Leonardo Caffo presenta il libro al Saloner di Torino |
Questo più recente libro del filosofo Leonardo Caffo, l'ho atteso a
lungo e sono andato a prenderlo a Torino, al Salone.
Thoreau - per pura quanto felice coincidenza - ha emozionato molto pure me, tanti anni fa, così come il libro "Nelle terre selvagge" di Jon Kracauer; insieme con Yeats e Tolkien (anche quello dei "Racconti Perduti e Ritrovati"), ha dato direzioni precoci alla mia vita giovane e un poco al contrario - nel senso che da adolescente prefiguravo le nostalgie della età adulta. Età durante la quale, molti anni dopo, mi ha portato ad andare a vivere per cinque anni in montagna: qui il mio corpo ha imparato il respiro roccioso e nevoso della natura montana e i loro peculiari tempi di attraversamento.
Oggi, Thoreau - ritrovato grazie al filosofo - mi sta sorprendendo e cogliendo in mezzo al guado. Ci sono incappato mentre sogno, mentre Caffo ci ha sognato e creato un pensiero, che mi ha prontamente suggestionato, di nuovo, ma diverso dal ragazzino che ero, anche se uguale - oggi sono uguale a quello che paventavo sarei stato quando mi pensavo a quindici anni.
In questi mesi, in cui ho abbandonato molti aspetti vecchi della mia esperienza, per scambiarli con un nuovo che mi appare e che spero più tagliato su quel che mi immagino sarò quanto prima, di nuovo da grande, si sono depositate a valle, alla foce del fiume, insieme a Thoreau, tante nuove letture, poesie, parole e incontri e esperienze con persone alle quali mi piacerebbe assomigliare.
Quindi, le parole del libro, scritto da un Caffo coraggioso e scoperto, molto personale e biografico, hanno la forza di risuonare con echi profondi, prolungati, ricorrenti, con squilli di urgenza per la mia vita.
Devo fare delle scelte, prendere con coraggio il sentiero che - tra i vari che sembrano essersi riaperti - posso intravedere come il più adatto a me. Per ripartire dalla crisi, per continuare a proseguire lungo una idea mentre la cambio, la trasformo, la porto in mezzo agli oggetti reali. Perché - soprattutto - la (mia) vita deve tornare a essere azione, alleggerita dai cavilli e dai rimorsi - è solo così, azione efficace, senza il pensiero pensato dagli altri al posto mio, in modo da non essere più riflesso di pensieri altrui, ma risultato dei pensieri-azioni miei. Perché - infine - la morte rientra negli orizzonti visibili della esistenza e perché si vive con (convivendoci) la malattia e la sua latenza e costante possibilità di emersione. Senza che diventino alibi per la inazione, che ci rigetta ancora nelle mani dei pensieri altrui.
Se tutto quanto detto non rimarrà soltanto dichiarazione di intenti di principio o esercizio retorico, dipenderà dal coraggio della scelta che dovrò compiere. Quale potrà essere questa scelta, lo suggeriscono le scelte passate, che hanno coinvolto altri animali, a cominciare da quelli che vivono con me.
Rileggo e mi accorgo che altro non ho fatto che una parafrasi è una sinossi degli inizi del libro di Leonardo Caffo.
Il filosofo ha posto Thoreau come perno di una riflessione che sono tentato di chiamare quasi proposta di progetto antropologico. Il desiderio, l'attesa di un uomo nuovo, individuo animale, che abbia come suoi riferimenti idee e concetti di anarchia, di disobbedienza civile e di varie e nuove rivoluzioni; di poesia e di silenzio, gli occhi degli alberi, la libertà di dire NO, di sottrarsi e di rifiutarsi, e la libertà non giudicante di lasciare la stessa libertà gli altri individui; arte, armonia, bellezza, sensi e sensibilità.
Alcuni nomi ci sono nel libro, altri ce li metto io : Olmi, Tolkien, Simak, Conrad, Huxley, Keith Richards, Kant, Zamenhof, Thomas Mann, Christopher McCandless. Sono pagine dense di intrecci e dialoghi tra le idee, con intrecci sorprendenti, entusiasmanti.
Anche se non sempre colgo tutti i passaggi o seguo tutti i fili (alcuni sono più spessi e intessuti di altri ), ormai so che la prosa di Caffo pulsa di grande energia, di sotterranea indignazione, per quello che facciamo agli altri animali e per come abbiamo ridotto noi stessi - ostinati a predare e a spogliare, anche quando ormai appare evidente che abbiamo imboccato un vicolo cieco, lontanissimo da qualsiasi sentiero nel bosco.
Invece, quello che dovremmo e che potremmo fare, consiste nel dare luce al nostro etogramma di raccoglitori: di frutti, di rami, di sogni di futuri. Dovremmo lasciarci riprendere dalla perfezione della-nella natura, la condizione di tutte le percezioni future, per ogni possibile costruzione nuova di senso. La natura di per se stessa ha ricchezza di senso, di contenuto, di arte; ci esorta a essere artisti veri, quelli che fanno per la passione e l'amore del fare per se stesso, che ritrova nel suo compiersi il suo senso pieno, a cui non occorre etichetta di prezzo per sapere di valere, di importare. Ci esorta, ancora a fare, a fare da soli - partenza primaria per la dimensione significativa della vita, oggi negata, censurata, resa impossibile. Perché questa solitudine individualizza, diventa scintilla di pensiero e di auto consapevolezza, contraria alla massificazione.
Da soli - oppure, al massimo - con il (nostro ) cane, come seppe fare Thomas Mann - e come non seppe, non volle fare il solipsistico passeggiatore Hegel.
Infine, come se fossimo già nell'universo quantistico dei wormholes che rimescolano il tempo, quandove "Qualcuno cammina sul sentiero di domani, proprio mentre voi oggi calpestate il vostro e siamo davvero liberi, uniti dallo spazio tempo, nonostante"