violenza il messaggio più profondo del loro stesso cristianesimo, causando problemi, inquietudini e dolori che potevano essere evitati e mai accadere.
G.Nicora e A.Massaro, si chiedono se molti dei precetti presenti specialmente nell'Antico Testamento - anziché essere una permanente parola divina - non siano invece una proposta umana, da collocare nel contesto storico e culturale in cui è stata scritta; quindi mutevole, un escamotage, per così dire, di cui la parola divina si serve per chiedere all'uomo, epoca dopo epoca, una positiva risposta alla sua vocazione.
L'altra faccia della medaglia di questa riflessione è che ogni discorso teologico non può ignorare i dati della scienza e più generalmente culturali dell'epoca in cui il discorso viene ogni volta riaffrontato e impostato. Pertanto, una corretta teologia degli animali e del creato, deve oggi utilizzare tutti gli elementi culturali del nuovo ambiente in cui si trova immersa: una cultura in senso sociologico-antropologico, dove - nello specifico - non si possono più non considerare elementi di nuova empatia e ansia di compassione-difesa, protezione, rispetto, degli altri animali.
Il cammino perciò va dal teocentrismo all'antropocentrismo e alla sua caduta, fino al recupero della condizione originaria - cristocentrica secondo Paolo. Un po' quel che si leggeva anche nel saggio precedente. Qui ci si focalizza sul Libro di Tobia, storia sapienziale-didattica, dove angeli e demoni, ma soprattutto animali sono presentissimi e attivi compagni di Tobia nelle sue peripezie: il cane, il pesce, i passeri, il capretto, ci rimandano alla visione cosmica presente nella Genesi, dove vediamo come l'uomo perde l'innocenza e la fiducia in Dio, trascinando tutte le creature innocenti (che quindi non hanno dimenticato Dio né hanno perso la fiducia nei suoi confronti, mi viene da pensare): ben due volte l'uomo 'perde' gli altri animali, prima con la cacciata dal Giardino, poi col Diluvio Universale, che è come una seconda creazione. Ma ancora una volta, l'uomo si dimentica (o ignora volutamente?) dei suoi obblighi di alleanza, e sostituisce la visione teocentrica con una (mortifera) visione antropocentrica. Inizia per gli animali innocenti, sottoposti alla malvagità dell'uomo, un cammino di sofferenza che è in corso ancora oggi. (Nell'antico testamento, solo poche prescrizioni, all'interno della religione ebraica, volte a mitigare in parte la sofferenza degli animali).
Quando arriva Gesù, nato in un luogo dove umani e animali condividono gli stessi spazi (come in Tobia), ritorna la speranza per tutta la creazione, altrimenti trascinata nella colpa umana e travolta dalle sue azioni.
Il discorso teologico è assai complesso, ma il paragrafo delle conclusioni è incisivo: il Cristo Pantocrator ricompone l'armonia intraspecifica e infraspecifica, cioè tra umani e tutti gli altri animali, e tra ciascun umano e ciascun animale. Si tratta tuttavia di una ricomposizione per ora solo virtuale: perché possa realizzarsi, seguendo la prospettiva cristiana, la cultura umana deve affrancarsi dall'antropocentrismo nefasto.
Insomma, è vero che le indicazioni - per chi crede - stanno lì, nero su bianco, per una nuova compassione verso gli altri animali. Come si dice in chiesa, anche questa 'è parola di Dio'.
E allora, fedeli cristiani, quanta crudeltà volete ancora non vedere e non sapere, inflitta agli altri animali?
Tristezza. Gioia. Orrore. Speranza
Così, ecco come ho passato la mia pasqua, tra una coccola e l'altra ai miei cani anziani: provando a pensare a qualcosa da scrivere capace di oltrepassare il muro di crudele indifferenza di quelli che festeggiano dio con la morte degli innocenti.