Milano, 15 gennaio 2018 |
Si riceve e si divulga un comunicato del Coordinamento Fermare
Green Hill contenente informazioni e iniziative riguardanti la terza
udienza del processo contro attiviste e attivisti che occuparono i
laboratori di Farmacologia a Milano nel 2013.
(Veganzetta)
Questo è il momento per la solidarietà e la partecipazione.
(Veganzetta)
Questo è il momento per la solidarietà e la partecipazione.
Comunicato
15 gennaio 2018 ore 12 inizio processo presso il Palazzo di Giustizia di Milano, via Freguglia sezione 8 aula 8 bis.
Dalle ore 11 presidio degli attivisti e possibilità di intervistare gli imputati ai quali verrà data parola durante il dibattimento.
Cartelli con la scritta “apri ogni gabbia” e audio che informerà sulla vivisezione.
Ufficio stampa presente
Dalle ore 11 presidio degli attivisti e possibilità di intervistare gli imputati ai quali verrà data parola durante il dibattimento.
Cartelli con la scritta “apri ogni gabbia” e audio che informerà sulla vivisezione.
Ufficio stampa presente
Il 15 gennaio si terrà la terza udienza per il processo a carico
delle attiviste ed attivisti del Coordinamento Fermare Green Hill (CFGH)
che il 20 aprile 2013 occuparono gli stabulari del Dipartimento di
Farmacologia dell’Università degli Studi di Milano. Il processo
intentato da Università degli Studi di Milano e Consiglio Nazionale
delle Ricerche – Dipartimento di Neuroscienze- vede gli attivisti
imputati dei reati di invasione di edificio pubblico, violenza privata e
danneggiamento. Quel giorno grazie all’operazione “Abbattiamo il muro
di silenzio” vennero portate all’esterno di quelle mura le immagini
della terribile normalità della vita di migliaia di individui rinchiusi
in gabbia e ridotti a oggetti usa e getta. Si ottenne la libertà per 400
topi ed 1 coniglio
Gli imputati dichiarano in una nota: “Per noi e per chi ci sostiene è stata un’azione di disobbedienza civile, un atto di rottura che ha richiesto molta determinazione e molto coraggio perché coscienti che ci sarebbero state delle conseguenze penali. Denunciare pratiche di reclusione e tortura forzando le porte di quei luoghi dove ogni giorno avvengono questi crimini è ritenuto un atto illegale perché presuppone che si debbano infrangere delle leggi e il linguaggio giudiziario è piuttosto mistificatorio a riguardo.
Là dove definisce violenza privata l’atto di essersi incatenati per il collo per bloccare l’accesso all’edificio, non riconosce che all’interno di quello stesso edificio vi fossero, e vi sono tuttora, migliaia di corpi imprigionati, ammassati in piccoli contenitori, costretti a movimenti frenetici e sempre uguali nel continuo tentativo di liberarsi, sottoposti a un dolore fisico e a una violenza psicologica intollerabili. Animali privati di ogni diritto a determinare la propria vita e a soddisfare le proprie esigenze. Per quei corpi non c’è alcuna protezione, la pratica della sperimentazione animale è legale ed è finanziata copiosamente attraverso sovvenzioni pubbliche e raccolte fondi come, per esempio, Telethon o AIRC che proprio al Dipartimento di Neuroscienze avevano riversato parte delle donazioni.
L’azione ha rappresentato non solo un atto di resistenza civile con l’inaspettato esito di liberare fisicamente degli esseri viventi ma è stato prima di tutto un tentativo di aprire un dibattito pubblico sulla sperimentazione animale. Ora, grazie al processo, abbiamo l’opportunità di essere noi a chiamare in causa chi continua ad avvalersi delle leggi per sfruttare animali non umani e considerarli come normale materiale da esperimento. Lo scopo di quell’azione del 20 aprile – ricordano gli attivisti – oltre alla liberazione di chi viene imprigionato in nome di una scienza crudele e della diffusione delle immagini di quelle squallide gabbie, è stato anche quello di ribadire la ribellione ad un sistema che fa della mercificazione e sfruttamento dell’esistente più debole il suo punto di forza, quindi nessun pentimento di quanto fatto per la causa della liberazione e della fine della vivisezione”.
Gli imputati dichiarano in una nota: “Per noi e per chi ci sostiene è stata un’azione di disobbedienza civile, un atto di rottura che ha richiesto molta determinazione e molto coraggio perché coscienti che ci sarebbero state delle conseguenze penali. Denunciare pratiche di reclusione e tortura forzando le porte di quei luoghi dove ogni giorno avvengono questi crimini è ritenuto un atto illegale perché presuppone che si debbano infrangere delle leggi e il linguaggio giudiziario è piuttosto mistificatorio a riguardo.
Là dove definisce violenza privata l’atto di essersi incatenati per il collo per bloccare l’accesso all’edificio, non riconosce che all’interno di quello stesso edificio vi fossero, e vi sono tuttora, migliaia di corpi imprigionati, ammassati in piccoli contenitori, costretti a movimenti frenetici e sempre uguali nel continuo tentativo di liberarsi, sottoposti a un dolore fisico e a una violenza psicologica intollerabili. Animali privati di ogni diritto a determinare la propria vita e a soddisfare le proprie esigenze. Per quei corpi non c’è alcuna protezione, la pratica della sperimentazione animale è legale ed è finanziata copiosamente attraverso sovvenzioni pubbliche e raccolte fondi come, per esempio, Telethon o AIRC che proprio al Dipartimento di Neuroscienze avevano riversato parte delle donazioni.
L’azione ha rappresentato non solo un atto di resistenza civile con l’inaspettato esito di liberare fisicamente degli esseri viventi ma è stato prima di tutto un tentativo di aprire un dibattito pubblico sulla sperimentazione animale. Ora, grazie al processo, abbiamo l’opportunità di essere noi a chiamare in causa chi continua ad avvalersi delle leggi per sfruttare animali non umani e considerarli come normale materiale da esperimento. Lo scopo di quell’azione del 20 aprile – ricordano gli attivisti – oltre alla liberazione di chi viene imprigionato in nome di una scienza crudele e della diffusione delle immagini di quelle squallide gabbie, è stato anche quello di ribadire la ribellione ad un sistema che fa della mercificazione e sfruttamento dell’esistente più debole il suo punto di forza, quindi nessun pentimento di quanto fatto per la causa della liberazione e della fine della vivisezione”.
Nella vivisezione c’è tutta la prepotenza di una ricerca scientifica
che è da sempre indisturbata, protetta da un muro di silenzio che ha
permesso che all’interno dei laboratori, in nome della conoscenza e del
benessere di pochi, si praticasse ogni genere di tortura su corpi
prigionieri ed indifesi. Nella vivisezione si legge anche chiaramente la
visione di una società che considera il più debole, il diverso da
ingabbiare, allontanare, sfruttare, controllare. Specchio di un sistema
che da sempre applica questa visione anche nei confronti dell’animale
umano ed è intenzione del Coordinamento Fermare Green Hill era ed è
riavviare la lotta contro la sperimentazione animale anche grazie al
sito "dentrofarmacologia" che raccogliere testimonianze,
documenti, informazioni.
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