sabato 24 febbraio 2018

Il mattatoio svuota tutto



... a volte, le parole stanno a zero. Questa volta, sei rimasto senza parole, ma pian piano un piccolo pensiero - che merita forse un breve accenno - è sorto alla consapevolezza. Il mattatoio svuota tutto.









Il mattatoio è un enorme buco nel tessuto della città. Poco importa che sia stato delocalizzato in una periferia già esistente, o che le case della città che si espande senza stancarsi mai lo abbiano infine raggiunto e inglobato, dopo che era stato allontanato, espulso dalla civiltà ordinata e controllata.
Dal momento in cui questo buco - questo strappo - si verifica e diventa presente nel tessuto urbano, a sua volta si allarga - forse anche in modo concreto, diventa elemento di piano urbanistico: ingrandirlo per macellare il sempre crescente numero di animali che la gente vuole divorare, per permettere tutti i tipi di macellazione, non solo quella 'umanitaria', ma anche quella delle religioni che sono furibonde verso gli animali da ammazzare per poi ingoiarli.
Di sicuro, in qualche modo, il buco, lo strappo, lo sbrego, si allarga in modo immateriale, coi suoi miasmi e i suoi rumori e i suoi viavai di morte: arrivano lunghissimi camion imbottiti di corpi vivi, che spariscono al suo interno, ne usciranno a pezzi, pezzi 'buoni da mangiare' e pezzi 'di scarto'.
Si allarga, il buco morto, prendendo possesso del territorio urbano in cui è incistato: ne ammorba i pensieri di chi abita lì vicino, ammorba l'aria, allarga la sua capacità mortifera, insinuandola in tutte le strade, i viali, i cortili, porta degrado - anche se la gente sembra non accorgersene. Eppure, lì intorno, non trovi negozi, quasi di nessun genere e i pochi che ci sono, sembrano sotto assedio. Solo le macchine sono onnipresenti: le automobili, certo, ma anche e soprattutto le macchine immobili che lavorano dentro il macello e fuori, per fare a tocchi e a pezzi. La logica del mattatoio sceglie e decide la forma del quartiere e la qualità di vita che vi si può condurre, tra nastri di svincoli e tangenziali e prati esausti.
Il giorno che eravamo lì al presidio, era anche giorno di 'potatura': una capitozzatura insensata e forsennata, di tutti gli alberi inspiegabilmente presenti all'interno del confini mattatoiali. La sega  smozzicava rami nodosi, spessi e frondosi, riducendo l'albero al tronco principale, un mozzicone oltraggiato, che ci metterà anni a buttr fuori sottilissimi rametti. Non puoi non pensare a quanti nidi sono stati distrutti in questo modo.
Anche gli alberi subiscono una replica del repertorio smembrante, svuotante, che regge tutta la logica del mattatoio.

Sono queste le cose che le persone presenti al presidio quel giorno vogliono portare allo scoperto. La gente, persino quelli che abitano nei pressi del mattatoio, non sanno, non vogliono sapere, si rifiutano di fare collegamenti. Le loro menti sono state svuotate: da ogni voglia di conoscere, da ogni coraggio di provare indignazione e di reagire di conseguenza, da ogni attitudine a provare empatia, a mettersi nei panni di chi muore dopo una vita fatta di negazione.
Pericoloso e orribile, questo svuotamento delle menti: lo si può riempire con ogni genere di egoismo, di cupidigia, di ansia da consumo, di paura del futuro e di odio verso gli altri, di disinteresse per chiunque - a meno che non 'sia utile da consumare'. Infine: persino di disinteresse per se stessi, per il proprio benessere autentico, per il proprio progressivo svilimento, anzi perseguito come se fosse l'unico modo possibile di condurre i propri giorni di vita.

La cosa che ti ha rincuorato: quel giorno, le persone presenti erano finalmente di più della volta precedente.
Il sasso nello stagno dell'apatia che NOmattatoio rappresenta, forse, sta cominciando ad allargare i suoi cerchi: il loro riverbero arriverà a lambire il vuoto morto, potrà riempirlo di nuovo.

 

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