domenica 5 aprile 2020

Fare porto, Capitano

Joseph Mallord William Turner, "Cologne, the Arrival of a Packet-Boat: Evening" - The Frick Collection; Henry Clay Frick Bequest

I luminosi porti di William Turner - uno dei tuoi pittori preferiti - sono luoghi evocativi e desiderabili, anche se tormentati e movimentati. 
'Fare porto' è il desiderio di ogni marinaio in mare.
Che cosa significa, essenzialmente, 'fare porto'? Ce lo facciamo raccontare da Carl Gustav Jung.



 
Claude Joseph Vernet - Porto al cbiaro di luna  -1771



Nel Libro Rosso, Carl Gustav Jung ha riversato tutta la sua crisi di studioso, di medico e di individuo. Questo libro è un'opera di 205 pagine scritta e illustrata dallo psichiatra svizzero in lunghi anni, dal 1913 al 1930. Libro fatto - che ironia! - di sogni, di archetipi, di racconti, di immagini, di disegni, una folle corsa dentro i meandri di una mente - a quanto pare, una corsa rigenerante (ma dovrai leggerlo, per stabilirlo). La mera descrizione di questo libro, ti rende euforico, ti viene voglia di leggerlo. Intanto, una tua amica, ti ha girato un brano di questo testo archetipico, un brano che gironzola di questi tempi su e giù per i social. Nonstante questo, è un brano molto bello, che sembra scritto per l'oggi - ma è questo che fanno gli archetipi: essere figure eterne per capire la contingenza degli episodi isolati della vita. C'è un narratore invisibile, che ci riporta un dialogo filosofico, tra un marinaio - che siamo noi - e un Capitano, che potrebbe essere tante cose. Ma, per prima cosa e di sicuro, è una figura attraente, affascinante: un Capitano a te evoca subito avventure, e subito ti vengono in mente figure come Lord Jim, o il capitano MacWhirr, che sono due declinazioni diverse del modo di affrontate la sorte, con scelte non appariscenti, ma coerenti e che vanno dritte al punto di ogni situazione e cercano di dirimerla come meglio riescono, cioè con le risorse che hanno a disposizione. A te, sembra lo stesso atteggiamento del Capitano di questo esotico-filosofico-psicologico racconto junghiano: poiché non sempre possiamo scegliere le situazioni in cui ci tocca vivere, possiamo però scegliere come viverle. Possono essere premesse di cambimenti, oppure esperienze di sacrificio senza significato. Questo periodo, per tutti, non è semplice, al contrario è intriso di incertezza, dubbi, anche paure, ma ci sta anche mostrando cose che non ricordavamo più, sta cambiando le nostre abitudini, ci sta riavvicinando in qualche modo anche agli altri animali - che noi abbiamo relegato e schiacciato al ruolo di schiavi e prodotti, ci siamo dimenticati che sono invece compagni di viaggio insieme a noi su questa isola terrestre  nell'oceano dello spazio.

Henri Matisse - Giovane marinaio II - 1906


William Turner, Autoritratto (1798); olio su tela, 72.5×58 cm, Tate Britain


"Capitano, il mozzo è preoccupato e molto agitato per la quarantena che ci hanno imposto al porto. Potete parlarci voi?"
"Cosa vi turba, ragazzo? Non avete abbastanza cibo? Non dormite abbastanza?"
"Non è questo, Capitano, non sopporto di non poter scendere a terra, di non poter abbracciare i miei cari".
"E se vi facessero scendere e foste contagioso, sopportereste la colpa di infettare qualcuno che non può reggere la malattia?"
"Non me lo perdonerei mai, anche se per me l'hanno inventata quella peste!"
"Può darsi, ma se così non fosse?"
"Ho capito quel che volete dire, ma mi sento privato della libertà, Capitano, mi hanno privato di qualcosa".
"E voi privatevi di ancor più cose, ragazzo".
"Mi prendete in giro?"
"Affatto... Se vi fate private di qualcosa senza rispondere adeguatamente, avete perso".
"Quindi, secondo voi, se mi tolgono qualcosa, per vincere devo togliermene altre da solo?"
"Certo. Io lo feci nella quarantena di sette anni fa".
"E di cosa vi privaste?"
"Dovevo attendere più di venti giorni sulla nave. Erano mesi che aspettavo di fare porto e di godermi un po' di primavera a terra. Ci fu un'epidemia. A Port April ci vietarono di scendere. I primi giorni furono duri. Mi sentivo come voi. Poi iniziai a rispondere a quelle imposizioni non usando la logica. Sapevo che dopo ventuno giorni di un comportamento si crea un'abitudine, e invece di lamentarmi e crearne di terribili, iniziai a comportarmi in modo diverso da tutti gli altri. Prima iniziai a riflettere su chi, di privazioni ne ha molte e per tutti i giorni della sua miserabile vita, per entrare nella giusta ottica, poi mi adoperai per vincere. Cominciai con il cibo. Mi imposi di mangiare la metà di quanto mangiassi normalmente, poi iniziai a selezionare dei cibi più facilmente digeribili, che non sovraccaricassero il mio corpo. Passai a nutrirmi di cibi che, per tradizione, contribuivano a far stare l'uomo in salute. Il passo successivo fu di unire  a questo una depurazione di malsani pensieri, di averne sempre di piùelevati e nobili. Mi imposi di leggere almeno una pagina al giorno di un libro su un argomento che non conoscevo. Mi imposi di fare esercizi fisici sul ponte all'alba. Un vecchio indiano mi aveva detto, anni prima, che il corpo si potenzia trattenendo il respiro. Mi imposi di fare delle profonde respirazioni ogni mattina. Credo che i miei polmoni non abbiano mai raggiunto una tale forza. La sera era l'ora delle preghiere, l'ora di ringraziare una qualche entità che tutto regola, per non avermi dato il destino di avere privazioni serie per tutta la vita. Sempre l'indiano mi consigliò, anni prima, di prendere l'abitudine di immaginare della luce entrarmi dentro e rendermi più forte. Poteva funzionare anche per quei cari che mi erano lontani, e così, anche questa pratica, fece la comparsa in ogni giorno che passai sulla nave. Invece di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una volta sceso. Vedevo le scene ogni giorno, le vivevo intensamente e mi godevo l'attesa. Tutto ciò che si può avere subito non è mai interessante. L'attesa serve a sublimare il desiderio, a renderlo più potente. Mi ero privato di cibi succulenti, di tante bottiglie di rum, di bestemmie ed imprecazioni da elencare davanti al resto dell'equipaggio. Mi ero privato di giocare a carte, di dormire molto, di oziare, di pensare solo a ciò di cui mi stavano privando".
"Come andò a finire, Capitano?"
"Acquisii tutte quelle abitudini nuove, ragazzo. Mi fecero scendere dopo molto più tempo del previsto".
"Vi privarono anche della primavera, ordunque?"
"Sì, quell'anno mi privarono della primavera, e di tante altre cose, ma io ero fiorito ugualmente, mi ero portato la primavera dentro, e nessuno avrebbe potuto rubarmela più".


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